CURIOSITÀ
Se sei siciliano non puoi non sapere cos'è: la "truscia", fedele (e morbida) compagna di vita
La ''truscia'' e la ''truscitedda'': cosa erano? Ci sono inoltre tanti modi di dire legati a queste parole che arrivano ad esprimere finanche emozioni e sentimenti
La "truscia" sulla spalla
Una volta, invece, in Sicilia c'era un'unica grande certezza: la ''truscia''. Ebbene, questo meraviglioso termine siciliano così onomatopeico deriva probabilmente dal francese ''trousse'' e si può tradurre con ''fagotto'', un ravvolto di panni che serviva a trasportare qualcosa. Il diminuitivo è ''truscitedda'' e i verbi derivati sono ''ntrusciari'' e ''strusciari''. Quel benedetto fagotto aveva mille utilizzi - altro che borsa porta PC - : la truscia confezionata con stoffa poteva contenere la biancheria sporca da portare in lavatoio, oppure conteneva la colazione di un contadino, e così via.
La ''truscitedda'' è un fagotto piccolo, una borsetta che contiene il necessario, non esattamente come le nostre borse da cui potrebbe uscire anche un albero di Natale con tanto di renne. La ''truscitedda'' era anche il fagotto che portavano gli uomini in campagna, quando stavano via poco, era la piccola borsetta degli innamorati che dovevano organizzare la loro ''fuitina''.
Ci sono tanti modi di dire legati alle parole ''truscia'' e ''truscitedda'', ad esempio ''mi pigghiavu a truscitedda e mi nni ivu'', che in italiano sarebbe ''ho preso il fagotto e sono andato via'', insomma, chi direbbe una frase del genere in italiano? Forse solo uno dei membri dell'Accademia della Crusca. Oppure ''fatti a truscitedda e vatinni'', che in italiano è ''prepara il tuo fagottino e vai via''.
Queste vivaci locuzioni indicano una sorta di delusione per la situazione che viene lasciata alle spalle, ma la voglia di voltare pagina. Ancora, quando si vuole definire una persona considerata poco elegante, si dice ''pari na truscia di robbi lordi'', ovvero ''sembra un fagotto di panni maleodoranti'', una frase che in italiano potrebbe dire solo Diego Fusaro. Dalla parola “truscia” derivano i verbi ''strusciare'', che significa ''donare meno di quel che si ha'', ''sforzarsi'' e ''fare il massimo'' in modo ironico, in parole povere ''essere tirchi'', e il verbo''‘ntrusciari'' che significa ''avvolgere'', ''infagottare'', ''coprire''.
Quando un siciliano si trova, ad esempio, a visitare i mercatini di Natale a Berlino o in Valle d'Aosta, sarà ''tuttu 'ntrusciatu'', talmente tanto che a stento si potrà riconoscere. Tutto quello che si vedrà di quella sagoma informe saranno gli occhi, le altre parti del corpo saranno completamente infagottate che nemmeno le mummie dell'Antico Egitto.
Essere ''ntrusciati'' in ogni stagione dell'anno è la prima regola del siciliano che mette piede fuori dall'Isola, anche se va a Reggio Calabria, così, per prevenzione. Perché se non è coperto da sciarpa, cappello e giubbotto da eschimese in inverno, sarà carico di cianfrusaglie in estate, la sua auto sarà ''ntrusciata'' per bene, coperta da biciclette, monopattini, ombrelloni e magari anche una canoa, perché non si sa mai.
A proposito di mercatini e atmosfera natalizia, altri esempi dell'utilizzo della truscia e della truscitedda si trovano nel presepe: solitamente una lavandaia porta una truscia sulla testa quando va a lavare i panni al fiume, e i pastori portano sotto al braccio la truscitedda, legata a un ramo.
Ora che abbiamo scoperto un altro utilissimo oggetto antico della cultura sicula, che vale cento volte le nostre borse smart, non ci resta che provare a realizzarlo, magari chiedendo consiglio agli esperti per eccellenza: i nonni.
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