STORIA E TRADIZIONI
Se in Sicilia non "ammucci" ma "ammuini": dove nasce questa parola (intraducibile)
È una delle parole tra le più usate nell'isola che ha più di un'interpretazione al suo attivo. Vi raccontiamo la sua origine e il suo significato negli anni
Ero messo bello leggio e tranquillo con Orazio che mi faceva tastare, quando a un certo punto mi arriva un abbannio a due centimetri dall’orecchio, che mi fece saltare in aria.
«E sti saidde su troppu belle pi u me amico Pannu ca stasira s’ava fari allinguate e friute!, e a privacy a ieccamu na munnizza! Ma cu è chistu che sapi u me nome ma soprattutto sa che a ora di sarde allinguate annuorbo e mi mancia pure a padella fitusa?
«’nca perciò Alessandro che fa un t’arricurdi?”, io, onestamente parlando, volevo evitare di fare tronzi i malafiura, ma in quel momento, l’ECG del mio cervello pareva u mari quanni ci po posari na tuvagghia pi manciari. «Sono Tumminia… amunì», matri mia, «Giuvà…miiii…avi chi un ti viu! Ma che ci fai qui?».
A ora i sturiare unni vulia manco a brodo, però era sempre disponibile e con quella quella sorta di senso giustizia sociale tipica dei siciliani veri. Un vero gurudell’ ammuino, Tumminia, in tutti i sensi.
I cianchi che ni faceva fare in classe non erano normali, e a ora di trovare escamotage per copiare durante i compiti in classe era the number one! Passò alla storia quando, ispirato da un noto film di Adriano Celentano, scrisse tutto un intero tema su Pascoli sopra un rotolo di carta igienica, che successivamente collocò nei bagni dei maschi, per poi apporre fuori dalla porta un cartello con su scritto guasto.
Al professore La Barbera disse che aveva la cistite e ogni 5 minuti andava in bagno, leggeva un pezzo di tema e poi ricopiava sul foglio. Ma La Barbera, che fissa non era, alla settima volta, dopo averlo fatto uscire, a noi disse ce se facevamo un fiato avremmo rimpianto di essere nati, e poi r’ammucciuna lo seguì in bagno per incocciarlo mentre erudica le sue conoscenze su Pascoli tramite il rotolo di carta igienica.
In tutta la scuola si usì la voce baritonale del professore, «I cuoinna t’arrascano u soffitto», successivamente lo vedemmo entrare, ridendo sotto il sigaro spento, con sto rotolo di carta ignienica in mano accompagnado Tumminia per il colletto della felpa, «amunì camina!».
C’è da dire che il professore la Barbera apprezzò l’ingegno della trovata, per cui evitò di inchiummarlo e gli fece ripetere il compito qualche giorno dopo, con il voto di 5 che, bisogna ammetterlo, era un successone. Ma a parte Tumminia che era un personaggio come pochi, l’ ammuino è talmente radicato nel modus operandi e cogitandi siculo, che si può considerare una vera e proria forma di comunicazione avanzata.
Tutto nasce, pare (il condizionale è d’obbligo), ai tempi della marineria Borbonica delle due Sicilie, in cui, nel "regolamento da impiegare a bordo dei legni e dei bastimenti della Real marina del Regno delle Due Sicilie" era riportato l’ordine "facite ammuina", ovvero "fate confusione", che recitava: "All’ ordine facite ammuina, tutti chilli che stanno a propra vann’a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora, chilli che stann’ a dritta vann’ a manca e chilli che stanno a manca vann’ a dritta, tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa e chilli che stanno n’coppa vann’ abbascio, passann’ tutti po stesso pertuso. Chu non tene ninet’a ffà, s’aremeni a ‘cca e a lla".
Questo da utilizzarsi solo durante le visite di alte autorità, sia militari che civili, e decisamente strambuliddu nella sua complessità, tanto da appurare che, alla fine, si trattava di un falso storico, anche perché i regolamenti della marina, ai tempi, erano scritti rigorosamente in italiano, e l’ utilizzo di un’ altra lingua era rigorosamente proibito.
Tuttavia, verso la fine del 1800, un ex ufficiale della Marina Borbonica, poi integrato della Regia Marina, fu incocciato ra bella, da un ammiraglio, mentre runfuliava, a bordo, assieme al suo equipaggio, per cui fu messo agli arresti per grave indisciplina.
Scontata la pena, e abbruciato dalla cosa, quando fu rimesso al comando della sua nave, fece un accordo con i suoi uomini, istruendoli a fare ammuina, ovvero fare vucciria nel caso in cui stesse arrivando, a soprpresa, un ufficiale superiore, in modo che lui avesse il tempo di fare u tischitoschi e far vedere quanto i suoi uomini fossero operosi e ligi al dovere.
Piccola curiosità, tale espressione ed aneddoto lo si può trovare nella settima edizione della "guida pratica per i giovani ufficiali dell’accademia navale" di Giuseppe Fioravanzo.
Ma l’ambiente militare, per quanto rigido, non è esente dal babbio. Tra il 1841 ed il 1844 i cadetti napoletani del colleggio di Pizzo Falcone, (oggi scuola militare Nunziatella), per alleggerire l’ambiente e pigghiare un po’ pi fissa gli ufficiali, fecero un falso documento con questa dicitura, facendolo poi passare per vero nei ferrei regolamenti della scuola.
Ora, con tutta la malaminnitta borbonica che in Sicilia ci siamo dovuti assuppare, e facile intuirecome mai, ammuinare, qui da noi in Sicilia, è così tanto usato.
Il termine potrebbe anche derivare dallo spagnolo amohinar che indica il fare confusione, che a sua volta deriva dall’occitano amoinà, fino al calco greco eleemosune, che venne preso in prestito dal latino cristiano diventando eleemosyna che stava ad indicare il mettersi a mignatta per chiedere questua in modo chiassoso.
Noi siciliani, che in ogni caso, diamo sempre un'interpretazione tutta nostra, cominciammo ad identificare l’ammuinare, o più semplicemente l’ammuino, come un termine per indicare il tentativo, a volte maldestro, di far passare un gesto o un tracchigio, in modo velato magari coperto, per l’appunto, dalla confusione creata da altro.
Accura, non bisogna confondere ammuinare con ammucciare, difatti il secondo sta ad indicare il nascondere qualcosa senza se e senza ma, l’ammuino è una sorta di vedo e non vedo, tu fazzu i ravanzi ma tu un te ni adduni.
Un esempio storico, paradossalmente, potrebbe essere la famosa storia della buca della salvezza, in cui, i rivoltosi, riuscirono ad ammucciarsi grazie all’ammuino di alcune donne che fecero confusione simulando una rissa utile a distrarre le guardie borboniche, così, allo stesso modo in tempi moderni, si crea una confusione di carte, pratiche e discussioni, per fare qualcosa che normalemente verrebbe ostacolato e distrarre l’attenzione di chi dovrebbe controllare.
«Salvù ma comu l’hamu a fari fare sta cosa?», «Vabbe Gnazì, ammuinamu!».
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