MISTERI E LEGGENDE
Rubò la scena come Modugno a Sanremo con "Volare": così Palermo ebbe la sua Santa
È bedda Rosalia, come una rosa senza spine, e proprio per questo scelta come damigella d’onore della regina Sibilla: la storia (alla palermitana) della nostra patrona
Il murales di Santa Rosalia a Palermo di Igor Scalisi Palminteri
Ci sarebbe pure Benedetto il moro che stava zitto e muto a Santa Maria di Gesù dove si piantava gli alberi; ma cosa mai avrebbe potuto fare, mischinello, stando in mezzo a quattro femmine di quella portata? Il due a mazze quando la briscola è a denari ha più voce in capitolo.
Poi, quando la squadra sembrava già al completo, anche perché i posti per le statue delle sante ai Quattro Canti erano finiti, mentre Palermo nel 1624 era devastata da una peste infame, all’improvviso, una ragazza secca secca, anzi tutta ossa (proprio le ossa verranno portate in processione per tutta la città l’anno successivo), ruba la scena a tutti e da allora, un po’ come quando nel 1958 Domenico Modugno si presenta a Sanremo con “Volare”, niente sarebbe più rimasto lo stesso.
Un giorno, un conte di nome Baldovino, che doveva essere antenato degli Orfei, quelli del circo, salva il re Ruggero dalle grinfie di un leone; il re come ricompensa gli da in sposa la bella Sinabaldi. “Rosalia, il padre sono io e ti mariti chi dico io!” deve aver detto suo padre sbattendo la porta e lasciandola in lacrime.
Rosalia era bedda come una rosa, abbiamo detto, ma le spine sotto sotto ce le aveva. Il giorno che precedeva il suo matrimonio, guardandosi allo specchio, si ribellò, si tagliò le trecce per sfregio e mandò tutti a quel paese. Da quel 1625 in cui le sue ossa in processione liberarono Palermo dalla peste non c’è anno che i palermitani non rendano giustizia alla bellezza di Rosalia partecipando e diventando loro stessi protagonisti di uno degli spettacoli più unici al mondo: “u Fistinu”.
Pure il viceré Juan Francisco Pacheco Téllez Giròn, duca di Uzeda, che forse duecento metri a piedi nella sua vita non li aveva fatti mai, per ringraziare la Santa, acchiappa tutta la famiglia e si fa per tre volte l’acchianata di Monte Pellegrino tra le astime (maledizioni) di sua moglie che, ogni tanto, tra il caldo e i sudori gli chiedeva: “Ma fra tutte le sante, proprio quella che ha la grotta dove ha perso le scarpe il Signore ti dovevi scegliere?”
E assai furono le meraviglie che si videro nel corso degli anni per questa festa. Nel 1693, per esempio, anno in cui ci fu un terribile terremoto nelle valle del Belice, il viceré affida all’architetto Paolo Amato di occuparsi della questione fuochi d’artificio. Lui, Amato, da genio del design qual era, inventa una macchina a forma di Etna per sparare i fuochi che verrà eccezionalmente installata al piano del palazzo Reale: Palermo e Catania unite da due donne: Agata e Rosalia.
E che la devozione per questa Santa sia sempre stata contornata di speranza ce lo fanno intendere le parole dello scienziato scozzese Patrick Brydone che, nel 1770, si trova a Palermo e ci descrive il festino regalandoci un sogno lucido quasi Felliniano: “Il carro trionfale era preceduto da un gruppo di uomini a cavallo, con trombe e tamburi, e da tutti i funzionari della città in tenuta di gala… Le navi iniziarono lo spettacolo scaricando tutte le artiglierie di bordo, e il rombo, riecheggiato dai monti, produsse un effetto grandioso… lo spiazzo di trasformò in un gran giardino, adorno di palme fiammeggianti, alternate con alberi d’arancio, vasi fiori, anfore e altri ornamenti”.
Che questo anno particolare, come particolare sarà questo festino, possa farci gridare ancora di più: Viva Palermo e Santa Rosalia!
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