ITINERARI E LUOGHI
Restaurato (dopo 50 anni) e oggi visitabile: storie e intrighi di Palazzo Oneto di Sperlinga
È uno dei palazzi più antichi di Palermo oggi recuperato dai proprietari, Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona e Cesira Palmeri di Villalba, che ci raccontano la sua storia
Una sala di Palazzo Oneto di Sperlinga a Palermo
Un gioiello originario del Cinquecento, chiuso e abbandonato per 50 anni e soltanto di recente recuperato dai proprietari, Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona e Cesira Palmeri di Villalba.
Stiamo parlando di Palazzo Oneto di Sperlinga (via Bandiera, 24) per il quale è stato necessario un lungo e ambizioso lavoro di restauro per renderlo un polo di arte contemporanea, pronto ad accogliere visitatori, turisti e non solo.
«Ci sono voluti circa 10 anni di lavoro, in due fasi – ci ha detto Roberto Bilotti – per concludere tutte le fasi del restauro e siamo stati molto felici di aprire al pubblico, ma alla città in generale perché l’obiettivo di questi lavori è quello di far entrare questi palazzi storici (Bilotti è proprietario anche di Palazzo Costantino, Palazzo Di Napoli e Palazzo Burgio, ndr) in un circuito di fruizione pubblica, a scopo culturale».
Nato nel '500 con i Siracusa Valdaura, passò ai Corbera e, nel 1726, ad Antonio Oneto e Valguarnera, duca di Sperlinga che gli diede l’aspetto attuale.
Superato il portale su via Bandiera, si entra nella piccola corte da cui sale lo scalone monumentale, sotto un lucernario ottagonale; i soffitti del piano nobile furono affrescati da Gaspare Serenario, ma intervennero anche i Fumagalli.
Ai primi dell’Ottocento passò ai Burgio, duchi di Villafiorita, che vi aprirono l’esclusivo circolo nobiliare delle “Conversazioni del Fiore” che durante il Carnevale organizzava magnifiche feste e spettacoli di maschere napoletane, a cui partecipò anche Ferdinando III. A metà secolo diviene sede del Convitto Lancasteriano, magazzino di una ditta di tessuti, la “Zingone e Bonomolo”.
È rimasto abbandonato e disabitato per anni, fino a quando non è stato acquistato da Bilotti.
Palazzo Oneto di Sperlinga fu la casa di Eufrosina Valdaura, figura particolare definita da Leonardo Sciascia in un suo racconto a lei intitolato, definì la farfalla di morte, poiché al suo fianco morirono diversi consorti o affini, nostante la sua breve vita.
Protagonista di una storia d' amore che interessò anche Stendhal, Eufrosina De Siracusis fu una donna bellissima e passionale. Sposò, molto giovane, Calcerano Corbera, figlio di Antonio, barone di Misilindino, il fondatore di Santa Margherita Belice.
Probabilmente sarebbe stata ignorata dalla storia se la sua vita non si fosse intrecciata con quella del viceré Marco Antonio Colonna, il vincitore di Lepanto, che se ne innamorò, durante una festa al Palazzo Reale, dove, assieme al cavaliere romano Lelio Massimo si era travestito da maggiordomo per distribuire dei regali alle dame.
Marco Antonio ne rimase talmente stregato, da dimenticare i suoi doveri coniugali e ricorrere a qualsiasi stratagemma per incontrarla.
«Fu occulto l' amore per qualche tempo, ma alla fine cominciò a pubblicarsi», scrisse un cronista del tempo. Temette Eufrosina, non tanto la reazione del marito, molto giovane, a quanto pare, e sprovveduto, ma quella del suocero, “uomo di valore”, che non avrebbe tollerato (e, infatti, non tollerò) lo scandalo.
Accorse infatti, nel 1580, a Palermo, per “vendicare l'onore di sua casa”.
La baronessa disse al viceré che era in pericolo, ma Marco Antonio Colonna considerò inopportune le ansie dell'amante e, per rassicurarla, non ebbe scrupoli a fare rinchiudere a Castellammare, con la scusa che era oppresso da molti debiti, il barone Antonio Corbera, dopo averlo fatto sospendere dal privilegio di cui godeva, come familiare dell' Inquisizione, di non essere arrestato e processato dalla giustizia ordinaria.
Morto il suocero in carcere - per rabbia o per veleno questo non si è mai appurato con certezza - restava il marito di Eufrosina, il quale pareva più alterato per il successo del padre che del tradimento della moglie.
Ed anche a lui provvide il viceré, facendolo invitare da Pompeo Colonna che doveva recarsi a Malta “con le galere di Sicilia”.
Con quest'ultimo s'imbarcarono, per dargli una mano, tre compagni: Gaspano Agliata, D. Giovanni Bellacera e Flaminio Di Napoli.
E la mano gliela diedero prontamente se, dopo pochi giorni, una notte, il barone Calcerano Corbera “fu trovato morto dietro alla porta della casa ove stavano, con molte pugnalate, senza avere avuto disgusto o inimicizia con nessuno”.
Molte congetture furono fatte sul delitto. I sospetti caddero su Flaminio Di Napoli perché, al suo ritorno, fu ricompensato generosamente, per i suoi servigi, dal viceré. Questi, infatti, lo salvò dal capestro, quando, nel giugno del 1582, tentò di uccidere D. Giovanni D' Osorio, cavaliere di San Giacomo e generale delle galere di Sicilia, mentre usciva dal Palazzo Reale.
Liquidati gli avversari, Marco Antonio ed Eufrosina non avevano più ostacoli al loro amore.
Il viceré le andava dietro, le passeggiava davanti come un ragazzo e andava a trovarla a casa.
Marco Antonio era talmente preso dall' amore per Eufrosina che non aveva scrupoli a farla venire al Palazzo Reale. Una sera d' inverno la viceregina Donna Felice, sospettando la presenza della baronessa nella camera del marito, andò a bussare alla sua porta.
Il viceré, allora, fece mettere alla finestra Eufrosina raccogliendo di fretta gli abiti ma tralasciandole scarpe. La signora Felice, entrando e vedendo le pianelle davanti al letto, le prese in mano e chiese al marito se fossero un dono per lei.
"Sì" rispose il signor Marco Antonio Colonna. E allora ella gli disse, come riportano le cronache del tempo: “Ah vecchio pazzo, non avete discrezione di lasciare morire di freddo questa povera giovena fuor dal balcone". E alzata dal letto aprì il balcone e trovò la baronessa impaurita.
Donna Felice la rassicurò, la fece entrare e la fece sedere accanto a lei. Poi, fatto mettere in ordine il cocchio, le disse: "Abbiate pazienza, che per questa notte, mio marito il voglio per me"; e bene accompagnata mandò quella a casa sua: magnanimità grande e notabile».
Magnanimità poco condivisibile, quella di donna Felice, dettata dalla saggezza o dall'abitudine ai tradimenti del marito. E che la viceregina ebbe modo di dimostrare anche più tardi, quando Marco Antonio, chiamato in Spagna per discolparsi davanti al re da accuse mosse contro di lui dai suoi nemici, tra cui quella di volere diventare re di Sicilia, prima di partire, le raccomandò Eufrosina, promettendo che, al ritorno, l'avrebbe data in sposa a un giovane onorato.
Donna Felice, ancora una volta, diede prova di saggezza e, tra lacrime e abbracci, promise al marito che avrebbe ospitato la baronessa a Palazzo Reale fino al suo ritorno.
E così fece, ricevendo le lodi e la magnanimità di tutto il popolo.
Marco Antonio morì misteriosamente durante il viaggio, nei pressi di Medinaceli, forse per avvelenamneto, e Donna Felice, addolorata dalla notizia, preferì lasciare Palermo, portando con sé Eufrosina a Roma. Qui il cavaliere Lelio Massimo, che si era invaghito della baronessa, durante il soggiorno a Palermo, la chiese in sposa.
I figli del cavaliere, essendo «assai onorati», non dovettero approvare il matrimonio, né perdonare alla matrigna i suoi trascorsi, se un giorno, approfittando dell' assenza del padre, venne beccata «con due archibusetti» e uccisa. I due giovani finirono decapitati e le loro teste appese sul ponte di Sant'Angelo.
Cinque le vittime di questa storia. Otto, se aggiungiamo Lelio Massimo, morto di cancrena, il Di Napoli ucciso e buttato in un canale, per farlo tacere, ed Eufrosina, la "farfalla di morte".
Una storia veramente avvincente che si aggiunge all’offerta culturale attuale che il Palazzo offre ai suoi visitatori.
«Al momento ospitiamo già alcune opere d’arte e abbiamo siglato dei protocolli con la Regione Siciliana per rendere Palazzo Oneto, quanto prima, un museo d’arte contemporanea; questa vorremmo che fosse la sua destinazione».
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