MISTERI E LEGGENDE
Quella (macabra) messa celebrata a mezzanotte: il mistero di Chiaramonte Gulfi
Si tratta del cunto dell’Arimi cunnannati r’a Criesia r’a Nunziata, la leggenda ambientata in uno storico edificio che mette alla prova anche i più temerari
Chiaramonte Gulfi
I più temerari si recano nei posti protagonisti di questi racconti per mettere alla prova il proprio coraggio e svelare i misteri, mentre altri preferiscono rimanere al sicuro, come il sacrestano Cosimo Sbinci.
Una sera, il trentenne di Chiaramonte Gulfi fu costretto a lavorare nella parrocchia dell’Annunziata fino a tarda notte, perché bisognava mettere tutto in ordine per la festa di San Vito, che sarebbe stata celebrata il mattino seguente.
Cosimo era ammalato, ma era anche un sacrestano volenteroso; perciò disse al parroco che avrebbe svolto il suo lavoro volentieri, ma non oltre le 23.00. L'uomo temeva di assistere a un evento terribile tramandato di generazione in generazione, ma la sua richiesta fu giudicata ridicola e dovette lavorare fino a mezzanotte.
Si racconta che Cosimo non si riprese più dal tragico evento e che si rintanò nella sua stanza senza parlare con nessuno.
Qui, secondo la celebre storia, ogni anno viene celebrata una macabra messa a mezzanotte, proprio in coincidenza con la festa di San Vito.
Si racconta che nel 1299 alcuni francesi fecero ritorno in Sicilia, mossi dal desiderio di vendetta per quello che il loro popolo aveva subìto durante i Vespri siciliani del 1282.
Giunti anche a Chiaramonte Gulfi, gli invasori iniziarono a saccheggiare la città, bruciare gli edifici e uccidere brutalmente chiunque si trovasse lungo il loro cammino. I soldati fecero il loro ingresso persino nella chiesa dell’Annunziata durante una celebrazione mattutina.
Nell’istante in cui entrarono, il prete era in procinto di innalzare il calice d’argento e tutti i fedeli si voltarono spaventati.
Il sacerdote cercò di impedire l’assalto dei francesi, ricordando loro che una funzione non può mai essere interrotta prima della Consacrazione. Tuttavia il calice d’argento era un tesoro a cui i soldati non volevano rinunciare, perciò ignorarono le intimidazioni del prete e lo uccisero in maniera brutale.
Lo stesso trattamento fu riservato a tutti i fedeli presenti, oltre alle oscenità già commesse nel territorio circostante.
A quel punto i francesi uscirono dalla chiesa dell’Annunziata soddisfatti e proseguirono la giornata festeggiando. Però, quando giunse la notte, il loro trionfo venne disturbato dal suono delle campane. In un primo momento, i soldati pensarono che si trattasse di uno scherzo, perché nessuno avrebbe mai pensato di celebrare una messa a mezzanotte.
A un tratto, videro spuntare lo stesso prete che avevano brutalmente assassinato quella mattina. Ma le vesti del sacerdote erano completamente lacerate, proprio dove l’avevano ferito con le spade.
Il viso dell’uomo era tumefatto e lo sguardo pieno di rabbia, oltre alle numerose macchie di sangue che lo coprivano dalla testa ai piedi. Subito dietro al prete videro un grande gruppo di persone: si trattava di tutti gli abitanti di Chiaramonte Gulfi uccisi nelle ore precedenti.
C’erano gli anziani accoltellati, le donne in gravidanza che avevano squartato per estrarre le creature che portavano in grembo e c’erano anche le giovani cittadine stuprate. L’intero gruppo chiese ai francesi di restituire il calice d’argento e di seguirli in chiesa per concludere la funzione interrotta quel mattino.
Una forza misteriosa spinse i soldati a seguire il gruppo di "morti viventi", così si ritrovarono tutti dentro la parrocchia dell’Annunziata.
Il prete tornò al suo posto e sollevò il calice d’argento, ma l’atmosfera era diversa dal solito: i ceri erano di colore nero e molti oggetti erano posizionati al contrario.
Proprio in quel momento tutti avvertirono un forte vento, si aprì una botola sotto al pavimento e i presenti furono risucchiati lì dentro.
In pochi attimi tornò il silenzio e la chiesa fu di nuovo deserta. Secondo il cunto, da quella notte lo stesso avvenimento si ripete tutti gli anni a mezzanotte, in occasione della festa di San Vito.
Ed è proprio questo il motivo per cui il sacrestano Cosimo Sbinci non voleva lavorare nelle ore notturne. Purtroppo in quel caso il dovere fu più forte della paura.
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