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Quel quartiere di Palermo (che non esiste più): il "caso" svelato dall'inchiesta di Dolci

Personaggio scomodo, fuori dagli schemi, lo ricordiamo a 100 anni dalla nascita. Con il suo lavoro porta alla luce il dramma di uno dei quartieri più poveri

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 28 giugno 2024

Palermo antica in una rivista nazionale

“In questi ultimi tempi si direbbe che è stata organizzata una grave congiura per disonorare la Sicilia; e tre sono i fattori che maggiormente vi hanno contribuito: la mafia, il Gattopardo, Danilo Dolci”, così scriveva in una lettera pastorale nella primavera del 1964 il Cardinale Ernesto Ruffini, Arcivescovo di Palermo.

Secondo il prelato, Dolci, con le sue pubblicazioni e con le sue conferenze, contribuiva a diffondere l’idea che il popolo siciliano era tra i più arretrati e miserabili del mondo: "Tengo sott'occhio l'elenco delle sue gesta, che non specifico per non scendere in particolari incresciosi. Basti dire che dopo più di dieci anni di pseudo-apostolato questa terra non può vantarsi di alcuna opera sociale da attribuire a lui.

Eppure continua a tener conferenze in diverse nazioni, facendo credere che qui, nonostante il senso religioso e la presenza di molti sacerdoti, regnano estrema povertà e somma trascuratezza da parte dei poteri pubblici".
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Personaggio scomodo, fuori dagli schemi, spesso divisivo ma di indiscusso carisma e di grande spessore, il sociologo triestino Danilo Dolci nasceva 100 anni fa, il 28 giugno del 1924 a Sesana, allora provincia di Trieste oggi territorio Sloveno.

Lo abbiamo ricordato anche attraverso il racconto di uno dei figli, Amico Dolci.

Dolci rappresentava un caso unico, nel panorama intellettuale dell’epoca: un uomo semplice – anche se di fondata cultura – che era riuscito a penetrare con sguardo profondo ciò che altri non volevano nemmeno guardare; un laico missionario (come Zeno Saltini, il fondatore di Nomadelfia, la comunità in cui Danilo aveva vissuto per un po’ di tempo da giovane prima di trasferirsi in Sicilia). Nel 1952 Dolci arriva in Sicilia, una terra dove ogni gesto di protesta e ogni tentativo di riscatto viene immediatamente represso nella rassegnazione generale.

È uno studente di architettura, sbarca nell’isola con l’idea di trascorrervi un breve periodo per studiare i templi greci, ma finirà per rimanervi per sempre: “scrittore cattolico amico dei poveri” - come lo definisce un giornalista de La Stampa - resta subito turbato da quel che vede: « un quartiere chiamato il Vallone, attraversato in tutta la sua lunghezza da una affossatura che raccoglie i rifiuti del paese. Sul margine, e spesso nel liquido putrido, giocano i bambini e gli animali”.

Una realtà da sottosviluppo, la fame e la rassegnazione alla miseria sono per Danilo un pugno allo stomaco.

Lui non ci sta: “chi tace e complice” dirà. Sceglie di vivere a Trappeto, un piccolo paese dì meno di tremila abitanti, a circa cinquanta chilometri da Palermo; sposa una maestra elementare vedova, che ha già 5 figli, e si dedica a lottare a fianco degli indigenti - condividendone la vita spartana - contro la miseria, la fame, l’analfabetismo, la disoccupazione cronica, la secolare accettazione passiva dello status quo…adottando una strategia ben precisa, quella della non violenza. Il suo primo opuscolo avrà il titolo Fare presto - e bene - perchè si muore.

Danilo vede morire a Trappeto un neonato di pochi mesi di vita che da 8 giorni non mangia nulla.

Anche la madre del bambino non mangia da otto giorni, e il padre pure. Danilo fa l’estremo tentativo di fargli bere un po' di latte, di alimentarlo a cucchiaini di acqua zuccherata, ma il suo intervento è tardivo: il piccolo spira tra le sue braccia. Quel bambino morto di fame gli rimane sulla coscienza, come dovrebbe pesare sulla coscienza di tutti.

Ne rimane dolorosamente colpito: si deve provvedere a fare qualche cosa… . Fonda così a Trappeto una comunità di fanciulli denominata Borgo di Dio e il suo impegno di educatore, fondato su un approccio maieutico, non verrà mai meno durante tutta la sua esistenza.

Nel periodo a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 Dolci sperimenta i digiuni, lo sciopero, il carcere… Viene arrestato nel febbraio 1956 mentre è a capo di un gruppo di braccianti che lavorano su una strada abbandonata all’incuria nei pressi di Partinico.

Si tratta di uno Sciopero alla rovescia, chi partecipa lavora gratuitamente realizzando opere di pubblica utilità perché il lavoro non è solo un diritto, ma per l’articolo 4 della Costituzione un dovere.

L’accusa è di occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale. Da ogni parte d'Italia giungono messaggi di solidarietà al Comitato costituito a Roma in favore di Danilo Dolci: l’opinione pubblica si schiera apertamente contro una specie di cospirazione calunniosa ai danni di chi ha osato contrastare una situazione di miseria e degrado civile; a difendere Dolci ci saranno scrittori e uomini politici, il mondo culturale italiano è con Danilo: Ferruccio Parri, Alberto Moravia, Carlo Levi, Ignazio Silone, Elio Vittorini e Maria Sacchetti, sorella di Enrico Fermi, Ignazio Silone e Giuseppe Ungaretti.

Al termine del processo Dolci viene condannato a un mese e venti giorni con l'ordine d'immediata scarcerazione, perché ha già scontato la pena e torna in famiglia.

Non si può parlare dell’impegno civile di Danilo Dolci senza ricordare Cortile Cascino: è grazie al libro Inchiesta a Palermo (1956) del sociologo triestino, alle sue denunce, ai suoi scioperi, al suo impegno, che il dramma di uno dei quartieri più poveri e degradati di Palermo diventa un caso internazionale.

Le fatiscenti abitazioni del Cortile Cascino sorgevano nel fondo della depressione del fiume Papireto e dei Danisinni.

I tuguri (perché case non si poteva proprio definirle) erano un agglomerato di edilizia fatiscente e malsana. In catapecchie col pavimento in terra battuta e in grotte scavate nella roccia, senza luce e senza aria, senza servizi igienici, senza fognature vivevano stipate famiglie di otto, dieci, dodici persone. Gli abitanti erano quasi tutti cenciaioli e robivecchi, frugavano tra i rifiuti.

Cortile Cascino non era ovviamente l’unico “Inferno”, nel capoluogo sventrato dai recenti bombardamenti: basterebbe ricordare le casupole di Via Crispi, il cortile del Pallone (Via Lincoln), il quartiere San Pietro, il quartiere Marotta, il vicolo del Gran Cancelliere… tuttavia l’isolamento del "Curtigghiu Cascino" era amplificato rispetto ad altri luoghi simili, sia perché era raggiungibile solo attraverso uno stretto passaggio, a ridosso del muro della ferrovia, sia perchè era situato in una zona depressa rispetto al livello stradale.

Si trattava insomma di una sorta di ghetto, separato anche fisicamente dal resto della città. Il cortile si trovava a poca distanza dal centro storico; ma, dimenticati dalle autorità politiche e religiose, i cascinari si occupavano solo di quello che accadeva nel loro piccolo mondo dove tutti si conoscevano.

Gli uomini avevano volti e corpi devastati dalla fame, dagli stenti, dalle malattie, dalla fatica; le donne invecchiavano precocemente, sfiancate dal lavoro, dalla violenza dei compagni e dalle numerose gravidanze.

I bambini erano sporchi, laceri, spesso scalzi, “ma bellissimi e molto affettuosi” scriveva Danilo. Gli scioperi, le proteste e l’impegno profuso da Dolci nel 1957 accendono i riflettori su questa realtà da sottosviluppo, che la stampa benpensante si guarda bene dal far conoscere: “I nudi sudici bambini che giocano sulla Ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista (…) Essendoci un gabinetto in una sola famiglia (gli uomini puliti vanno sulla ferrovia), in ogni stanza preparano da mangiare, mangiano, fanno tutti i bisogni corporali…nessuna casa con acqua corrente”.

Il digiuno è la forma di protesta non violenta adottata da Dolci, per solidarietà con chi non può vivere dignitosamente: dal 7 al 19 Novembre 1957 al Cortile Cascino Dolci e Franco Alasia digiunano per denunciare le condizioni subumane in cui versa la grande parte della popolazione del Cortile.

I detrattori di Dolci (tra i quali il noto Indro Montanelli) lo accusano di essere un digiunatore fasullo, vista la sua corpulenza. Esiste però anche un partito dolciano come abbiamo visto: Calamandrei e Sorgi (suoi difensori nei processi), Bobbio, Silone, Pratolini, Moravia, Fellini, Sartre, Vittorini, Carlo Levi, Vittorio Gasmann. Si spendono in prima persona, per riuscire a raccogliere articoli in difesa di Danilo.

Nel 1957 appare anche un manifesto che denuncia i problemi del cortile e lancia un accorato appello per ricevere un aiuto concreto: “Cittadini, siamo 300 famiglie e viviamo nel Cortile Cascino e nel pozzo della Morte, in case cadenti, senza acqua, senza cessi, in mezzo agli scarafaggi…Il cortile Cascino è al centro di Palermo, a 100 metri dalla Cattedrale e questa vergogna è oggi conosciuta da tutti attraverso la stampa e perché scrittori e giornalisti, studiosi, sono venuti a trovarci e portano dovunque la testimonianza delle nostre condizioni. Alle soglie dell’inverno abbiamo avuto i primi allagamenti, Non possiamo più aspettare: vogliamo una casa col tetto e i muri asciutti. Sia distrutto cortile Cascino, sia distrutto il pozzo della morte”.

Il digiuno di Danilo riesce a toccare il cuore degli abitanti del cortile Cascino: vedere un uomo colto che riceve visite e discute con giornalisti e scrittori, che scrive libri steso su un lettino, è cosa che sconvolge.

Questa gente semplice intuisce lo spirito solidale, la rivolta morale. “Il convegno e il digiuno hanno già avuto discreti risultati. La televisione britannica lo scorso venerdì scorso ha messo in onda un documentario su Dolci e il cortile Cascino di notevole drammaticità.

In Francia si stanno preparando le traduzioni francesi di alcuni scritti di Danilo Dolci. Sartre curerà la pubblicazione della sua inchiesta su Palermo. Attorno al caso Dolci, alla degradante miseria che lo ha generato, all’infinito dolore che lo alimenta, si profila l’interesse internazionale.

Solo da noi – ma non è una cosa stupefacente – organi di informazione pubblici e privati osservano un imbarazzato silenzio” Si legge sulle pagine de L’Unità del 14 Novembre1957.

Nel 1958 Dolci avrebbe vinto il Premio Lenin per la Pace e con la somma ricevuta con questo premio avrebbe fondato il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".

Una parte dei Cascinari sarebbe stata trasferita nei nuovi appartamenti dei quartieri popolari in costruzione in zona Oreto nel 1959; sarebbero trascorsi oltre dieci anni però, prima del definitivo spostarsi di tutti gli abitanti in abitazioni nelle nuove periferie urbane: tutto ciò che aveva fatto Danilo non era stato dunque vano…. Le casupole vennero rase al suolo per discutibili scelte urbanistiche e si preferì “deportare” in periferia gli abitanti (piuttosto che riqualificare l’intera area) disgregando ogni senso di comunità.

Pur avendo cancellato urbanisticamente Cortile Cascino, non sono state tuttavia eliminate le cause della povertà culturale, del disagio e dell’emarginazione che ancora oggi contraddistinguono la vita di interi quartieri di Palermo.

Ancora oggi persistono ampie sacche di povertà e soprattutto la vera piaga sociale resta sempre una sola: la cronica mancanza di un lavoro sicuro e dignitoso e di un salario equo. Cortile Cascino rimane il simbolo di una piaga che era solo la sintomatologia di una malattia più grave.

La piaga è stata sanata, ma la malattia non è stata curata e le ferite ulcerose si sono aperte in altre parti della città: Borgo Nuovo, Zen, Sperone, Brancaccio… Senza alcuna volontà di risalire alle radici del problema, il risultato – annotava oltre cinquant’anni fa amaramente la pubblicazione "Una voce da Palermo" – sarà solo il trasferimento geografico, non la distruzione del Cortile Cascino: «se distrutti sono stati gli abitacoli di Cortile Cascino, non si è distrutto quello che Cortile Cascino rappresenta come situazione di tutta una classe sociale».
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