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Quando la violenza "entra in casa": perché i fatti di Monreale (e Zen) riguardano tutti

Tre giovani vite spezzate, due feriti. La tragedia di Monreale deve farci riflettere e il problema non è lo Zen ma l'emergenza sociale ed educativa. Le reazioni

Balarm
La redazione
  • 28 aprile 2025

Lo striscione degli Ultras Pioppo per i tre ragazzi uccisi a Monreale

La tragica sparatoria di Monreale suscita sgomento, sconforto e rabbia. Il bilancio è drammatico: tre giovani vite spezzate, quelle di Andrea Miceli, Salvo Turdo e Massimo Pirozzo. Altre due persone ferite, che non avrebbero preso parte alla rissa ma sarebbero solo passate dal posto sbagliato al momento sbagliato.

Sin dalle primissime ricostruzioni e grazie alle testimonianze di chi ha assistito ai tragici eventi, è emerso che la rissa sarebbe scoppiata tra alcuni ragazzi di Monreale e un gruppetto di giovani dello Zen di Palermo, un quartiere "difficile" (lo sappiamo e lo si sa da anni).

Una tragedia, purtroppo l'ennesima, che ci invita a riflettere. Senza entrare nel merito delle indagini, che sono ancora in corso, non si può ignorare che il dibattito pubblico si concentra, ancora una volta, sul tema della sicurezza, anzi di una "emergenza sicurezza".

Il sentimento diffuso è che la paura, legittima, che quanto successo a Monreale possa riaccadere ovunque e a chiunque. La paura si trasforma in odio e pregiudizio diffuso. Sui social basta un attimo. E così è stato anche questa volta. Tanti i commenti che prendono di mira un intero quartiere, lo Zen.

«Abbiamo pensato che bastasse proteggere il nostro piccolo mondo, pagare una scuola migliore ai nostri figli e alle nostre figlie, iscriverli a un doposcuola potendolo fare, anche se altri e altre non potevano. Abbiamo pensato che vivere in un quartiere dove è normale che si spari alle cinque del pomeriggio fosse un problema solo altrui. Finché il sangue non ha varcato la soglia delle nostre case, dei nostri locali, delle nostre feste di paese». Sono parole forti, quelle della consigliera comunale Mariangela Di Gangi, ex presidente del Laboratorio Zen Insieme, associazione che da più di trent'anni si occupa del quartiere con intense attività sociali di vario genere soprattutto per i giovani, tra cui progetti di riqualificazione e recupero di spazi abbandonati.

«Ci siamo chiusi in recinti sempre più piccoli - prosegue -, illudendoci che quello che accadeva fuori non ci riguardasse. Ora quel fuori ci assedia. Perché puoi ignorare l’emergenza sociale, ma l’emergenza sociale, prima o poi, ti viene a cercare. Come la politica: anche se non te ne occupi, si occuperà comunque di te. Ed è alla politica inetta che dovremmo rivolgere i nostri strali.

Perché mancano percorsi educativi che parlino ai giovani prima che la rabbia e il vuoto li inghiottano, per restituirceli come carnefici.
Manca il lavoro difficile e costante che solo istituzioni responsabili possono garantire. Il terzo settore, a cui ogni tanto si dà una pacca sulla spalla, continua a resistere, sempre più solo.

Ma i ragazzi e le ragazze, lo sono ancora di più. Non basteranno più poliziotti, l’esercito o proclami vuoti. Se vogliamo invertire rotta, dobbiamo ricostruire comunità. Servono parole nuove, ad esempio, che non fagocitino nelle generalizzazioni anche chi, ogni giorno, con fatica, sceglie di fare diversamente da quello che ci si aspetta da un “abitante dello Zen”. Anche a loro, a chi lotta per il bene del proprio quartiere, rivolgo un appello: fatevi sentire. Pretendiamo, insieme, il coraggio che serve per crescere ragazzi e ragazze perbene, anche nei luoghi dimenticati».

Sui social è intervenuto anche Fabrizio Arena, attuale presidente del Laboratorio Zen Insieme, che ha postato anche alcuni commenti sul quartiere, carichi di pregiudizi e stereotipi, che invocano reazioni violente. Una deriva che non aiuta nessuno e può solo creare altra violenza.

«Sgomento e rabbia. E non riuscire a trovare le parole. La frustrazione, la sensazione di essere gocce nell’oceano - scrive Arena -. Non si può morire così, non si deve. Ci risiamo, ma stavolta fa più male, per tante ragioni. Sui social si vomita di tutto, in quartiere regna la quiete. Una quiete pesante.

Quando succedono queste cose si entra sempre in una fase di tacita attesa. Neanche un ambulante. Si sentono i ticchettii degli orologi a parete. Si respira tensione e si attende, perché qualcosa succederà».

«Il problema è politico - continua -. La città è piena di armi e a maneggiarle sono quasi sempre ragazzi. Allo Zen c’è un pezzo di comunità straordinario: uomini e donne che non si danno per vinti e si spendono ogni giorno per costruire faticosamente quel riscatto che gli è stato negato.

Per contro, a Palermo i fondi per l’infanzia e l’adolescenza sono al palo; i servizi educativi sono perennemente appesi a un filo; chi ogni giorno lavora sul territorio trova ostacoli burocratici dove dovrebbe trovare agevolazioni; il terzo settore, destinatario di grandi encomi, diventa nei fatti un’utile stampella.

Il problema, ancora una volta, è politico. Si criminalizzano le famiglie e si riempiono le carceri minorili. La povertà aumenta e i sussidi diminuiscono, con tutto ciò che ne consegue. Si colpiscono gli ultimi, si amplia il conflitto sociale. Le periferie restano distanti concettualmente dal resto della città.

Il problema è politico e le conseguenze sono sotto i vostri occhi: per strada si spara e muoiono ragazzi. Fatelo ‘sto sforzo, andate oltre il mero intervento coercitivo.

Che serva investire sulla prevenzione lo dico, lo diciamo, da tempo. Se pensavate che scalpitassimo per ragioni personali o ideologiche, bene: oggi avete la risposta. Guardatevi intorno, aprite i giornali. La violenza che non riusciamo ad arginare oggi è frutto della prevenzione che non abbiamo fatto ieri. Noi non staremo fermi, non lo siamo mai stati, men che meno stavolta. Bisogna scegliere da che parte stare».

Sulla tragedia di Monreale è intervenuto, tra gli altri il sindaco di Palermo Roberto Lagalla: «C'è un tema di una presenza malavitosa ancora ben presente in alcuni quartieri di questa città. Lo Zen è sicuramente uno di questi». Sono le parole del primo cittadino, riportate da PalermoToday, a margine dell'iniziativa "Metti in rete il tuo futuro", all'interno dei Cantieri culturali.

«Purtroppo dobbiamo registrare che laddove l'amministrazione sta realizzando, pressoché in tutti i quartieri periferici, in questo caso particolare di Borgo Nuovo, Sperone e Zen, opere civiche che sono orientate alle occasioni dello sport e al miglioramento delle istituzioni formative, alla costruzione di asili, stiamo assistendo a una recrudescenza reattiva da parte di questa subcultura mafiosa e violenta». Lo riporta ancora PalermoToday.

«Ovvio che si gioca una partita fondamentale sui due piani -conclude Lagalla - quello della presenza dello Stato sui territori e quello della formazione dei giovani».
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