CURIOSITÀ
Quando essere "tascio" è uno stile di vita (e non solo): perché a Palermo diciamo così
Un termine che abbraccia un certo modo di pensare, dire, vestirsi, senza distinzione di età o di genere, anche se, diciamolo, il buongusto è molto soggettivo
Un'immagine da "Tano da morire"
Ma com’è u riscursu? Un sulu a niescire piccioli ma a esseri pure na lista? Ma comu arraggiuni? Tuttavia ognuno di noi, prima o poi, deve fare i conti con il suo torbido passato, e nel mio c’è un periodo di frequentazione con Loredana, una ragazza della Palermo bene con attico che affacciava su villa Sperlinga, di profonda fede Marco Masini(ana), al punto che ebbe il potere di trascinarmi ad un suo concerto al quale ho meditato il suicidio.
Fatto sta che ella ebbe la capacità di convincermi anche a provare quelll’esperienza mistica legata a quel luogo "bolgiaco" chiamato discoteca. Ora, prima che mi ritrovo la lobby dei poteri forti della disco-house sotto casa, sappiate non ho nulla contro le discoteche, ma appurato che io ed il ballo ni piagghiamo a cuteddate, la discoteca proprio um’attigghia.
Ai miei tempi La discoteca era il "Paramatta" o il "Cerchio" ed il luogo scelto per il mio battesimo del fuoco fu la prima. L’impatto fu immediatamente significativo, perché il buttafuori appena mi vide vestito come uno scappato di casa, pigliandomi per un tossico, non voleva farmi entrare, ed in effetti stonavo parecchio in mezzo a tutta quella fighettitudine, ma poiché ero inserito nella lista "Loredana" (ebbene si, lei aveva una sua lista, ed era pure d’elitè) alla fine l’ostacolo fu scavalcato.
In quel periodo i tormentoni erano "Please don’t go" e “What’s in love”, messi a ripetizione ovunque e personalizzati dai vari DJ con tutti i remix possibili ed immaginabili.
Quella sera non fu da meno, ma nell’esatto istante in cui entrai oltre a “Please don’ t go” nell’ennesima versione remix, il DJ ebbe la premura di avvisare tutti che “chi non batte le mani muore domani”.
Il mio primo istinto fu una vigorosa manipolazione testicolare e mi rifugiai al bar, ma lei, con una forza che mai avrei potuto immaginare, mi trascinò ca supricchiaria al centro della pista, e fu lì che si manifestò in tutto il suo fulgore come una lampiata di prima.
Era una spanna sopra tutti nel suo stile "plebeodecadente", a partire dalla testa con i capelli "gellati" all’indietro, probabilmente con del mastice edilizio a presa rapida, da cui sfuggiva, maliziosamente, un ciuffetto che cadeva sulla fronte, la camicia bianca (così, appresi dopo, diveniva cangiante al colore delle luci) aperta fin quasi all’ombelico e sul cui petto era bene in evidenza un Cristo redentore che rifletteva la luce come i pannelli solari dei telescopi spaziali. Per finire agli stivali Alpinestars in cui, rigorosamente, era infilata la parte finale dei jeans.
Era splendido splendente, il signore incontrastato della pista, ed il fatto che attorno a lui si fosse creato un vuoto, era stato interpretato dal medesimo come un invito a dare libero sfogo alle sue doti da ballerino, composte all’80% da un evidente movimento pelvico indirizzato alla ragazza mira della sua attenzione, accompagnata da una frase che pressappoco suonava così «Miiii…si troppu bedda! T’ ha pozzu offriri na cosa ruci pa vucca sangù?» il tutto anticipato dal tipico risucchio, richiamo d’amore del tipico Tascio alpha masculinum.
Lo avevo avvistato e impresso nella mia mente come un naturalista va alla scoperta di una nuova specie arborea o animale, era lui, u tascio! Occorre dire che nel tempo ho realizzato che “tascio” è un vero e proprio stile di vita.
Un sillogismo che abbraccia un certo modo di pensare, dire, vestirsi, senza distinzione alcuna di età, genere o etnia.
Infatti tascio non è solo la "persona", ma lo può essere un’auto, un vestito, un certo genere musicale, qualunque cosa superi il limite comunemente associato al buongusto, appurato che, in ogni caso, il buongusto è molto soggettivo.
Ciò che è tascio per me non lo è per qualcun altro e viceversa, con una sola ed unica certezza, ovvero che in ogni caso i tasci su sempre l’autri! La consapevolezza del “tascio” come stile di vita potrebbe addirittura risalire alla dominazione angioina in Sicilia, difatti tale parola potrebbe essere una diretta derivazione del francese “est tachè” che va ad indicare qualcosa di sporco, macchiato, rovinato o volgare che non può essere indossato o esposto in pubblico, esattamente come un tascio.
Ma il Tascio non lo sa e sinni futte ra bella! D’altronde l’origine del termine potrebbe avere natali anche più recenti, facendola risalire al periodo compreso tra il 1700 e il 1800, in cui molte famiglie nobiliari inglesi si traferirono in Sicilia, soprattutto Palermo, integrandosi perfettamente con la nostra cultura.
Quindi la parola tascio potrebbe direttamente derivare dal termine inglese “trash” che significa letteralmente spazzatura nella lingua anglosassone, ma oggi anche nel parlato comune indica anche qualcosa di cattivo gusto. Occorre fare attenzione a non confondere il tascio con il gargio.
Tra i due corre una sostanziale differenza dato che il gargio non ha necessariamente cattivo gusto, ma tende ad ostentare un benessere economico che talvolta non gli appartiene, con il mostrare abiti, orologi o auto che spesso vanno ben oltre le sue possibilità economiche, da noi identificato anche come "pidocchio arrinisciuto".
Anche Gargio possiamo farlo originare al periodo nella nobiltà inglese in Sicilia, dato che potrebbe derivare dal termine bretone “gorgeus” che letteralmente indica qualcosa di bellissimo, smagliante o elegantissimo.
Giusto per farvi un esempio, un giorno nella mia compagnia di sfasciallitti, un picciotto di nome Ercole (ebbene sì, sua madre, insegnante di letteratura ed appassionata dei classici greci, aveva voluto chiamarlo così) s’apprisintò con una nuovissima fiammante Honda NSR 125 cc in un contesto fatto da Califfoni e Ciao, in cui forse il più fortunato ero io con una vespa 50 di seconda mano montata 80.
La prima cosa che gli dicemmo fu “Mi chi si gargio”, anche se comunque Ercole non se la passava proprio male economicamente. Può anche capitare che il tascio ed il gargio, a tipo Super sayan, si fondino in un unico individuo, dando origine ad un gargiotascio, che spesso è atto a compiere parole, opere ed omissioni che per noi siciliani sono vere e proprie picate nall’occhio! Questa espressione deve la sua origine ad un fatto di cronaca accaduto nel 1730, durante la dominazione austriaca.
Difatti durante una festa popolare, un soldato, forse per errore, conficcò la punta della sua alabarda nell’occhio di una bambina, suscitando così la rabbia del popolo, che da allora, per identificare qualcosa di sbagliato ed errato, usò tale espressione.
Ma il tascio, per rimanere in tema Dragon Ball, può anche evolversi e quando comincia a fare palestra e si pompa addivinta nu "maccagnu". U maccagnu è una particolare specie di tascio, aggressivo, pieno di sé, spesso alla ricerca di aggaddi e sciarre, da fare preferibilmente di fronte alla zita, anch’ella tascia, per dimostrare la sua superiorità alfa.
U maccagnu deve la sua origine, forse, sempre al periodo angioino, in cui i mercanti di cavalli, persone, ai tempi, non certo conosciute per la loro gentilezza e diplomazia, venivano chiamati in francese “Maquignon”, divenendo poi nel tempo macagno.
In ogni caso, a prescindere dalla variante o evoluzione, il vero tascio deve essere in grado di fare almeno una o più, di specifiche cose, quali: essere in grado di ruttare l’intero alfabeto o frasi di senso compiuto.
Unica eccezione per il "Suca", ma in questo caso i decibel rilevati del rutto devono essere davvero imponenti; avere il volume dello stereo dell’auto talmente forte da preannunciare il suo arrivo tramite le vibrazioni, almeno 4 isolati prima; possedere una Fiat Uno Turbo o Volkswagen Golf TDI (non importa se vera, basta che ci sia l’acronimo sul portellone) adeguatamente accessoriata con casse ed amplificatori in ogni angolo disponibile per poter soddisfare il punto 2.
Occorre ammettere che ultimamente i modelli automobilistici stanno cominciando a variare; Essere rigorosamente u megghiu a giocare a calcetto o, in alternativa, saper palleggiare almeno 20 volte di fila.
Saper fare alla perfezione il tipico risucchio con le labbra a culo di gallina, indispensabile per poter corteggiare la controparte femminile; ricordare a tutti quanto lui sia maschio, anche millantando storielle erotiche improbabili, e salutando gli amici con un vigoroso e marziale "assasuca a tutti" o "Boffa ‘nta’ minchia" possibilmente accompagnato da boffe sul cozzo; ed infine, aver frequentato con successo e lode l’università del marciapiede o della strada.
E comunque, alla fine di tutto, che nessuno si senta u megghiu, perché volente o dolente, tutti, nessuno escluso, siamo portatori sani di una giusta dose di tascitudine!
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