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Quando Al Pacino passò la notte al DAG: tra i primi locali di Palermo aperti fino all'alba
Quando tutti gli altri locali chiudevano, il DAG si ripopolava. Erano in tanti, infatti, a godere di quell’ultima possibilità di stare fuori in compagnia, fino alle 5 del mattino
Da sinistra Alfonso Milisenda, Stefano Tomasino e Rosa Cuticchio
Nella sede situata alla fine di Via Rosario Gerbasi si apriva alle 20.00, ma la serata non iniziava prima delle 23, e si chiudeva “quando andava via l’ultima persona”, quasi sempre dopo le cinque, spesso anche all’alba.
Il DAG era principalmente un luogo di socializzazione, in maniera diversa dagli altri locali della città.
Il programma settimanale, oltre alle mostre, comprendeva concerti e spettacoli vari, per lo più di cabaret, concentrati nel fine settimana e, nelle altre sere, tante attività da fare in gruppi: gare di disegno, di cruciverba, di barzellette, di fotografia (con una polaroid per scattare, che passava di mano in mano), di birra o di pasta (da mangiare con le mani legate), mini tornei di dama, scacchi, dama cinese, monopoli, risiko, shanghai, scopone scientifico e altri giochi di carte e di società, sempre a disposizione dei presenti e ciascuno in numero abbondante per i tornei che spesso duravano ore o addirittura potevano continuare il giorno dopo.
A sinistra dell’ingresso un’altra sala ospitava il piccolo palco per gli spettacoli e una decina di tavolini, la cui base era una vecchia macchina da cucire mentre la parte superiore era decorata con mattonelle di ceramica.
La cucina era il regno di Rosa, si potevano gustare vari tipi di panini, ma la specialità era la pasta alla DAG: pennette rigate con pomodoro, ragù, salsiccia e panna, che veniva cucinata ininterrottamente per tutta la notte e per la quale bisognava anche mettersi in lista.
«Il DAG è il primo amore che non si scorda mai - racconta Stefano Tomasino - ne sono orgoglioso, era il mio primo locale e la realizzazione del mio desiderio di socializzare e di fare socializzare le persone. Ancora oggi, se incontro qualcuno che lo frequentava, capita che mi ringrazi per l’atmosfera che eravamo riusciti a creare».
In una città in cui nei locali ci si incontra spesso, ci si saluta, ma ci si conosce solo superficialmente, il DAG fu un’eccezione. Il format di Tomasino, infatti, costringeva ciascuno a parlare con gli altri.
Ogni sera era lui a formare le squadre per i giochi, mettendo insieme persone di gruppi diversi e creando confidenza e complicità, cosicché, dopo un po’ di mesi, i frequentatori si conoscevano bene.
«Quando componevo le squadre mischiavo i vari gruppi, preferivo dividere gli amici, a volte dovevo insistere, ma alla fine cedevano – continua Tomasino - e se sapevo di qualche attrito o antipatia, univo in squadra i "litiganti" provando a far ritrovare l’armonia».
Dal DAG passavano un po’ tutti, ma principalmente era frequentato dagli amanti della Palermo-by-night e da tanti artisti. Ci si potevano incontrare attori come Giorgio Li Bassi o Gigi Burruano, che amavano fare tardi in compagnia e, a notte fonda, su suggerimento di altri pub, arrivavano ospiti eccellenti e artisti di passaggio in città.
Durante le riprese della terza parte de "Il Padrino" molti del cast venivano al DAG, compreso Al Pacino, che trascorse una notte intera a giocare a scacchi.
Fra i frequentatori abituali delle serate palermitane di quel periodo, Maurizio Gambino racconta che «per me il DAG è un ricordo molto piacevole, ero poco più che ventenne ed era un luogo d’incontro importante per la gioventù di allora, che anziché stare per strada preferiva trascorrere la notte in un locale dove si riusciva facilmente a conoscere altre persone, poiché c’era un’abitudine alla socializzazione che altrove mancava - e aggiunge - c’erano spesso turisti, studenti fuori sede, ma anche tanti poliziotti, magari alla fine del turno di lavoro e ho un ricordo molto speciale di Antonio Montinaro, caposcorta di Falcone, molto cordiale e simpaticissimo».
Quando tutti gli altri locali chiudevano, il DAG si ripopolava.
Erano in tanti, infatti, a godere di quell’ultima possibilità di stare fuori in compagnia e fino alle cinque del mattino continuava ad arrivare qualcuno, certo che il locale avrebbe chiuso, come d’abitudine, dopo che l’ultima persona fosse andata via.
«In quegli anni non c’erano tanti luoghi per la "movida" e non c’era concorrenza – ricorda Tomasino - tanto che molti proprietari e gestori di locali, dopo aver chiuso, venivano a trascorrere qualche ora al DAG e a me piaceva che si parlasse di noi e il nostro locale fosse apprezzato».
Oltre alla qualità dell’intrattenimento, al costo di cibo e bevande davvero conveniente e alla buona compagnia, non era difficile imbattersi in qualche performance estemporanea o in qualche jam session improvvisata, a cui chiunque poteva prendere parte, rendendo così la notte un momento sempre diverso, di relazioni, divertimento e anche di creatività.
Dopo qualche anno Tomasino lasciò il DAG per dedicarsi all'apertura dello Zelig, portando con sé molti dei clienti, il DAG continuò, ma senza la stessa atmosfera e piano piano si avviò al termine del suo percorso, mettendo fine a quel modo piacevole e costruttivo di stare insieme, che non si è ricreato altrove.
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