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Pudìca ma "dalle belle natiche" conquistò poeti e scrittori: il mito della Venere siciliana

L'Afrodite Landolina era così apprezzata da essere bramata dal governo borbonico che la voleva a Palermo ed era figura imperdibile per gli artisti del Grand Tour

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 20 gennaio 2024

La Venere Landolina, foto del Museo archeologico "Paolo Orsi" di Siracusa

Curve, manifesto di una figura sensuale e vigorosa, incedono alla vista mentre un alone di mistero avvolge un viso: sognante, triste, deciso o in pace? Viene da chiedersi proprio quale sia fra queste l’espressione della Venere Landolina. Una statua acefala del II secolo d. C, custodita nel Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa, alle cui spalle pare quasi di vedere le nubi dell’Olimpo, sfumare e avvolgere le fattezze divine scese in terra da mortali.

Una visione in marmo pregiato di Pario scoperta nel 1804 nell’Orto Bonavia, dove oggi sorge l'ospedale di Siracusa, da Saverio Landolina (archeologo e Regio Custode delle Antichità di Val Demone e Val di Noto) da cui prende il nome.

Una Venere pudica Anadiomene, dal greco "colei che emerge" rappresentata poco prima di un bagno, nuda con la mano destra (di cui è priva oltre alla testa, cercati entrambi dall’archeologo Paolo Orsi) che nasconde il seno.

La mano sinistra, invece, stringe un panneggio che scivola sui fianchi, aperto a conchiglia, con accanto un delfino acefalo, un richiamo all’origine marina della dea.
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Quella che il visitatore si trova davanti è la copia di una statua romana di 165,5 cm, realizzata probabilmente per il Tempio di Afrodite.

Un’ipotesi legata a un aneddoto descritto dal poeta satirico Ateneo (Deipnosofisti, XII, 554) su una gara di bellezza tra due sorelle siracusane. La maggiore dichiarata vincitrice, si innamora del giudice della gara; la minore, invece, si fidanza con il fratello del giudice. Un destino fortunato che le due sorelle celebrano con un ringraziamento alla dea: un tempio dedicato ad Afrodite Callipige.

L’Afrodite Landolina, dunque, potrebbe quindi identificarsi con questa Afrodite “Callipige”, termine che deriva dal greco antico e vuol dire "dalle belle natiche"; congettura avvalorata da un piccolo rilievo di Siracusa, trasposizione del racconto di Ateneo.

Il modello della Venere Landolina, pudica e nuda o con mantello che richiama le opere di Prassitele (primo artista che eseguì Afrodite completamente nuda) era così apprezzata, da essere bramata dal governo borbonico che la voleva a Palermo, ed era anche una figura imperdibile per uomini di cultura del Grand tour in Sicilia. E proprio dal tour arriva uno dei suoi più grandi ammiratori: lo scrittore francese Guy de Maupassant.

Un colpo di fulmine avvenuto ben prima della sua vista mediante la foto di un viaggiatore che, come lui stesso dice, lo spinge probabilmente a intraprendere il viaggio. Un ricordo dunque rimasto nella mente, con desiderio fino all’ossessione, che sfocia in amore nel 1885 al suo primo incontro con la statua decantato nell’opera Viaggio in Sicilia:

«Penetrando nel museo, la scorsi subito in fondo ad una sala, e bella proprio come l'avevo immaginata. Non ha la testa, le manca un braccio; mai tuttavia la forma umana mi è parsa più meravigliosa e più seducente».

Una Venere che si allontana dalla visione idealizzata dei poeti ed è invece «la donna così com'è, così come la si ama, come la si desidera, come la si vuole stringere… La Venere di Siracusa è la perfetta espressione della bellezza possente, sana e semplice… È un corpo di donna che esprime tutta l'autentica poesia della carezza.

Schopenhauer scrisse che la natura, volendo perpetuare la specie, ha fatto della riproduzione una trappola. La forma di marmo, vista a Siracusa, è proprio l'umana trappola intuita dall'artista antico, la donna che nasconde rivela l'incredibile mistero della vita.

È una trappola? Che importa! Essa chiama la bocca, attira la mano, offre ai baci la tangibile realtà della carne stupenda, della carne soffice bianca, tonda e soda e deliziosa da stringere...».
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