ARTE E ARCHITETTURA
Provocazioni "pop" di un palermitano d'adozione: le muse manga di Max Ferrigno
Figure femminili dal mondo giapponese pulp e pop anni '80, che diventano le sue Pollon nude, Lamù e Jù (Crimi) o la cattiva e erotica Miss Doronjo (Jattaman)
"Rosy Sinibaldi" di Max Ferrigno
Ad alimentarne la poetica figurativa sensuale e ammiccante è in Max, ancor prima che la chiara ammirazione al repertorio iconografico legato al mondo dei manga, degli anime e dei colsplayers di area nipponica, la piena e cosciente volontà di collimazione del proprio fare artistico con l’ideale rinascimentale di artista di corte.
Una pratica artistica distante da certe mode e certi modi di proporre e proporsi, la prossimità disincantata all’attività di "bottega" come fulcro della propria linea di ricerca più autentica.
Gustav Klimt, Eduard Burne Jones e Kehinde Wiley sono gli artisti a cui guarda da sempre per costruire il repertorio di sensualità empatica che dal 2006 ad oggi ha eletto a vero mito della propria poetica espressiva relativa alla figura femminile come musa imperante.
Un golpe femminile! Ed è in questo territorio sterminato di muse, provenienti dalla finestra temporale volutamente aperta con il mondo pulp e pop degli anni Ottanta di area nipponica, che giungono a modellare la scena bidimensionale di velature acriliche le sue Pollon nude, Lamù e Jù (Crimi) disarmanti.
La cattivissima ma erotica Miss Doronjo (Jattaman), accattivanti e convincenti silouttes femminili care e note alle moltitudini di lettori dei comics giovani e meno, tanto a schiere di nuovi fan attratti dalla magia della restituzione pittorica che l’artista riesce a mettere in opera esprimendo con linguaggio attuale e dirompente, parole-forme già scritte nel periodo aureo della cultura mediatica posta in essere dalle televisioni commerciali private.
Non è dunque difficile comprendere il successo dei personaggi del pantheon ferrignano e delle ultime sue mostre allo ZAC palermitano “The summit of love” e “Cam girl” tra Palazzo Castrone Santa Ninfa (Mec museum) e la Sala Pompeiana di Palazzo dei Normanni (Fondazione Federico II).
È il passato del nostro immaginario felice di quegli anni proiettati verso un futuro distante dalla realtà imposta da Blade runner opposto al nostro odierno panorama distopico di guerre e pandemie che brama spiragli di speranza e diletto, ma c’è molto altro nella figurazione di Max.
Il neogiapponismo costruito da Ferrigno vince la battaglia contro la banalità del “male artistico” dove tutto è arte se lo ”scrive” un sedicente critico; vince la battaglia perché convince il pubblico fatto da collezionisti, curatori ma soprattutto, quella massa di gente distante dalla pesantezza di ragionamenti costruiti ad arte da certi cerchi magici che non convincono nemmeno chi li produce.
I personaggi di Max Ferrigno, ed è questa la vera potenza del suo attualissimo messaggio poetico-artistico, possiedono un doppio registro cognitivo e non sono mai copie e nemmeno avatar: il primo è quello culturale del personaggio preso a spunto per nuova rielaborazione semantica (Lamù, Pollon, L’uomo tigre, It, ect..).
Il secondo attende all’importanza che ancora oggi, complice il riscatto fortunosamente messo in atto dalla Transavanguardia in poi, gioca la pittura figurativa nel tentativo di attrarre sempre più e contro la deriva feticistica di arte che non può più essere considerata tale (nel 2023), la vera linfa del sistema dell’arte, il pubblico.
Pubblico che attraverso le opere di Max Ferrigno, gioisce e riconosce, si avvicina e si pone domande, ammira, rimane sedotto, eccitato e coltiva avidamente speranza e leggerezza.
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