MISTERI E LEGGENDE
Prima la clessidra, poi un obelisco su Monte Pellegrino: il tempo senza orologi a Palermo
Percorriamo la storia della città dal momento in cui la natura segnava il tempo fino alla fabbricazione degli antenati degli orologi: campane, clessidre e persino una meridiana
Monte Pellegrino nel dipinto di George Loring Brown (1856)
Nel corso della giornata non era necessario che un congegno gli suggerisse gli obblighi da espletare, tutto veniva fatto in funzione della posizione del sole. Gli abitanti delle città, invece, avevano altri ritmi di vita, la stessa meridiana, che dipendeva sempre dal sole, dava l’avviso nel succedersi delle ore che erano approssimate.
Anche le campane ebbero un ruolo importante sia per i cittadini che per i contadini. Probabilmente il motivo per cui l’uomo avvertì l’esigenza di frazionare le ore fu dovuta agli abitanti delle città. Le nuove attività esigevano orari prestabiliti (l’apertura e la chiusura dei negozi, l’orario in cui recarsi al tribunale per un’udienza etc).
Nel 1142, Re Ruggero II, fece collocare sul muro esterno della Cappella Palatina di Palermo il primo orologio, al fine di segnare le ore delle funzioni religiose che si svolgevano in essa. Non era proprio un orologio come si può credere ma una moderna clessidra.
Un singolare orologio"a sole" fu fatto costruire da Federico II per evitare che i contadini, specialmente nel periodo estivo, dove la luce del giorno si protrae di qualche ora, venissero sfruttati dai proprietari terrieri. A tale scopo fece costruire alle
falde meridionali del Monte Pellegrino (vicino al cimitero dei Rotoli) un obelisco costituito da un grande masso. Quando l’ombra della rupe vicina (Primo Pizzo) si proiettava sul masso, segnava la fine della giornata lavorativa.
Nel 1572, il primo orologio vero e proprio fu collocato sul prospetto del palazzo Chiaramonte o Steri, allora utilizzato dalla Regia Curia. Esso fu costruito dal fiammingo Francesco Vochì. Poco dopo, tutte le torri campanaria della città si munirono di un orologio come questo. Essi battevano l’ora all'italiana. Il giorno era diviso in 24 ore che partivano mezz’ora dopo il tramonto del sole, fino alla mezz’ora dopo del giorno seguente.
Quindi si incominciava a contare: un’ora di notte e così via. Di questi antichi orologi da torre o da facciata ce n’erano una ventina a Palermo. Nessuno ormai ricorda il suono della cosiddetta "castiddana" che scoccava dalle Parrocchie di San
Nicolò dell’Albergaria, in quella di Sant’Antonio o quella di Santa Lucia al Borgo, che battevano alle ore "2 di notte" per ricordare agli artigiani di chiudere le loro botteghe, invitare le ronde cittadine al consueto servizio notturno ma soprattutto avvertivano i cittadini che da quell’ora non era più possibile circolare per le oscure vie della città senza il permesso di un Magistrato.
L’ultimo orologio all’Italiana, impiantato dall’astronomo Giuseppe Piazzi sul prospetto del Palazzo Reale, fu rimosso nel 1946 durante i lavori di adattamento del Palazzo Reale a sede dell’Assemblea Regionale siciliana. Aveva segnato le ore per più di 150 anni. Naturalmente, si disperse. Ma non ci scandalizziamo, distruggere le cose preziose, è ancora di moda.
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