LIBRI
Poteva andare via ma scelse la Sicilia: Elio Romano, un libro per ricordarne la bellezza dipinta
Vittorio Ugo Vicari mette in evidenza le suggestioni estetiche di 21 disegni, 8 sculture, 16 dipinti, provenienti da collezionisti e familiari e dunque opere pressoché sconosciute al grande pubblico
Libero Elio Romano
Scorrevole e denso di informazioni quasi sempre inedite, empatico e suggestivo “Un agricoltore assai smozzicato. Formazione fiorentina e residenza siciliana di Libero Elio Romano” (edizioni d'arte Alessandro Mancuso Editore, pp. 287, 28 €), è uno di quei testi capaci di trasportare ogni lettore all'interno di quella narrazione corale, fatta di storie personali che vede la Sicilia “artistica” ma non solo, crocevia di sperimentazioni, storie, fughe e ritorni, culla e tomba di personaggi eclettici, talvolta sepolti dalle polverose sabbie del tempo come lo scultore Francesco Garufi, l'architetto-pittore Salvatore Cardella e l'artista-avvocato Elio Romano.
Immagini tra l’inedito e il privato, sintomo interessante di quanto ancora vi sia da narrare e riscoprire persino nell’iper stimolato e tecnologico nostro presente, bulimico di immagini troppo spesso meri feticci virtuali. Le immagini delle opere di Romano, selezionate abilmente dall'autore invece parlano e raccontano microstorie amplificando il ruolo culturale del valore sociale dell'arte.
A ventisei anni dall'ultima antologica mostra su Romano, Vicari mette in evidenza le suggestioni estetiche di 21 disegni, 8 sculture, 16 dipinti, provenienti da collezionisti e familiari e dunque opere pressoché sconosciute al grande pubblico e funzionali al collocar di Romano nel solco di quella sperimentazione artistica novecentesca che non trova mai la Sicilia ostile a linguaggi e suggestioni nuove e dirompenti.
Romano infatti, formatosi in età giovanile alla bottega del pittore acese Saro Spina già allievo di Domenico Morelli, comincia gli studi alla Scuola libera di nudo di Roma studiando allo stesso tempo Giurisprudenza sotto l'egida dell’antifascista Giuseppe Lombardo Radice, per proseguire, una volta allontanato insieme a Mario Mafai, presso la Regia Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze sotto la guida decisa di Felice Carena e dove si diploma il 31 luglio 1933 quando la storia d'Italia ha già virato verso scenari nefasti.
L'artista già sposato con la compagna d’accademia Gabriella Pescatori torna dunque in Sicilia, nella proprietà di famiglia in contrada Morra nell’ennese, dove durante la seconda guerra mondiale scrive il suo romanzo Fanuzza, dipingendo alacremente mentre salva ospitandola da morte certa la scultrice ebrea Inge Franck.
Figura completa e complessa quella di Romano che sarà docente di Disegno dal vero nella parentesi 1935-41 presso la Facoltà di Architettura fiorentina e di Figura e Pittura a Catania prima al Liceo artistico e poi all’Accademia negli anni Sessanta e Settanta.
Collocabile stilisticamente tra i cosiddetti “Ultimi naturalisti” insieme a Mattia Moreni, Sergio Romiti, Ennio Morlotti e Vasco Bendini, Romano resta fedele alla sua idea di Pittura persino quando quella “pittura dipinta” vale meno della merda inscatolata e dell’arte effimera delle performance, ma vince la battaglia col tempo.
C’è una luce singolare nell'arte dinamica e fiera di questo nomade artista siciliano, vi è la dimensione sacrale nel racconto del paesaggio, un verismo scevro da compromessi stilistici modaioli, una luce coinvolgente e quasi bagnata, la passione ragionata per il disegno come medium d'indagine del reale, quella consapevolezza mai paga che fare arte equivalga a costruire preziosi ponti culturali tra un passato glorioso e un futuro ancora incerto.
Un libro che mancava per ricordare un protagonista dell'arte italiana che scelse la Sicilia quando avrebbe benissimo potuto puntare all’Europa.
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