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Non smetti (mai) di pensarci, lo inventò un siciliano: chi fu il padre del "tormentone"

Dove non arriva la cultura arriva l’ingegno. Si sa molto poco di questo personaggio vissuto durante la seconda metà del VI secolo a.C. Oggi la sua vita rimane un mito

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 2 luglio 2024

Il busto di Caronda a Villa Bellini

Immaginate di essere in spiaggia, a passeggio o in macchina mentre canticchiate il tormentone dell'estate 2024 senza sosta. Ebbene, sappiate che questo modus operandi secoli or sono avveniva in Sicilia, ma con un altro tipo di versi: quelli giuridici.

Ideatore delle leggi in versi o periodi ritmici è Caronda di Catania. Vissuto durante la seconda metà del VI secolo a.C, di lui si sa molto poco: apparteneva alla borghesia, era allievo di Zaleuco politico greco e primo legislatore d’Occidente, e seguace di Pitagora, filosofo e legislatore.

Le informazioni sulla sua legislazione, invece, esistono grazie ad Aristotele e a Diodoro Siculo e la maggior parte sono inerenti al diritto familiare, con tanto di pena di morte per i trasgressori.

A lui, quindi, si deve la diffusione culturale delle leggi e norme in un tempo in cui la loro trascrizione non era diffusa e la popolazione era analfabeta - eccetto alcuni privilegiati - per la mancanza di una scuola dell’obbligo, ancora inesistente. Così, lungi dal vivere nell’anarchia e ignoranza assolute, dove non arriva la cultura arriva l’ingegno.
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Il procedimento per il leitmotiv giuridico era semplice: i pochi che sapevano leggere le norme, le facevano proprie ed erano talmente orecchiabili che finivano per diventare, potremmo dire vere hit o tormentoni.

Da qui, un passaparola di legalità senza precedenti. Non è escluso, dunque, che i cittadini ‘ro liotru andassero in giro o ai banchetti vocalizzando norme su famiglia, Stato e patria.

Così, il legiferare in versi raggiunge lo scopo primigenio: avere delle regole per il vivere civile e scongiurare gli illeciti, dalla falsa testimonianza, all’appropriazione illegittima dei beni.

La città etnea da fulcro di caos, diventa un luogo sicuro e con un’ottima qualità della vita, motivo per cui assiste a numerosi trasferimenti, compreso quello del poeta greco Tisia - soprannominato Stesicoro - che oggi gode di una piazza intitolata a lui.

Ma quel che colpisce delle leggi in versi di Caronda sono l’estrema intransigenza e le conseguenze per i rei che hanno alimentato alcune storie, vere o meno, su questo personaggio.

Pare che spicchi una disposizione, nata per frenare i parlamentari troppo intraprendenti e con "amici" allergici alle norme che desideravano cambiarle: ogni parlamentare che chiedeva la modifica di una legge doveva presentarsi all’Agorà con un cappio al collo. Se la proposta aveva l’appoggio della comunità era salvo, in caso contrario sarebbe morto impiccato.

Ergo, chi voleva opporsi a una legge, difficilmente portava a termine l’intento. I reati militari, invece, venivano puniti facendo leva sulla vergogna: i colpevoli erano esposti, con tanto di abiti femminili, al mercato per tre giorni. Queste sono solo alcune delle stranezze e azioni di controllo assoluto sui cittadini, di cui è vittima Caronda stesso.

Pare che nell’Agorà avessero l'embolo facile, con tanto di armi sfoderate a ogni battibecco; così Caronda impose che nessuno avrebbe avuto più accesso all’Agorà armato, altrimenti caput! Morte certa.

Un giorno, però, durante una battuta di caccia, Caronda è costretto a rientrare in parlamento per gli animi infuocati. Ma oltrepassando la soglia, il legislatore dimentica di posare la sua arma. Non appena i parlamentari gli fanno notare la mancanza, Caronda fa quello che forse in pochi si aspettavano.

Proferite le parole: "Le leggi devono essere rispettate da tutti, anche da chi le ha emanate!” mira al ventre e consegna alla città l’insegnamento più forte di tutti: ognuno deve fare la sua parte e rispettare le leggi. Non esistono clientelismi.

Oggi, la vita e la morte di Caronda rimangono quasi un mito anche se il legislatore vive ancora tra gli sguardi spesso inconsapevoli della folla che passeggia a VIlla Bellini, dove si trova un suo mezzo busto.

Folla, che magari non canta più i suoi versi, sostituiti da quelli di musicisti contemporanei o vocii della confusione; e viene da chiedersi chissà quale legge avrebbe introdotto oggi sul disturbo della quiete pubblica. O forse, è meglio di no!
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