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Ne esistono solo tre al mondo e una è in Sicilia: cos'è la (prestigiosa) "Phiale Aurea"

Vi raccontiamo la storia di un intrigante e affascinante viaggio iniziato due millenni fa che portò in Sicilia un preziosissimo cimelio. Di cosa si tratta

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 24 agosto 2024

La Phiale Aurea di Caltavuturo

È uno tra i reperti archeologici tra i più prestigiosi dell’Antiquarium di Himera. In epoca moderna attraversò illegalmente l’oceano Atlantico per poi ritornare in Sicilia grazie ad una complessa operazione investigativa degli inquirenti italiani.

Un intrigante e affascinante viaggio che iniziò due millenni fa in Tracia, forse ad opera di un artigiano viaggiatore che traportò il preziosissimo cimelio fino al territorio imerese quando la città era stata già distrutta dai Cartaginesi da diversi decenni.

Qualcuno ipotizza che il reperto giunse ad Ambica, la città che Diodoro Siculo cita nell'ambito della battaglia di Torgio, combattuta tra le forze agatoclee e gli oligarchici esuli siracusani capitanati da Dinocrate.

Rimasto sottoterra per diversi secoli venne intercettato da loschi mercenari d’opere d’arte che non ci pensarono due volte ad inviarlo in Svizzera lì dove venne acquistato da un facoltoso petroliere americano di New York.
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Poi, per fortuna, nel 1999 il suo ritorno definitivo in Sicilia. Si tratta della "Phiale Aurea" del peso di quasi un chilo d’oro massiccio, nota a tutti anche come la "Phiale di Caltavuturo".

La storia di questo prestigioso reperto, databile nella seconda metà del IV e la prima del III secolo a.C., è decisamente lunga e complessa ed è il risultato di una importante e difficile inchiesta giudiziaria che ha segnato un rilevante traguardo dello Stato Italiano nel recupero del patrimonio storico-artistico illegalmente trasferito all’estero.

Ma procediamo con ordine.

Le prime notizie sulla "coppa d’oro" si hanno nel 1989, quando in un articolo pubblicato su una rivista specialistica francese si evinse che il reperto si trovava in una collezione privata in Sicilia.

Da quel momento la Procura di Termini Imerese, coadiuvata dai Carabinieri della città delle Terme, avviarono intense e complesse indagini.

La scrupolosa ricostruzione degli inquirenti attestò che il rinvenimento dell’opera d’arte avvenne nel 1980, nel territorio di Caltavuturo, in occasione della costruzione di un pilone della linea elettrica.

Le indagini evidenziarono che la coppa dopo essere arrivata nelle mani dei collezionisti siciliani, venne inviata in Svizzera per essere acquistata da un facoltoso statunitense per un valore 1.200.000 dollari.

Grazie alla Procura di Termini Imerese, che con estrema abilità districandosi nella complessa rete del diritto internazionale in materia di esportazione di opere d’arte, venne avanzata richiesta di rogatoria internazionale alla competente autorità giudiziaria di New York, dove si chiedeva la restituzione dell’oggetto rivendicandone la legittima proprietà dello Stato Italiano.

La vicenda si concluse nel 1999 grazie a una sentenza dei giudici americani che dispose il ritorno del prezioso reperto in Italia.

L’opera, considerata un capolavoro dell’oreficeria antica, doveva avere una funzione prevalentemente legata alle libagioni e alle offerte alle divinità nel corso delle celebrazioni di riti religiosi.

Ad esclusione del bordo, la coppa è interamente decorata a sbalzo, con la tecnica della punzonatura e della cesellatura. Sul lato esterno si notano quattro fasce concentriche, ciascuna costituita da 36 elementi continui crescente dal centro verso il bordo.

Nella fascia centrale si notano delle faggine mentre nelle altre si trovano delle ghiande. Gli spazi tra i frutti delle prime tre fasce sono definiti da eleganti linee, nodi e perline. Le ghiande della fascia esterna si alternano ad un delicato motivo costituito da api e fiori di loto stilizzati.

Di particolare interesse è l’iscrizione con caratteri greci realizzata sul bordo con la tecnica dei puntini, molto frequentemente nelle iscrizioni su metalli preziosi. Si tratta di due nomi a cui, probabilmente, è stata dedicata la Phiale: “Damarco figlio di Achyrio”.

Seguono le parole “chrysoi” che identifica il metallo utilizzato, seguito dal peso della coppa rappresentato con un sistema numerale (115) che attesta il valore economico di quel tempo.

Al mondo esistono altri due esemplari molto simili alla “Coppa di Caltavuturo”.

Una è custodita al Museo di Plovdiv, in Bulgaria, e fu scoperta nel 1946 in Tracia, a Panagyrishte, insieme ad altri preziosi e pregevoli oggetti d’oro e d’argenteo.

La seconda si trova al Metropolitan Museum di New York, in questa non si conosce il luogo di rinvenimento anche se per gli studiosi è da attribuirsi alla Sicilia.

Quest’ultimo esemplare è pressoché identico alla Phiale custodita all’Antiquarium di Himera ma si differenzia nella scritta che è con caratteri punici. Sulla provenienza della coppa custodita all’Antiquarium “Minissi” della piana di Buofornello, il dibattito tra gli studiosi è ancora aperto.

Di certo l’inchiesta della Magistratura ha indicato nel territorio di Caltavuturo il probabile luogo del ritrovamento della Phiale, forse in connessione con il centro abitato di età ellenistica individuato sul “Monte Riparato”, anche se, a tutt’oggi, continua ad essere motivo di confronto tra gli studiosi in relazione all’effettiva provenienza di questo particolare e raro oggetto.

La più accreditata è quella del territorio della Tracia, ovvero l'estremità sudorientale della Penisola balcanica che comprendeva l'odierno nordest della Grecia, il sud della Bulgaria e la Turchia europea, molto frequentata dai greci in età ellenistica.

In questi ultimi anni il Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato, guidato dal direttore Domenico Targia, ha intrapreso un eccellente lavoro di relazioni con le comunità territoriali e in particolare con i comuni che fanno da corollario al sito di Himera, da tempo prive di informazioni del pregiato patrimonio archeologico presente.

«La Phiale mesomphalos è un reperto di straordinario che deve essere valorizzato attraverso iniziative di promozione e di divulgazione - spiega l’architetto Domenico Targia direttore del parco archeologico di Himera, Soluto e Iato - è necessario che l’antico sito di Himera, che merita ancora maggiore attenzione, diventi strumento di conoscenza per le future generazioni.

Tutte le nostre iniziative hanno il compito, oltre a quello di tutelare l’immenso patrimonio culturale, di nutrire di storia e storie i visitatori sempre più numerosi e interessati al sito di Himera»
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