ITINERARI E LUOGHI
Monti, torrenti e il "miracolo" dei delfini: i segreti del borgo siciliano tra fede e mistero
Il racconto di una passeggiata alla scoperta del borgo siciliano protagonista della leggenda di un quadro della Madonna portato dal mare a dorso dei delfini
Passeggiata nel borgo di Larderia
Rieccomi a percorrere e a raccontare i piccoli borghi del circondario messinese, ma andiamo con ordine.
Sabato 11 gennaio il gruppo "Camminare i Peloritani", guidato da Maria Pollino, esperta di trekking urbano, si è diretto a Larderia, un villaggio di Messina sud raggomitolato nei pressi dell’omonimo torrente e alle pendici del monte Dinnammare.
C’è una perfetta corrispondenza fra il nome e la sua etimologia, perché Larderia vuole dire appunto il luogo dove si produce il lardo e la carne.
Ma a dispetto di questa sua prosaica denominazione, la località non si presenta come una anonima periferia industriale, ma assume invece le sembianze di un ordinato paesino, anzi ci ero stato una ventina di anni fa e devo dire che l’ho trovato notevolmente più curato e migliorato, e ciò mi ha trasmesso un po’ di ottimismo nel constatare che non tutto va a ramengo.
La chiesa sorge in una posizione decentrata rispetto al paese. Ci è stato spiegato che ciò è avvenuto perché il torrente, che in passato ha provocato anche rovinose alluvioni, ha deviato il suo corso.
La chiesa è stata costruita nel XVIII secolo e conserva notevoli opere d’arte, tra cui affreschi di Letterio Paladino. La navata centrale e l’altare risultano costituiti di pregevoli marmi policromi. Inoltre, su una navata laterale c’è il quadro di Maria con bambino, opera di Michele Panebianco.
Dopo ci siamo recati al palazzo dei Moncada, una nobile famiglia di cui Aloisio dal 1684 per lungo tempo si fregiò del titolo di principe di Larderia.
L’ingresso è costituito di un portale bugnato ad arco al di sopra del quale sorge lo stemma in pietra della famiglia. Al centro vi è un ampio balcone di cui rimangono le mensole in pietra decorata.
Abbiamo proseguito verso l’eremo di S. Anna appartenente alla famiglia Settineri che lo ha restaurato e convertito ad agriturismo.
Abbiamo parlato col titolare di questa attività e lui ci ha spiegato che non sempre il rapporto costi-ricavi si risolve in modo pacifico, ma non è raro che i primi riescano a "cannibalizzare" i secondi.
Abbiamo comunque visitato un suggestivo presepe in muratura costruito trenta anni fa. Dopo, affrontando un dislivello di un centinaio di metri, siamo arrivati a Larderia superiore, largamente disabitata ma con le sue scalinate, i vicoletti e le case in cui sono ancora intatte le ringhiere in ferro battuto dei balconi.
Ormai fuori paese ci siamo imbattuti in un lavatoio dell’ottocento abbondantemente rifornito di acqua, ancora integro, forse perché appartenente ad una famiglia privata.
Non molto distanti, c’erano colonnati e antiche vestigia che mi hanno fatto venire in mente alcuni paesaggi romantici descritti dallo scrittore tedesco Goethe nel suo "Viaggio in Italia".
Ma eravamo ormai sul greto del torrente immersi in una natura rigogliosa e percorrevamo la trazzera una volta nota come "la via del grano" degli spagnoli.
Intanto, diversamente da come era apparso a valle, dove era quasi asciutto, il torrente era solcato da abbondanti flussi d’acqua e formava delle cascatelle. In un tratto ripido il suo alveo si restringeva ma diventava profondo e l’acqua limpida e trasparente scorreva veloce al suo interno. Più su, da un dislivello, si riversava una spumeggiante e fragorosa cascata.
Infine, siamo giunti alla disadorna chiesetta di S. Biagio, sorgente su un poggiolo e arricchita soltanto da un quadro del santo su foglia argentea. In realtà questa era l’ultima delle tappe di un altro percorso che i pellegrini intraprendono con il quadro raffigurante la Madonna, conducendolo in una notte di agosto sull’altra chiesa del monte Dinnammare (1128 metri sopra il livello del mare).
Secondo una leggenda l'opera è stata trovata dai pescatori sulla spiaggia di Larderia, dove vi era giunto a dorso di delfini.
Dopo, nell’abitazione di una famiglia del luogo ci siamo fermati per uno schiticchio con pane cunzato e prodotti tipici e, fra conversazioni e bicchierate, abbiamo trascorso l’intero pomeriggio, pertanto posso dire che abbiamo fatto il "Sabato nel villaggio".
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