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Un nuovo caso per il commissario Porzio

  • 24 giugno 2006

Il commissario Giovanni Porzio ritorna a indagare nel secondo giallo del giornalista-scrittore palermitano Gery Palazzotto. “Giù dalla rupe” (ed. Dario Flaccovio, euro 13), questo il titolo della nuova avventura, ambientata nell’isola di Rosmarino, una storia che si fa leggere tutta d’un fiato conducendo il lettore non soltanto nell’intreccio che porterà alla risoluzione del caso, ma anche intrattenendolo in modo divertente, ironico nel microcosmo di personaggi che del romanzo sono la colonna portante. Il libro presentato alla Galleria d’arte Expa di Palermo si prepara ad avere un grande successo di pubblico così com’è stato per il primo lavoro narrativo dell’autore “Di nome faceva Michele”, perchè è riuscito a costruirsi un’originalità di genere e di scrittura.

Se da una parte l’autore cerca la serialità del personaggio, caratteristica ormai dirompente un po’ in tutta la nuova letteratura, dall’altra la reinventa, superandone prevedibilità e ripetitività. Ed ecco che il commissario Porzio, che avevamo visto all’opera in un quartiere di Palermo, si sposta per una vacanza in un’isola, lì dovrebbe trovare pace e riposo, quando un nuovo caso richiede il suo aiuto. Un usuraio è stato trovato morto nella sua casa ed il maresciallo della locale stazione dei carabinieri Stefano Patti, a causa di un’infenzione gastrointestinale che ha colpito tutti gli abitanti dell’isola, compresi i suoi uomini, è costretto a chiedere aiuto al commissario.

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Quella della solidarietà tra carabinieri e polizia, da sempre gelosi delle proprie indagini, non è l’unica scelta creativa che Gery Palazzotto ha compiuto nella costruzione della storia, infatti ha saputo “restringere” il protagonismo del suo personaggio chiave. Porzio non è il deus ex machina del caso, ma insieme a lui danno il proprio contributo alcuni abitanti dell’isola che mettono a disposizione se stessi nella lunga notte di indagini. ”Tutto questo fa di questo libro una piacevole lettura introspettiva nell’animo dei diversi personaggi che animano questa storia: ognuno con le proprie delusioni, le proprie passioni e la proprie emozioni.
Per entrare in contatto con il romanzo e il suo autore abbiamo rivolto alcune domande a Gery Palazzotto.

Com’è nato e come si è sviluppato il suo rapporto con la scrittura narrativa?
«La passione per la scrittura nasce e si sviluppa con noi, come un virus che ci è stato iniettato alla nascita. Ci segue e ci insegue in ogni momento. Quando ci accorgiamo che questa forza misteriosa non può essere domata, allora può essere utile conoscerla in modo più approfondito, studiare i metodi creativi (che vuol dire soprattutto leggere). E’ il miglior modo per arrendersi a un’indole che è anche una componente fisiologica. Del resto, parafrasando Woody Allen, scrivere libri è come guardare una partita di calcio, sembra importante lì per lì ma può essere un buon modo per non pensare».

Anche in questo libro il Commissario Porzio entra in azione, c’è un cambiamento di prospettiva tra questo libro e il precedente?
«In "Giù dalla rupe" Porzio è un illustre comprimario, come del resto lo era in "Di nome faceva Michele". Il cambio di prospettiva è nei luoghi e conseguentemente nell’azione. Insomma, non credo di aver fatto un romanzo seriale, ma uno un po’ più hard e doloroso, sì».

Come mai la scelta del genere giallo?
«Il giallo è un genere che mi appassiona da quando ho cominciato a leggere. Avevo i calzoncini corti quando fagocitai tutta la produzione di Agatha Cristhie. Mi piacciono le storie a incastro, che sono quelle che accendono la fantasia. Quando parlo a persone che hanno bambini dico spesso: stasera, per la favola della buonanotte anziché iniziare con "C’era una volta", provate con "Chi ha rubato la marmellata?". Il giallo, nei suoi meccanismi logici, è un genere educativo e appassionante».

Quale scrittore è stato, per così dire, un suo maestro, una sorta di punto di riferimento?
«Non ce n’è uno in particolare. Leggendo gli autori più disparati si possono trovare spunti, costruzioni linguistiche, ambiti narrativi che accendono qualcosa nella mente. Ma sono stimoli subliminali. Uno, almeno io, non si sveglia la mattina e dice: "Voglio fare una cosa alla Lucarelli… o alla Stephen King". Tuttavia un maestro c’è stato, ma è una storia che ha a che fare con i miei inizi nel giornalismo. Si chiamava Salvo Licata e, oltre a essere quello che si definisce un cronista di razza, era anche un artista, un intellettuale senza barriere ideologiche, un gran conoscitore di libri e parole. Mi ha insegnato il gusto per la giustizia, mi ha fatto capire che esistono angeli all’inferno e diavoli in paradiso».

La Sicilia e la sicilianità che posto occupano nella sua rappresentazione narrativa?
«Sono siciliano e non potrei rinunciare ad esserlo, neanche se scrivessi le guide del Touring sulla Nuova Guinea. La Sicilia me la porto dentro anche quando invento i luoghi in cui ambientare le storie, perché me li costruisco da cima a fondo. Una bella fatica».

Nuove avventure in vista per il Commissario Porzio? Insomma nuovi romanzi in vista?
«Porzio ora si merita una bella vacanza. Nel prossimo febbraio sbarcherà in Spagna e nei Paesi dell’America latina, grazie alla traduzione che Roca Editorial ha fatto del primo romanzo. La prossima storia sarà una cosa totalmente diversa, pur mantenendo i cardini del giallo. Ma il commissario tornerà presto, statene certi».

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