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"Un giorno per sbaglio", il valore delle bugie

  • 16 marzo 2006

UN GIORNO PER SBAGLIO (Separate Lies)
Gran Bretagna, 2005
Di: Julian Fellowes
Con: Tom Wilkinson, Emily Watson, Rupert Everett, Hermione Norris, John Warnaby, Linda Bassett, John Neville, David Harewood

Quando non ce l’ha insegnato la vita, la letteratura e il cinema hanno provveduto a rammentarcelo: le bugie, anche quelle più innocenti, possono provocare disastri fatali. Le bugie non servono a sanare le ferite prodotte dalla rottura degli equilibri esistenziali, il disarmonico andazzo della moderna quotidianità, travolta dalle regole disumane del tirare a campare. Ma una bugia può anche illuderci, facendoci sentire meno infelici, nel gioco delle apparenze che è la vita. Per questo è ancora più pericolosa: perché può insidiare il nostro rapporto con la realtà. Per debuttare dietro la macchina da presa, Julian Fellowes, già acclamato sceneggiatore di “Gosford Park”, ha deciso d’ispirarsi ad un racconto dello scrittore Nigel Balchin, “A way through the wood”, pubblicato per la prima volta nel 1951. In originale il suo film s’intitola “Separate Lies”, e allude proprio a quelle piccole e grandi bugie che s’infiltrano nella nostra vita modificandone il valore stesso. Nel caso in questione, la rete di menzogne produce un nodo annichilente, il cui filo è tirato solamente dalla forza della passione. Da noi la pellicola è stata distribuita con il titolo più innocuo di “Un giorno per sbaglio”.

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Si tratta di una storia immersa nel malinconico paesaggio della campagna inglese, segnata da un mistero che sconvolge la vita dei tre protagonisti. Un uomo anziano, mentre guida la sua bicicletta, viene travolto da una Range Rover che sfreccia ad esagerata velocità. In ospedale, l’uomo muore: si scoprirà essere il marito di Maggie (Linda Bassett), la governante di casa Manning. James (Tom Wilkinson) è un ricco procuratore londinese, un uomo elegante e raffinato che ama la tranquillità casalinga, immerso nei silenzi della campagna. Anne (Emily Watson) è la di lui moglie giovane, bella e sensuale che, come l’Ottilia di Goethe, si prende cura della casa dove la coppia trascorre i suoi week-end, assieme a quella di città. La coppia senza figli e con una vita apparentemente equilibrata viene sconvolta dal tragico incidente. Bill Bule (Rupert Everett), un ricco vicino che vive in campagna, rientra a casa del padre dopo un lungo periodo di assenza, dopo un burrascoso matrimonio. Bill diventa l’amante di Anne e presto scopriamo che era sua la macchina che ha travolto l’anziana vittima. Un gioco perverso di affinità di cui non vogliamo svelarvi di più. Sappiate solamente che a spezzare l’incantesimo sarà la rivelazione di una clamorosa bugia. Fellowes, con abilità da drammaturgo consumato, dispone abilmente i tasselli del suo mosaico, creando efficaci alchimie per ciò che riguarda l’atmosfera e il rapporto tra i personaggi. Naturalmente si avvale di attori e attrici di razza, come la straordinaria Emily Watson, capaci di conferire spessore ad ogni dialogo o gesto quotidiano, lasciando trasparire con speciale abilità, i movimenti interiori che alimentano le inquietudini e le tensioni, fino all’esplosione rivelatoria.

Bravissimo è Tom Wilkinson a gestire le nascoste inquietudini del suo personaggio che lotta quietamente per non perdere l’affetto della più giovane moglie. La sua tranquillità apparente va presto in frantumi, sconvolgendo non solo la quotidianità familiare ma anche quella lavorativa. Tutti i personaggi della storia sono ben delineati: ci piace ricordare la Priscilla di Hermione Norris, segretaria di James che lo osserva a distanza e con una particolare partecipazione visto che ne è segretamente innamorata. Il suo personaggio di testimone, partecipe di un amore segnato dagli eventi esprime una lancinante malinconia che poi pervade il retrogusto dell’intero film. La partitura di passioni celate, rimosse e degradate ci restituisce la musica disarmonica di una società in disfacimento, governata dalle regole non scritte dall’ipocrisia imperante. Le bugie che devastano la qualità dell’esistenza hanno un solo merito: quello di costringere il sipario ad aprirsi sulla scena nuda delle comuni incomprensioni e paure. Julian Fellowes di questo è consapevole, lui che nel copione di “Gosford Park” aveva emblematicamente individuato il delinearsi di maligne tentazioni all’interno di una immensa villa di due piani, luogo metaforico dei contrasti privati della società inglese. Una intuizione antica ma sempre urgente, anche in un’epoca “aperta” come la nostra ancora preda di bugie fatali.

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