MUSICA
Tutte le tonalità del nero nel sax di Bill Evans
Un antipasto davvero succulento quello che il cineteatro Metropoltan di Palermo (viale Strasburgo 358) apparecchia per il prossimo lunedì 6 novembre, in anticipazione della quinta edizione della rassegna "Jazz al Metropolitan". sul palco della sala verde, sarà infatti di scena il sassofonista Bill Evans, con la sua Soulgrass Band in cui figurano Ryan Cavanaugh al banjo, Christian Howes al violino, Ric Fierabracci al basso e Joel Rosenblatt alla batteria (ore 21.30, ingresso intero 16 euro, ridotto con Metropolitan Card 13 euro).
E certo i numeri deve averli in regola questo ragazzotto dell'Illinois, partito dai tasti del piano per approdare all'ancia del clarinetto prima e dei sassofoni poi, grazie anche a un tale Dave Liebman che all'inizio degli anni ottanta lo presenta a Miles Davis: e fu così che Evans, allora poco più che ventenne, si ritrovò proiettato all'interno della storia del jazz, come documenta l'album "We Want Miles" dell'81, in cui il suo sax può ascoltarsi in "Fat Time" (ma anche "The Man with the Horn", "Star People", "Decoy"). Da quel trampolino di lancio era inevitabile procedere per una carriera sfolgorante: nel 1984 viene selezionato da John McLaughlin per la reunion della celebre "Mahavishnu Orchestra", per quel "tour de force" che fu la tournée di oltre due anni fra Stati Uniti, Europa e Asia, transita nell'orchestra di Gil Evans, successivamente nel 1989 Herbie Hancock lo arruola nei suoi Headhunters e Lee Ritenour nel '97 lo prende in forza per il proprio tour statunitense.
Fra i dischi a suo nome, probabilmente l'album più interessante è "Soul Insider" (ESC, 2000), dove il nostro dà prova di una maggiore coscienza di sé e dei suoi mezzi e dove le esuberanze di un tempo sono stemperate da una acquisita maturità personale ed artistica: Evans vi si esibisce producendonsi nell'intera famiglia dei sassofoni - dal soprano all'alto, dal tenore al baritono, sebbene il suo "taglio" propenda maggiormente per soprano e soprattutto tenore -, affidandosi per il consolidamento degli arrangiamenti ad una sezione fiati che sfoggia Lew Soloff alla tromba e Conrad Herwing al trombone, e che rende ancora più marcata e meno diluita che in passato la componente funky.
E proprio sulla strada di analoghe mescolanze si muove questo "Soulgrass", che è anche il titolo del CD legato al tour e alla band, candidato ai Grammy Awards del 2005. In esso, Evans si inoltra in un territorio non molto battuto che mescola jazz, funk e bluegrass in un unico ibrido, una sorta di compendio degli stilemi americani, molto ritmato e gradevole all'ascolto. Al disco hanno collaborato Bela Fleck al banjo, Stuart Duncan al violino, Sam Bush al mandolino, Victor Wooten e Mark Egan al basso, Vinnie Colaiuta alla batteria. In alcune tracce compaiono anche John Scofield, Bruce Hornsby e Pat Bergeson.
E certo i numeri deve averli in regola questo ragazzotto dell'Illinois, partito dai tasti del piano per approdare all'ancia del clarinetto prima e dei sassofoni poi, grazie anche a un tale Dave Liebman che all'inizio degli anni ottanta lo presenta a Miles Davis: e fu così che Evans, allora poco più che ventenne, si ritrovò proiettato all'interno della storia del jazz, come documenta l'album "We Want Miles" dell'81, in cui il suo sax può ascoltarsi in "Fat Time" (ma anche "The Man with the Horn", "Star People", "Decoy"). Da quel trampolino di lancio era inevitabile procedere per una carriera sfolgorante: nel 1984 viene selezionato da John McLaughlin per la reunion della celebre "Mahavishnu Orchestra", per quel "tour de force" che fu la tournée di oltre due anni fra Stati Uniti, Europa e Asia, transita nell'orchestra di Gil Evans, successivamente nel 1989 Herbie Hancock lo arruola nei suoi Headhunters e Lee Ritenour nel '97 lo prende in forza per il proprio tour statunitense.
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E parallelamente il sassofonista già dall'84 avvia anche una brillante carriera da solista, compositore ed arrangiatore, costellata da undici cd, fra cui spicca, sotto il nome collettivo di Push, il "Live in Europe" del 1984, acclamato dalla critica come uno dei più innovativi tentativi di mescolare jazz ed hip-hop. Recentemente in tour con una formazione condivisa con Randy Brecker e che vede solisti del calibro di Hiram Bullock. Ineccepibile nella tecnica e con uno sviluppatissimo senso dell'armonia, il suo suono è diretto ed elaborato, dimostrando estrema raffinatezza e predilezione per gli armonici.Fra i dischi a suo nome, probabilmente l'album più interessante è "Soul Insider" (ESC, 2000), dove il nostro dà prova di una maggiore coscienza di sé e dei suoi mezzi e dove le esuberanze di un tempo sono stemperate da una acquisita maturità personale ed artistica: Evans vi si esibisce producendonsi nell'intera famiglia dei sassofoni - dal soprano all'alto, dal tenore al baritono, sebbene il suo "taglio" propenda maggiormente per soprano e soprattutto tenore -, affidandosi per il consolidamento degli arrangiamenti ad una sezione fiati che sfoggia Lew Soloff alla tromba e Conrad Herwing al trombone, e che rende ancora più marcata e meno diluita che in passato la componente funky.
E proprio sulla strada di analoghe mescolanze si muove questo "Soulgrass", che è anche il titolo del CD legato al tour e alla band, candidato ai Grammy Awards del 2005. In esso, Evans si inoltra in un territorio non molto battuto che mescola jazz, funk e bluegrass in un unico ibrido, una sorta di compendio degli stilemi americani, molto ritmato e gradevole all'ascolto. Al disco hanno collaborato Bela Fleck al banjo, Stuart Duncan al violino, Sam Bush al mandolino, Victor Wooten e Mark Egan al basso, Vinnie Colaiuta alla batteria. In alcune tracce compaiono anche John Scofield, Bruce Hornsby e Pat Bergeson.
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