ARTE E ARCHITETTURA
Mostra sul Cinetismo: l’inganno ottico è servito
«Se le abitudini percettive ci incoraggiavano a godere una forma ogni qualvolta essa si presentasse come qualcosa di compiuto e conchiuso, ebbene occorreva inventare forme che invece non lasciassero mai riposare l’attenzione ma apparissero sempre diverse da se stesse… opere "aperte" e in movimento». Umberto Eco definiva così, nel catalogo della mostra Arte Programmata presso il Negozio Olivetti di Milano (1962), le tendenze che in quel periodo caratterizzavano una nuova leva di creatori che sotto raggruppamenti collettivi o singole personalità, cercavano di far coesistere, all’interno della superficie bidimensionale, regola matematica e caso, concezione programmata e libero accadimento.
Sfidando e infrangendo la ben nota prospettiva rinascimentale, sovrapponendo geometrie monocrome e lamelle in PVC, inserendo meccanismi elettrici ed effetti moirè, l’arte etichettata come cinetica, programmata, gestaltica, optical, presuppone un ruolo attivo del fruitore, un ludico approccio che permette di creare caleidoscopiche immagini in divenire, sfumature palpitanti di colore, movimenti reali e virtuali che per una volta nutrono l’occhio dell’osservatore facendo leva sulle sole strutture percettive.
L’arte cinetica e programmata vede la luce agli inizi degli anni sessanta. Alla materia grumosa e al gesto individuale ed espressionistico che aveva caratterizzato l’informale, si oppongono immagini appositamente studiate, create attraverso texture e materiali inusuali, che impongono e presuppongono una precisa interazione tra l’occhio dello spettatore e le forme in continuo mutamento. Il fruitore non può che essere catturato da una sorta di libero gioco che si crea tra lui e l’immagine, che richiede spostamenti per dare sempre nuove visioni di se stessa, che esprime questa strana dicotomia tra fantasia e scienza.
La mostra raccoglie molte opere dei gruppi che nel primo decennio degli anni Sessanta sperimentarono nell’arte una tendenza ad esprimere la realtà nei suoi termini in divenire.
Ad Alberto Biasi (1937), uno dei maggiori esponenti del Gruppo N di Padova, è dedicato l’intero primo piano. L’iter dell’artista padovano è ripercorso cominciando dalle sue prime creazioni, le Trame (anni cinquanta), costituite dalle sovrapposizioni di carte forate (letti per l’allevamento dei bachi da seta), che a seconda dell’angolo di rotazione, offrono sempre nuove percezioni dinamico-luministiche. Nei Rilievi ottico-dinamici (anni sessanta) la sovrapposizione di un disegno geometrico e di una griglia lamellare producono geometrie stereocinetiche, che attraverso il movimento virtuale, trasmettono una forte sensazione di instabilità.
Ma in altre opere il movimento diventa reale. Lo spettatore è questa volta invitato a interagire concretamente con l’opera, mettendo in azione marchingegni elettrici che azionano cerchi rotanti o producono lenti movimenti di solidi geometrici monocromi. Nei "Politipi" degli anni settanta e ottanta, la marezzatura delle lamelle in tela o PVC crea illusioni ottiche e inganni visivi che lo spettatore può modificare allontanandosi o avvicinandosi alla tela, decidendo dunque quali visioni privilegiare, essendo lui stesso l’artefice del propria percezione sensoriale. La stessa struttura lamellare è riproposta nelle opere più recenti, come aggettivo però di un impianto pittorico maggiormente pregnante.
La mostra continua al secondo piano con la presenza delle opere degli artisti che hanno militato nei collettivi di lavoro nati tra il 1959 e il 1960. In Italia, il Gruppo N di Padova, di cui facevano parte Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Gabriele Landi e Manfredo Massironi e il Gruppo T di Milano con Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Giovanni Anceschi, Davide Boriani e Grazia Varisco; a Parigi il GRAV (Groupe de Réchérche d’Art Visual) che annoverava tra i suoi componenti François Morellet, Joël Stein, Jean-Pierre Yvaral, Julio Le Parc, Horacio Garcia-Rossi, Francisco Sorbino; e i russi Francisco Infante, Boris Stuchebrjukov e Vjaceslav Kolejchuk, fondatore del gruppo Mir.
La formazione di questi gruppi, apparentati da ricerche simili, con l’impiego di griglie geometriche, gradazioni tonali e luminose, immagini neutre, asettiche, che non comunicano nessun messaggio, se non quello riservato alle infinite combinazioni che la retina è in grado di comporre, si inserisce perfettamente nel rifiuto di un’esperienza creativa soggettivamente e individualisticamente intesa, creando opere che vanno oltre il concetto tradizionale di pittura per diventare una sorta di metapittura, come molti hanno notato, senza qualità, senza disposizioni o sensibilità.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
ITINERARI E LUOGHI
Spunta all'improvviso e sembra il paradiso: dov'è (in Sicilia) la spiaggia con un record