CINEMA E TV
Maresco a Locarno con un film su Tony Scott
Debutta il documentario che Maresco ha dedicato al grande clarinettista, che è anche un pretesto per raccontare l’imbarbarimento progressivo della società
"Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz": non potrebbe esserci titolo più emblematico per il documentario di Franco Maresco, che dopo un lungo lavoro, si sofferma pedissequamente sulla vita e l’opera del grande clarinettista italo-americano (originario di Salemi) Tony Scott, al secolo Anthony Sciacca, scomparso nel 2007 a 86 anni, dopo essere finito da tempo nel dimenticatoio. Il film, prodotto da Cinico Cinema, Rai Cinema e dalla Film Commission Sicilia, sarà presentato fuori concorso al Festival di Locarno mercoledì 11 agosto, prodotto da Giuseppe Bisso, con la sceneggiatura dello stesso Maresco e di Claudia Uzzo e una realizzazione che è costata tre anni di lavoro.
L’intento ultimo del regista palermitano è quello di raccontare la vicenda umana e musicale, di quello che è stato considerato come il più grande clarinettista del jazz moderno, avvalendosi delle immagini provenienti dagli archivi cinematografici di tutto il mondo compresi quelli italiani dell’Istituto Luce e degli archivi Rai. Un ottima situazione, per raccontare l’evoluzione musicale e sociale dagli anni '40 a oggi, esplorando i progressi, le scoperte e le innovazioni del grande musicista, che non sono mai stati seguiti da un giusto riconoscimento nè in patria nè in Italia, dove si trasferì definitivamente verso la fine degli anni '60. Una vicenda umana insomma, che è anche un pretesto per raccontare l’imbarbarimento progressivo della società. «Dei tanti sbagli che Tony Scott fece nella sua vita - dice il regista Franco Maresco - il più grave fu senza dubbio quello di stabilirsi in Italia alla fine degli anni '60. L'Italia con Tony dimostrerà di essere il paese incivile e imbarbarito che tutto il mondo conosce. Certo Tony Scott fu un uomo tutt'altro che facile, soprattutto negli anni della maturità, ma il paese in cui erano nati i suoi genitori non lo capì, non ne capì la grandezza, o forse la capì e proprio per questo lo emarginò. A parte pochi amici che lo sostennero fino alla fine, per il resto col tempo si ridusse a suonare in giri che non erano certo alla sua altezza, senza che le istituzioni e i grandi festival lo invitassero mai a esibirsi sui loro palcoscenici».
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