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Maresco a Locarno con un film su Tony Scott

Debutta il documentario che Maresco ha dedicato al grande clarinettista, che è anche un pretesto per raccontare l’imbarbarimento progressivo della società

  • 26 luglio 2010

"Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz": non potrebbe esserci titolo più emblematico per il documentario di Franco Maresco, che dopo un lungo lavoro, si sofferma pedissequamente sulla vita e l’opera del grande clarinettista italo-americano (originario di Salemi) Tony Scott, al secolo Anthony Sciacca, scomparso nel 2007 a 86 anni, dopo essere finito da tempo nel dimenticatoio. Il film, prodotto da Cinico Cinema, Rai Cinema e dalla Film Commission Sicilia, sarà presentato fuori concorso al Festival di Locarno mercoledì 11 agosto, prodotto da Giuseppe Bisso, con la sceneggiatura dello stesso Maresco e di Claudia Uzzo e una realizzazione che è costata tre anni di lavoro.

L’intento ultimo del regista palermitano è quello di raccontare la vicenda umana e musicale, di quello che è stato considerato come il più grande clarinettista del jazz moderno, avvalendosi delle immagini provenienti dagli archivi cinematografici di tutto il mondo compresi quelli italiani dell’Istituto Luce e degli archivi Rai. Un ottima situazione, per raccontare l’evoluzione musicale e sociale dagli anni '40 a oggi, esplorando i progressi, le scoperte e le innovazioni del grande musicista, che non sono mai stati seguiti da un giusto riconoscimento nè in patria nè in Italia, dove si trasferì definitivamente verso la fine degli anni '60. Una vicenda umana insomma, che è anche un pretesto per raccontare l’imbarbarimento progressivo della società. «Dei tanti sbagli che Tony Scott fece nella sua vita - dice il regista Franco Maresco - il più grave fu senza dubbio quello di stabilirsi in Italia alla fine degli anni '60. L'Italia con Tony dimostrerà di essere il paese incivile e imbarbarito che tutto il mondo conosce. Certo Tony Scott fu un uomo tutt'altro che facile, soprattutto negli anni della maturità, ma il paese in cui erano nati i suoi genitori non lo capì, non ne capì la grandezza, o forse la capì e proprio per questo lo emarginò. A parte pochi amici che lo sostennero fino alla fine, per il resto col tempo si ridusse a suonare in giri che non erano certo alla sua altezza, senza che le istituzioni e i grandi festival lo invitassero mai a esibirsi sui loro palcoscenici».

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«Il film racconta, per esempio - continua Maresco - che nei "militanti" anni '70 Tony fu visto dai musicisti dell'avanguardia di allora addirittura come un fascista, perché vestiva di nero e aveva un quartetto con Romano Mussolini. Così, capitava che a un concerto il pubblico scattava sull’attenti, facendo schioccare i tacchi. Ci sarebbe da ridere se non fossimo già impegnati a piangere. Nella parabola discendente, anche un film con Piero Chiambretti. Ecco, seguendo Tony Scott, raccontiamo gli ultimi trent'anni di vita italiana. Uno peggiore dell'altro, fino alla deriva attuale. Tony Scott è la metafora della morte dell’arte. Lui amò veramente il jazz, più di quanto si possa immaginare. Per il jazz rinunciò ad arricchirsi, a diventare miliardario. Ma questo non è un film sul jazz ma un film sul personaggio, che permette allo spettatore di entrare nel vivo del musicista. Lo spettatore finisce per immedesimarsi in Tony Scott. Il grande clarinettista muore dimenticato da tutti nel 2007, a 86 anni, in un paese che non lo ha mai riconosciuto come il grande artista che era».

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