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"Le mele di Adamo", peccato e redenzione

  • 8 maggio 2006

Le mele di Adamo (Adams æbler)
Danimarca, 2005
di Anders Thomas Jensen
con Ulrich Thomsen, Nicolas Bro, Ali Kazim, Nikolaj Lie Kaas, Gyrd Løfqvist, Mads Mikkelsen, Lars Ranthe, Peter Reichhardt

Come nel jazz, dove i musicisti del nord dell’Europa riescono a creare atmosfere fervide che riscaldano anche i cuori più freddi, così nel cinema i nordici riescono ad eccellere con pellicole che, pur colpendo per crudezza (e anche brutalità talvolta, come gli estimatori del cinema danese del Dogma e post-Dogma ben sanno), massaggiano beneficamente il cuore e, offrendo singolari letture della realtà di oggi, ci inducono a riflettere sul confuso mondo contemporaneo. È questo il caso del lungometraggio “Le mele di Adamo”, scritto e diretto da Anders Thomas Jensen, regista poco più che trentenne passato alla macchina da presa dopo un eccellente recente passato da sceneggiatore (suo lo script del bel film “Brothers”, da noi maldestramente tradotto “Non desiderare la donna d’altri”). Un ottimo cast, con Ulrich Thomsen (Adam), già apprezzato interprete dei bellissimi “Festen”, “L’eredità” e del già citato “Brothers”, e Mads Mikkelsen (Ivan), un’ottima fotografia, una colonna sonora non da meno, un’ottima sceneggiatura: questi gli ingredienti di un film grottesco e carico di humor nero, pluripremiato al Danish Academy Awards 2006, al Sundance Festival, al festival di Toronto col Premio del Pubblico, miglior film al “Courmayeur Noir In Festival” e candidato danese all’oscar 2006.

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“Le mele di Adamo” è il terzo capitolo di una trilogia del regista dedicata agli emarginati della società danese. Adam, un giovane convinto neonazista, viene condannato a svolgere servizio sociale di riabilitazione. Per questo motivo dovrà assistere Ivan, sacerdote di una piccola parrocchia persa nella campagna danese. Il comportamento assai particolare col quale Ivan persegue il bene e procede nella riabilitazione di coloro che gli sono stati affidati, irrita parecchio Adam, eppure alla lunga sortirà effetti insperati. Il sacerdote, caratterizzato da un fanatico altruismo e da un’esasperata tendenza a trasfigurare la realtà, affiderà ad Adam il compito di preparare una torta di mele colte dall’albero che cresce dinanzi alla chiesa. Questa si rivelerà un’impresa assai ardua e ricca si significati: per il sacerdote prove alle quali lo sottopone il Diavolo, per Adam invece moniti soprannaturali opera di Dio. Tante sono le riflessioni indotte dal continuo intrecciarsi delle concezioni del mondo di questi due personaggi, assai diversi fra loro, ma entrambi protesi verso la stessa meta. Da non trascurare poi quella conturbante follia che aleggia su tutto e, disorientando le attese razionali del male, incredibilmente risolve positivamente ogni tenzone.

Nonostante qui si racconti, suscitando sorrisi e raccapricci, di un’umanità derelitta, una sorta di corte dei miracoli fra naziskin senza cervello, medici sadici e sacerdoti dalla vita farcita di violenze e suicidi, è di luce che si parla, di speranza, di peccato, ma anche di redenzione. La speranza è un concetto dalle tante sfumature: nefaste, se pensiamo all’idea di vivere nella speranza che accada qualcosa, ma, se un evento inatteso si manifesta, può anche aprire uno squarcio di sereno nel cielo offuscato da plumbei nembi. Così, i fulmini e le saette che piovono dal cielo nel film, sebbene inquietanti, creano un varco alla luce, quella luce che riuscirà, nonostante tutto, ad illuminare il futuro del genere umano sempre più perso nei meandri torbidi del presente che ci circonda. Insomma, un messaggio di fiducia lì dove anche il migliore ottimista non avrebbe in che cosa credere, e soprattutto di rispetto verso il prossimo, verso gli altri e verso noi stessi, primi portatori di errori ma anche di verità. E un’ultima piccola nota: non è cosa da trascurare che il frutto scelto sia stata la mela…

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