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“Le coccinelle di Redùn”, spazio all’immaginazione

  • 22 settembre 2004

Difficile e riduttivo è il compito di descrivere brevemente la trama del secondo romanzo di Maurizio Bettini, “Le coccinelle di Redùn” (Einaudi, 17 euro, pag.208) uscito da pochi mesi in libreria: geniale ed al contempo scorrevole con leggerezza, poetico e divertente insieme. In un luogo immaginario dell'Europa dell'Est ed in un tempo indefinito le cui coordinate geografiche e temporali vanno immaginate dal singolo lettore, si snoda il viaggio dei quattro personaggi principali in fuga da una situazione politica intollerabile, dovuta all'ascesa di un tiranno "sorridente e prepotente".
I quattro, capitanati dalla figura del malinconico marchese Jan Pedrewcky, regnante su uno strano ed anch'esso malinconico feudo, partono verso Redún con uno scopo ben preciso, che è bene non rivelare adesso al lettore, ma in realtà vanno alla ricerca di un altrove dove ognuno può trovare il suo quid o almeno la libertà. Il viaggio è lungo, ben descritto ed intriso di flashback narrativi che si intersecano nel racconto del cammino, in cui spicca un'attenta e precisa descrizione delle zone paludose di Redún.

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La figura del tiranno, causa e motivo del viaggio, è di intuibile attualità, ed ingombra continuamente il romanzo; forse, allora, non a tutti potrà piacere la descrizione che l'autore ne fa, se si scade nell'errore di attualizzare eccessivamente tutta la storia. La poesia del romanzo, oltre che fisicamente nelle ballate con cui il luogotenete Streben scandisce i suoi discorsi, sta nella descrizione dei personaggi così diversi tra loro e negli stati d'animo del protagonista. È vera poesia quando, con parole semplici, si riescono a spiegare stati d'animo o situazioni emozionali complesse come la malinconia. Può succedere allora che ogni lettore può reinterpretare ogni concetto e personalizzarlo, a seconda della propria situazione. Capita con il gallo mattutino del romanzo, o con la misteriosa pallina sferica che il marchese porta con sé, o ancora con la pergola di vite dietro casa e con gli occhi della madre che, per “rigiri” genetici, sono arrivati fino al lontano parente Streben, così diverso da lui. Non si può svelare altro, pena il rischio di rovinare la lettura e le sorprese. Un consiglio imperativo: da leggere.

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