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Last Days: ultimi bagliori di un maledetto

  • 17 maggio 2005

Last Days
U.S.A., 2005
Di Gus Van Sant
Con Michael Pitt, Lukas Haas, Asia Argento, Scott Green
Nicole Vicius, Ricky Jay, Ryan Orion, Harmony Korine

Quando, nel mese di aprile 1994, Kurt Cobain si sparò un colpo di fucile per farla finita nella sua Seattle, una nuova leggenda entrò nel mito del Rock. E il mondo imparò a piangere il leader dei “Nirvana” continuandolo a ricordare ciclicamente attraverso alcuni omaggi postumi (il cd “Unplugged in New York”, pubblicato nello stesso anno della morte, è uno dei concerti acustici più belli ed evocativi prodotti nella storia del Rock contemporaneo, oltre ad essere il testamento non solo artistico di Cobain). Ma facciamo un passo indietro: con la fine degli anni ’80, una nuova corrente apre nuove frontiere musicali: si tratta del “Grunge”, nato nella città di Seattle, un movimento nel quale i “Nirvana” ed altre celebri band come i “Pearl Jam” scrivono pagine fondamentali fin dai primi anni ’90. Cobain fa sicuramente parte della nutrita schiera dei maledetti (musicisti, poeti, divi cinematografici, etc), con le sue canzoni intrise di presagi generazionali, idolo esemplare come lo divennero Jim Morrison dei “Doors” , dopo la sua morte, e John Lennon, non solo dopo il suo clamoroso omicidio. Oggi, il regista Gus Van Sant, straordinario esploratore di anime alla deriva, cineasta che ama le storie di gioventù bruciate (ed è impossibile non pensare al River Phoenix del suo “Belli e dannati”, morto troppo giovane come James Dean), presenta il suo ultimo lavoro a Cannes, “Last days”, imperniato sulle ultime ore di un personaggio ispirato a Cobain. Si tratta di un omaggio ad una cultura capace di trasformare una storia individuale in una parabola sociale (come in “Elephant”, che rievocò l’emblematica strage del liceo Columbine). Non dunque un pedissequo biopic, ma un puro pretesto (con protagonista il bravo Michael Pitt) per narrare le possibilità di fuga di una intera generazione, quella della presente epoca globalizzata, votata al nulla e sconvolta da turbinose nevrosi autodistruttive. Vediamo Blake (lo pseudo – Cobain) perdersi nella natura notturna di un bosco, alla ricerca di qualche ispirazione. Capiamo subito che egli vive da rifugiato nella sua bella villa di pietra, che evita pure le persone che gli vivono accanto, nello sconvolgente caos che è la propria vita.

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Van Sant segue il suo personaggio in banali momenti quotidiani, l’incontro con un venditore di Pagine Gialle, il gioco svogliato con un fucile, il suo rintanarsi a cercare le note, il suo disperato vagare prima dell’ultima canzone (il titolo significativo, “Death to birth”, è lo stesso del brano composto dall’attore Pitt). L’ultimo rifugio è una serra dove, in un silenzio tenebroso, il nostro anti- eroe si toglierà la vita col fucile (il regista, non mostrandoci il gesto fatale si limita ad indicarcelo, mostrando il corpo inerte di Blake e il suo ectoplasma arrampicato sulle vetrate della serra). Con “Last days”, Van Sant conclude una splendida trilogia che potremmo definire del minimalismo psicologico iniziata con “Gerry” (film in Italia comprato dalla distribuzione e poi mai uscito in sala) e proseguita con la Palma d’Oro, “Elephant”. Il suo è un diario visivo- sonoro sulle ultime fasi di una vita, guidato da una bella e significativa colonna sonora prodotta da Thurston Moore, fondatore negli anni ’80 del più grande complesso punk- rock, i “Sonic Youth”. Girato in presa diretta, il film sonda le più segrete pulsioni di una intimità sconvolta, spesso fermandosi sulla soglia delle domande fondamentali riguardanti le pulsioni contraddittorie che tormentano le personalità sensibili in un mondo troppo commercializzato ed informatizzato. Accanto al protagonista, c’è infatti il suo contesto fantasmatico: nella sua villa si aggirano altre figure “perdute”, come i personaggi di Lukas Haas (quello di “Witness”) e della nostra Asia Argento. Il dramma di una individualità alla ricerca di una possibile redenzione, il dramma di questa specie di Kurt Cobain (o del “maledettismo” che, un po’ a tratti, ci possiede tutti) arriva a compiersi mentre i rituali del quotidiano procedono implacabili e sordi ad ogni ammonimento. Attraverso la tv che trasmette insulsi videoclip (come quello, scelto da Van Sant, della canzone dei “Boyz II Men”) il Nulla avanza come uno tsumani travolgendo le identità più preziose del nostro pazzo pazzo pazzo mondo.

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