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La Voltapagine, la musica della follia

  • 12 febbraio 2007

La Voltapagine (La tourneuse de pages)
Francia, 2006
Di Denis Dercourt
Con Catherine Frot, Déborah François, Pascal Greggory, Clotilde Mollet, Xavier De Guillebon, Christine Citti, Jacques Bonnaffé, Antoine Martynciow, Julie Richalet, Martine Chevallier, André Marcon, Arièle Buteaux

Un talento non comune a contrasto con una personalità fragilissima: la sostanza del dramma di Mélanie ha queste frastagliate origini. La vediamo, all’inizio del film, affrontare a dieci anni una prova decisiva, l’audizione per un’ammissione al conservatorio. Ad esaminarla c’è una celebre pianista Ariane Fouchécourt (un’interpretazione di Catherine Frot che lascia il segno). Disturbato dall’eccessiva esuberanza di una fan assai inopportuna, l’esame si risolve in modo disastroso e la piccola, dolce Mélanie lascia in lacrime la sala. Già dalla sua prima scena è annunciato l’inquietante sviluppo di questo “La voltapagine” di Denis Dercourt, presentato prima nella sezione “Un Certain Regard” a Cannes lo scorso anno e poi al prestigioso Courmayer Noir in Festival nel dicembre 2006. La sensibilissima bambina che ha il volto della brava Julie Richalet si trasforma nella vibrante presenza di Déborah François (una delle migliori interpreti del contemporaneo cinema francese, già notata né “L’enfant” dei Dardenne e giustamente premiata a Courmayer) che regala una speciale, impalpabile ombrosità al personaggio di Mèlanie adulta. Dieci anni sono passati dalla sfortunata audizione e la ragazza si sottopone ad una nuova prova presso lo studio dell’avvocato Fouchécourt (Pascal Greggory), che guarda caso è il marito della concertista Ariane. Conquistato dal suo zelo, l’uomo chiede a Mélanie di entrare a casa propria occupandosi del figlio. Da qui in poi il racconto si sviluppa all’interno dei canoni del noir psicologico, con la giovane voltapagine, determinata e sfuggente, impegnata a tessere un’insidiosa tela di ragno nel confronto con la sua antica esaminatrice, un’Ariane divenuta col tempo più ansiosa, impaurita com’è da un possibile fallimento professionale. Il freddo sadismo di questa relazione dagli ambigui risvolti saffici è contrappuntata dall’intensa colonna sonora di questo film intrigante e raffinato, le originali composizioni di Jérôme Pétament.

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La nevrotica deriva di Mélanie arriva a sfogarsi persino col figlioletto di Ariane, sofferente di una fragilità al legame dei tendini delle mani, costretto a soggiacere alle sfide sempre più esplicite della voltapagine (come quella di aumentare fino allo spasimo il ritmo del metronomo), conduttrici di una più incisiva vendetta nei confronti della famiglia ospite. Siamo dunque nel territorio già esplorato in film come “La pianista” di Haneke, dove la protagonista Isabelle Huppert elabora la propria follia immergendosi negli impervi anfratti della sessualità deviata. E il regista Dercourt (peraltro esperto professore di viola e di musica da camera a Strasburgo) si rivela assai abile a dirigere la sua “partitura” fatta di sguardi trasversali e di esplosivi silenzi, ammiccando ad un possibile parallelismo tra vendetta privata e riscatto sociale nel racconto del tormentato percorso della protagonista decisa a giocare fino in fondo la propria partita pericolosa dove una fatale attrazione arriva a mutarsi in una trappola perversa. E’ sul filo del rasoio che si consuma la messinscena di un rapporto tra carnefici e vittime, utile ad indicare il vertiginoso divenire di una quotidianità (che è quella nostra contemporanea) permeata di addolorate, rabbiose risonanze. Il teatro è sempre quella provincia francese cara al maestro di tutti, Claude Chabrol, che somiglia in modo inquietante a quella italiana dei recenti, efferati delitti inutili. La villa della “tranquilla” famiglia Fouchécourt è dunque il crocevia universale non solamente delle mai tramontate trame del genere noir ma anche delle più reali ed immanenti tensioni dell’attuale, frustrata società del vuoto dove ancora un incendio può covare nelle braci mai spente di un talento inespresso.

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