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La vita del Cinema De Seta: fucina di cultura, vittima dell'indifferenza

Etrio Fidora racconta del De Seta, prima sala pubblica di tutta la Sicilia che si nutre soltanto della passione di giovani e associazioni, resistendo all'indifferenza di molti

  • 11 aprile 2017

Una scena del film "Nuovo Cinema Paradiso"

Nel cuore di Palermo c'è un piccolo luogo che si nutre di sogni, alimentato dalla passione e dalle speranze di giovani accomunati dall'amore per il cinema.

È la Sala Cinematografica "Vittorio De Seta", spazio costruito all'interno dei Cantieri Culturali alla Zisa e rubato al degrado del tempo e dell'incuria. Ma soprattutto, dell'indifferenza generale che vi incombe ancora oggi, a quasi dieci anni dalla costruzione, avvenuta nel 2008, e dall'apertura, datata 2012, sebbene si tratti della prima sala cinematografica pubblica di tutta la Sicilia.

«È abbastanza bizzarro che la gran parte dei ragazzi palermitani che si interessano di cinema non sappiano che esiste una struttura pubblica, che dovrebbe essere veicolo culturale per l'intera città».

Così riflette ad alta voce Etrio Fidora, programmer del "Sicilia Queer Filmfest", con l'incredulità di chi da quattro ben anni ha fatto del De Seta un impegno costante, sin da quando era ancora uno studente dell'Accademia di Belle Arti.
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Un incontro fortunato, avvenuto grazie al suo insegnante di cinema, con il direttore artistico del "Sicilia Queer" Andrea Inzerillo, che lo ha pian piano coinvolto nelle attività della sala, fino alle rassegne di Sudtitles, associazione culturale nata dalle menti del Queer.

«Il De Seta sarebbe vuoto senza le associazioni culturali, che vivono soprattutto di finanziamenti privati. Il nostro è un direttivo di appena una decina di persone, che lavorano instancabilmente tutto l'anno, senza percepire nemmeno un centesimo. Non per una questione venale, ma siamo lasciati da soli. Ci fa andare avanti soltanto l'amore per tutto questo».

Manca quell'entusiasmo che dovrebbero esser "congeniti" allo spazio. Di congenito resta soltanto il menefreghismo delle istituzioni, che in mettono mano alla questione in modo altalenante e a seconda di dove tira il vento.

Un entusiasmo che sembra estraneo anche agli stessi palermitani, restii ad occupare le poltrone della sala. «In altre città, specialmente all'estero, è un po' come se i ragazzi "adottassero" gli spazi pubblici, alimentando uno scambio ed un legame quasi affettivo con il luogo, regalandogli una vita che altrimenti non avrebbe».

Serve un cambiamento, non soltanto istituzionale ma anche culturale, nel senso più reale del termine. E a partire da questo, fare leva su una errata concezione astratta della cultura, perchè «cultura non è solo "vado a vedere un film". Cultura è anche lavoro, cultura è tante cose. Di cultura si può mangiare».
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