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“La bestia nel cuore”: dai sipari strappati la luce del vivere

  • 19 settembre 2005

LA BESTIA NEL CUORE
Italia, 2005
Di Cristina Comencini
Con Giovanna Mezzogiorno, Alessio Boni, Stefania Rocca, Angela Finocchiaro, Luigi Lo Cascio, Giuseppe Battison, Francesca Inaudi, Lucy Akhurst

Anche un sogno può causare dei fatali turbamenti capaci di sconvolgere l’equilibrio degli eventi. Un sogno può aprire le dighe della memoria, può dare respiro all’angoscia facendo sanguinare ferite che si credevano rimarginate. I sogni possono divenire la realtà dei nostri giorni contati, una vita parallela che diventa la nostra vita. Ogni fuga verso il futuro è un ritrarsi dal presente del dolore quotidiano, segnato della stimmate di un passato torbido. E’ quella particolare dimensione a sconvolgere la vita di Sabina, protagonista dell’ultimo film di Cristina Comencini, “La bestia nel cuore”, che la regista ha derivato da un suo romanzo edito da Feltrinelli. Sabina (interpretata con intensità da Giovanna Mezzogiorno, premiata per questo ruolo a Venezia con la Coppi Volpi dove il film è stato presentato in concorso) fa di mestiere la doppiatrice. All’inizio la vediamo cimentarsi con una scena di stupro di un dozzinale telefilm americano. La donna ama ed è riamata da Franco (Alessio Boni), un attore che ha appena firmato un contratto per una fiction ospedaliera diretta da un regista sfigato e frustrato di nome Negri (il divertente Giuseppe Battiston). Sabina è in dolce attesa e non lo ha ancora comunicato al suo uomo, fino a quando un sogno arriva a turbare i suoi pensieri, un sogno che la proietta nella sua infanzia, lei bambina in tutù rosa, un corridoio buio, la madre silenziosa, il fratellino Daniele impaurito nel suo letto, e poi il padre che prima la guarda e poi entra nella buia stanza da letto dove riposa Daniele.

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Emilia (Stefania Rocca), la migliore amica di Sabina, ha una malattia che l’ha resa cieca. Perdipiù è segretamente innamorata di lei, perduta in un labirinto tenebroso e senza punti di fuga. Sabina prende la decisione di andare a trovare il fratello Daniele (un commovente Luigi Lo Cascio), che vive a Charlottesville in Virginia. E’ un professore universitario sposato con Anne (Lucy Akhurst), e padre di due bambini. E’ una occasione, per i due, di far luce su un passato segnato dalla tragedia di un incesto. Della storia del film fanno parte anche Maria (una bravissima Angela Finocchiaro), direttrice di doppiaggio abbandonata dal marito per una ragazza coetanea della figlia, ed Anita (Francesca Inaudi), una giovane attrice a cui spetta il ruolo della morta nella fiction ospedaliera, e che riesce a sedurre Franco, durante la trasferta americana di Sabina. Con “La bestia nel cuore”, Cristina Comencini realizza il suo film più denso e coinvolgente ed anche il più equilibrato per quanto riguarda lo stile: merito anche di Francesca Marciano e Giulia Calenda con le quali la regista ha scritto il copione. Il film non è privo d’ironia (del resto la Comencini ha la commedia nel sangue, figlia di quel grande Luigi, monumento made in Italy che fu, delicato narratore di personaggi infantili).

E su tale versante, la Finocchiaro, in qualche passaggio narrativo, sembra rubare la scena alla Mezzogiorno, giocandosi assai bene le battute più divertenti della pellicola, lasciando spazio ai toni più amari del proprio personaggio, simile a quello di Battiston, le cui scene sono un altro momento ironico della storia. Un teorema sul dolore, questo “La bestia nel cuore”, una riflessione sul tempo unico delle piccole tragedie quotidiane, come quella che segna Daniele, preda della sua difficoltà nel non riuscire ad abbracciare i propri figli. C’è anche il tema della perdita della persona amata e del desiderio di riempire i vuoti amorosi (la sequenza contestata del bacio saffico tra Emilia e Maria ha il pudore di chi vive con il tormento nel cuore). La luce del vivere è invece rappresentata dalla nascita del bambino di Sabina, che così riesce a vincere la bestia che alberga nel suo cuore guardando al futuro ad occhi aperti, dopo che i nodi del passato sembrano essersi sciolti. La Comencini riesce a lanciare anche un messaggio contro la stupidità commerciale delle soap opere intrise di violenza e di melassa, specchio dei nostri tempi ridicoli (Alessio Boni rifà il verso a se stesso in “Incantesimo”!). Un’opera quieta e delicata che sa però affrontare argomenti toccanti e brucianti (come quello della violenza ai minori), evitando l’enfasi saccente delle pellicole a tema. Un film sull’amore come rivelazione di sé, come possibilità di estasi e di dialogo col mondo, come costruzione di quell’architettura che ci ostiniamo a chiamare persona.

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