ARTE E ARCHITETTURA
L'inquietante innocenza delle bambole della Milici
La bambola rappresenta nell’immaginario collettivo l’innocua compagna di giochi dell’età dell’innocenza, di un’infanzia intenta a destreggiarsi nel mondo dei balocchi fingendo, però, situazioni domestiche e vicende del mondo reale, viste però, dallo sguardo dei bambini. Si sa, però, che spesso dietro l’apparenza ludica può celarsi un’inquietudine che una sensibilità adulta può far venir fuori, trasformando il giocattolo in feticcio, fantasma, minaccia. Si pensi, ad esempio, alla bambola dal volto ceruleo del celebre film "Che fine ha fatto Baby Jane" (1962), con un’indimenticabile e crudele Bette Davis, o alla bambola a dimensioni umane che il pittore espressionista austriaco Oskar Kokoschka si fece costruire con le fattezze esatte del suo amore finito e tormentato, Alma Mahler (1919), e che distrusse in una sorta di esorcismo liberandosi, finalmente, del suo ricordo. La bambola è la protagonista assoluta della mostra “Like Heartbreaking Dolls”, della giovane pittrice Esmeralda Milici, visitabile fino all’8 gennaio 2006 presso la Civica Galleria d’Arte Moderna “Giuseppe Sciortino” (Complesso Monumentale Guglielmo II, Piazza Guglielmo II, Monreale - Palermo, info: 091 6405443), a cura di Vincenzo Ferraro.
Le protagoniste dei dipinti, abbigliate come bimbe vezzose con costumini all’antica, come moderne Barbie o marionette di legno, fluttuano simili ad apparizioni su fondi pittorici neutri, spesso scuri (in verità, l’aspetto in alcuni casi meno risolto delle opere, che possiedono, nell’insieme, una certa magnetica suggestione ipnotica), e vi risaltano, grazie alla precisione fotografica che delinea i volti, gli sguardi assenti ma attraversati da lampi di ironia, sfida o malinconia, le chiome, le maschere di questi moderni idoli votivi, o gli specchi della nostra anima.
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Come afferma lo stesso curatore nel testo critico di presentazione, «variazioni su un medesimo tema o piuttosto metaforiche riflessioni in serie, le bambole di Esmeralda sono come delle parti di noi – giacché un tempo qualcuno come noi ha condiviso con esse molto più di qualche gioco – affondate dentro di noi e dimenticate tra galassie di altri mille frammenti di vita incosciente. Con i loro occhi vitrei, già spenti o socchiusi sotto al peso di ciliose palpebre meccaniche, esse restano sul bilico di un autistico isolamento. Raccolgono, così, in silenzio il loro e il nostro disagio – poiché attraverso il loro raccontano il nostro».Le protagoniste dei dipinti, abbigliate come bimbe vezzose con costumini all’antica, come moderne Barbie o marionette di legno, fluttuano simili ad apparizioni su fondi pittorici neutri, spesso scuri (in verità, l’aspetto in alcuni casi meno risolto delle opere, che possiedono, nell’insieme, una certa magnetica suggestione ipnotica), e vi risaltano, grazie alla precisione fotografica che delinea i volti, gli sguardi assenti ma attraversati da lampi di ironia, sfida o malinconia, le chiome, le maschere di questi moderni idoli votivi, o gli specchi della nostra anima.
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