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In the Cut: una pellicola al femminile

Frannie (Meg Ryan), una insegnante di scrittura creativa che indossa giacca di pelle e occhiali scuri come fosse una rockstar di Woodstock

  • 20 dicembre 2003

IN THE CUT
Australia Usa 2003
Thriller
Di Jane Campion
con Meg Ryan, Mark Ruffalo, Kevin Bacon

Luci rossastre avvolgono la New York dei quartieri bassi che Jane Campion e Susanne Moore – autrice del libro che ha ispirato il film e cosceneggiatrice – hanno voluto come setting di questa oscura storia d’amore e di sesso che si snoda parallelamente al thriller; le immagini sono a tratti sfocate e sgranate e la città sembra quella dei vecchi noir in bianco e nero, eppure siamo lontani dalle atmosfere di un vero thriller. Sembra che la Campion e la Moore abbiano scelto di servirsi della struttura del thriller per divulgare la loro nuova e liberatoria visione dell’universo femminile. “In the Cut” rompe con la tradizione delle donne come satelliti che ruotano intorno agli uomini e si tiene, fortunatamente, egualmente lontano sia dalla figura della femme fatale alla Sharon Stone di “Basic Instinct” – a cui per altro il film è stato già più volte paragonato – che dalle wonder-woman alla Lara Croft.

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Frannie (Meg Ryan), una insegnante di scrittura creativa che indossa giacca di pelle e occhiali scuri come fosse una rockstar di Woodstock, è una donna fragile, insicura tanto da nascondersi dietro una lunga frangia che le rende a malapena visibili gli occhi – ed aumenta l’ambiguità impenetrabile del suo personaggio. Ma è anche piena di risorse, innamorata di un lavoro che la soddisfa perché più che un mestiere è “una passione”, come lei stessa dirà in un primo incontro con quel poliziotto che sarà presto suo amante. Dietro il suo aspetto dimesso e a tratti sfuggente, possiede una forte sensualità e, di fronte ad una scena di sesso in cui le capita di imbattersi, anzicché chiudere gli occhi resta incuriosita a guardare. Deve la sua serenità anche all’ intenso legame con la sorellastra: un rapporto concepito come ulteriore omaggio all’universo femminile, alla capacità delle donne di concedersi quelle tenerezze e quella profonda complicità che nel rapporto con gli uomini sembrano bandite. I personaggi maschili del film non brillano certo per sensibilità e dolcezza ma l’intento della Campion è lontano dalla verosimiglianza, sacrificata per dare rilievo al mondo dei pensieri, dei desideri e dei sentimenti di Frannie.

Forse il film sarebbe stato più onesto se invece che spacciarsi per un thriller – cosa che in effetti non è dal momento che, con un po’ di capacità intuitiva è possibile indovinare chi sia il colpevole molto prima che l’identità di quest’ultimo venga ufficialmente rilevata – si fosse dichiarato per quello che è: l’intenso ritratto di una donna che, come la protagonista di “Lezioni di piano”, si trova a confrontarsi con i suoi desideri e con un uomo brutale che la strappa al suo ovattato mondo di sognatrice. In fin dei conti si tratta di un Bildungsroman cinematografico e la persona che con la sua presenza tiene vivo il mondo dei ricordi d’infanzia di Franny e la casta affettuosità dell’età prepuberale - qui incarnato dalla sorellastra – dovrà morire perché la maturazione possa fino in fondo avvenire.

Un film fatto da una donna per le donne, che, ci auguriamo, molte donne vadano a vedere per dimenticare il thriller e scoprire l’emozione di sentirsi un po’ più fedelmente rappresentate – rispetto all’indegna semplificazione che fa la maggioranza dei registi uomini – attraverso una sincera riscoperta del femminile lontana dagli onnipresenti tabù sessuali, a cui non è riuscita a sfuggire –  nostro malgrado – neanche la Sofia Coppola di “Lost in Transalation”.

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