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Gli involucri urbani di Giorgio Ortona

  • 18 dicembre 2006

Roma, città aperta alle mille trasformazioni, alle metamorfosi del quotidiano, paesaggio che si evolve sotto l’occhio inconsapevole dello spettatore che non fa caso o che non vuole vedere. La periferia urbana, silente immagine di vita che scorre, a noi rimane negata dalla forza di una cancellatura. Le immagini evidenziano un’assenza di suono, ma una stridente tangibilità di edifici che in un dedalo di incastri si mostra nelle prime luci dell’alba; nella loro semplicità sono in grado di trasmette una profonda sensazione di calma apparente e di solitudine evidente.

Questa è la Roma che Giorgio Ortona rappresenta sulle tavole di piccola e media dimensione, quasi schizzi carpiti, impressioni che l’occhio del pittore coglie dalla finestra del suo studio, che però mostrano nel disegno ben definito, nelle geometrie ineccepibili e negli scorci prospettici, la sua formazione da architetto. La Galleria Nuvole (via Matteo Bonello 21) presenta una selezione di questi lavori nella mostra "Giorgio Ortona - Roma", fino al 22 dicembre (dal martedì al sabato ore 17-20, sabato anche 11-13).

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Ortona è nato a Tripoli (Libia), vive e lavora a Roma. Ha esposto in numerose gallerie italiane e straniere. E' un artista legato alla rappresentazione del paesaggio urbano, in particolare alla periferia romana che con sguardo lenticolare ripercorre e seziona. In alcune tavole Roma suburbana è ripresa dall’alto, con i suoi grigi, gialli, celesti, con le lingue d’asfalto che tagliano e scandiscono il fraseggio fitto degli edifici industriali e dei condomini.

L’occhio dello spettatore entra in questa definita e particoraleggiata miniatura della città, ne scopre gli anfratti, le superfici taglienti e spigolose di edifici, si stupisce di quelle cancellature che ultimamente, nell’evoluzione del linguaggio dell’artista, negano presenze con il ritmo insistito delle pennellate e dei segni quasi graffiati della matita. Sembra quasi nelle inquadrature che Giorgio Ortona predilige, di rivedere le immagini di Roma città aperta di Rossellini o di ritrovare la geografia urbana dei paesaggi di Renzo Vespignani; ma il riferimento più evidente è alla Escuela realistica madrileña e in particolare alla figura del pittore realista Antonio Lopéz Garcia, di cui Giorgio ha seguito i corsi presso l’Università di Cadice, e da cui ha appreso l’attenzione per la rappresentazione del quotidiano e della città, saturata da una luce limpida e pura.

In altre opere, l’attenzione è catturata da un particolare (una cancellata o una gru), posto proprio lì, al limite della tela, che attira lo sguardo e lo conduce a perdersi nei grigi sfumati di una giornata piovosa. Una città osservata da un balcone, dove l’uomo è presente solo in forza di quel paesaggio che sotto i suoi occhi lentamente si trasforma, come in “Sergio guarda Roma” dove rimani attonito nell’osservare che l’evidente cancellatura grigiastra nasconde una presenza umana che l’artista ha cancellato perché solo il paesaggio è il nodo concettuale della sua opera.

E anche quando all’edificio Ortona accosta la figura umana, che evidentemente è rappresentata con una voluta inversione di proporzioni, o quando con singolare maestria ci presenta una personale interpretazione di una natura morta costituita da sacchi di cemento, vediamo che il riferimento ultimo, insistito, è a quella città che cambia, che nell’immaginario dell’artista è in grado di suscitare molteplici sensazioni e che lui trasmette in modo diretto, anche se ricercato, carico di lirismo. Anche gli interni delle abitazioni si mostrano nella lucida geometria degli spazi calcolati, in un tempo bloccato.

“Lucia” ci accoglie nella sua casa ma di lei non sappiamo nulla, anche i suoi tratti fisiognomici sono negati da un’ombra che le ricopre il volto, ma sta lì ferma, a mostrarci il frammento di paesaggio che giornalmente osserva dal suo balcone e a noi questo basta. La figura del padre di spalle, le sagome di “Yoram” interrotte da brandelli di pittura bianca, la presenza della moglie colta in un banale momento della giornata, mostrano con malinconia e estrema delicatezza, un «eroismo del quotidiano» - come afferma Lea Mattarella nel testo in catalogo - che ci permette di ritrovare «la bellezza, la forma, la suggestione dappertutto». Ortona con la sua pittura colta, calcolata, in cui ogni particolare, vicino o distante, sembra sorgere nella luce, ci mostra una sensibilità e una bellezza che raramente riusciremmo a cogliere, perché lui costituisce un’empatica relazione con il paesaggio, lo assorbe in sé e ne viene catturato.

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