ARTE E ARCHITETTURA
Doppia coppia di sguardi sull'arte e la società
Un’indagine fresca, scanzonata ma incisiva al tempo stesso, sulle dinamiche relazionali che possono innescarsi nella realtà di oggi secondo il punto di vista di due coppie di giovani artisti, con uno sguardo che parte “dal basso”, dalle zone più underground della società, come quella dei punkabbestia (Nardi_Scopetta), o da un ambiente "nazionalpopolare" di cui si tende a mettere alla berlina gli stereotipi (Ciancimino&Tammaro). Potrebbe essere questo un filo conduttore sotteso alla mostra “Ciancimino&Tammaro+Nardi_Scopetta”, a cura di Daniela Bigi, ospitata fino al 10 settembre presso la galleria francescopantaleonearteContemporanea (via Garraffello, 25 - 90133 Palermo; tel. +39 091 332 482 / +39 091 326393, email: fpartecontemporanea@tin.it; orari: il giovedi dalle h 16.00 alle h 20.00 gli altri giorni su appuntamento).
Entrando nel primo ambiente della galleria, quello dedicato al duo marchigiano di Andrea Scopetta (1977)e Franco Nardi (1974), il visitatore viene accolto dalla solenne deriva di una zattera scalcinata, su cui è issato un brandello di bandiera, e a cui un tubo al neon ridona simbolicamente una perduta energia e un ventilatore la spinta a proseguire, con un ultimo sforzo, il suo percorso salvifico.
Il senso dell’arte come azione, come incrocio con la vita, è alla base anche dell’intervento performativo-installativo di Gabriella Ciancimino (1978) e Annamaria Tammaro (1977), l’una palermitana e l’altra casertana. Durante l’inaugurazione hanno messo in piedi un vero e proprio evento, un karaoke dal vivo ambientato in una pizzeria da quartiere popolare, che le due hanno interamente ricostruito all’interno della galleria nei minimi dettagli (tavolini, mensole piene di oggetti kitsch, quadri più che naif alle pareti dai colori improbabili, musica di sottofondo, piante finte, luci al neon). La folla dei presenti si è scatenata sulle note di canzonette e rap palermitani, creando una situazione all’insegna dell’ilarità ma anche dell’assoluto straniamento.
Come sostiene ancora Daniela Bigi, «Canta che ti passa - questo il titolo dell'azione proposta nella pizzeria/galleria - è innanzitutto un gioco, che si fa occasione di superamento di barriere, fotografia di risposte interpersonali, rischio, progetto. Si fa spaccato di una realtà ma contemporaneamente metafora progettuale. La consapevolezza della centralità della problematica comunicativa nel quotidiano, non solo di superficie ma anche intimo, di ciascuno è il primo passo per prefigurare scenari di convivenza più accettabili, e l'arte non può esimersi dal prendere una posizione rispetto a urgenze sociali di tale portata. Più che teorizzare bisogna agire, e così il cantare diventa occasione elementare di incontro, liberatoria, ludica».
Della performance canora rimane un godibilissimo video da fruire seduti al tavolo della pizzeria, davanti ai piatti ormai vuoti, ma in un contesto che innesca più di un processo concettuale, che può fare riferimento ai modi di fruizione di un’opera d’arte contemporanea, al concetto di tempo, allo smascheramento di stereotipi sociali che diverte e fa riflettere. Tutto ciò, alla libera interpretazione dello spettatore. Da vedere.
Entrando nel primo ambiente della galleria, quello dedicato al duo marchigiano di Andrea Scopetta (1977)e Franco Nardi (1974), il visitatore viene accolto dalla solenne deriva di una zattera scalcinata, su cui è issato un brandello di bandiera, e a cui un tubo al neon ridona simbolicamente una perduta energia e un ventilatore la spinta a proseguire, con un ultimo sforzo, il suo percorso salvifico.
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Poco distante, rimane il piedistallo su cui uno dei due artisti si è issato, con un look strappato e dissestato proprio dei girovaghi punkabbestia (rimane anche la statua di un cane, immancabile accompagnamento), con l’altera fierezza di una scultura classica, a cui il duo fa aperto riferimento. Come scrive la curatrice Daniela Bigi, i due sono «mossi da una naturale inclinazione al disturbo e da una altrettanto naturale istanza di "classicità". Già, perché sentendoli parlare, emerge spesso la loro convinzione, provocatoria ma poi non troppo, di essere degli scultori e di muoversi secondo un criterio di semplicità, di poesia, di essenzialità, di armonia. Dentro uno scenario che non è quello della Grecia di Pericle, certo, bensì quello lacerato ma edonista dell'inizio del terzo millennio, uno scenario entro il quale qualsiasi aspirazione alla classicità, così come alla scultura, impone una rifondazione, una riparametrazione».Il senso dell’arte come azione, come incrocio con la vita, è alla base anche dell’intervento performativo-installativo di Gabriella Ciancimino (1978) e Annamaria Tammaro (1977), l’una palermitana e l’altra casertana. Durante l’inaugurazione hanno messo in piedi un vero e proprio evento, un karaoke dal vivo ambientato in una pizzeria da quartiere popolare, che le due hanno interamente ricostruito all’interno della galleria nei minimi dettagli (tavolini, mensole piene di oggetti kitsch, quadri più che naif alle pareti dai colori improbabili, musica di sottofondo, piante finte, luci al neon). La folla dei presenti si è scatenata sulle note di canzonette e rap palermitani, creando una situazione all’insegna dell’ilarità ma anche dell’assoluto straniamento.
Come sostiene ancora Daniela Bigi, «Canta che ti passa - questo il titolo dell'azione proposta nella pizzeria/galleria - è innanzitutto un gioco, che si fa occasione di superamento di barriere, fotografia di risposte interpersonali, rischio, progetto. Si fa spaccato di una realtà ma contemporaneamente metafora progettuale. La consapevolezza della centralità della problematica comunicativa nel quotidiano, non solo di superficie ma anche intimo, di ciascuno è il primo passo per prefigurare scenari di convivenza più accettabili, e l'arte non può esimersi dal prendere una posizione rispetto a urgenze sociali di tale portata. Più che teorizzare bisogna agire, e così il cantare diventa occasione elementare di incontro, liberatoria, ludica».
Della performance canora rimane un godibilissimo video da fruire seduti al tavolo della pizzeria, davanti ai piatti ormai vuoti, ma in un contesto che innesca più di un processo concettuale, che può fare riferimento ai modi di fruizione di un’opera d’arte contemporanea, al concetto di tempo, allo smascheramento di stereotipi sociali che diverte e fa riflettere. Tutto ciò, alla libera interpretazione dello spettatore. Da vedere.
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