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Carmen, una zigana libera e maliarda

L’allestimento proviene dal Teâtre du Capitole de Toulouse, regia di Nicolas Joël, scene di Ezio Frigerio, costumi di Franca Squarciapino e le luci di Vinicio Cheli

  • 17 febbraio 2004

Carmen, uno dei personaggi-mito della letteratura e dello spettacolo moderni, ritorna a Palermo nella versione operistica di Georges Bizet sul palcoscenico del Teatro Massimo da mercoledì 18 a venerdì 27 febbraio prossimi. La locandina appare senza dubbio interessante con un direttore di grande esperienza e bravura quale Alain Lombard e una protagonista, Beatrice Uria-Monzon che è considerata oggi la più intensa e affascinante interprete della zingara più famosa del repertorio lirico. Con loro ci saranno il tenore siciliano Marcello Giordani nel ruolo di Don Josè, Raymond Aceto in quello di Escamillo e Maria Luigia Borsi come Micaëla. E ancora Marco Camastra sarà il Dancairo, Fabio Zagarella interpreterà il Remendado, Antonio Marani sarà Zuniga, Alessandro Battiato Morales, Carla Di Censo Frasquita, Patricia Fernandez ricoprirà il ruolo di Mercédès, Diego Gueci sarà Lillas Pastia. A questi interpreti si alterneranno in alcune recite Hadar Halevy e Marco Berti, nei ruoli dei protagonisti e poi, nell’ordine già citato Angel Odena, Giovanni Mele, Domenico Ghegghi, Maurizio Lo Piccolo, Enzo Di Matteo, Christine Rigaud e Gianna Racamato.

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L’allestimento proviene dal Teâtre du Capitole de Toulouse, con la regia di Nicolas Joël ripresa da Arnaud Bernard, le scene di Ezio Frigerio, i costumi di Franca Squarciapino e le luci di Vinicio Cheli. Naturalmente l’Orchestra, il Coro, il Corpo di Ballo e il Coro di Voci Bianche sono quelli del Teatro Massimo. La storia di questa zigana libera e maliarda inizia nel 1845, anno in cui Prosper Mérimée pubblica un racconto ispirato a una storia narrata dalla Contessa de Montijo, che aveva effettuato un viaggio in Spagna nel 1830. Vincitore del Prix de Rome, personaggio afflitto da malattie e crisi depressive, Georges Bizet è musicista di trentasette anni quando comincia ad analizzare la vicenda narrata da Mérimée e pensa di trasformarla in opera. Bizet aveva già scritto alcune opere, come Les pêcheurs de perles (1863), La jolie fille de Perth (1867) e L’Arlésienne (1872), che non erano state accolte con calore e la sua musica era tacciata di verismo o di eccessiva discendenza teutonica-wagneriana. Bizet decise di affidare la stesura del nuovo libretto a una coppia d’assi, i famosi librettisti Henry Meilhac e Ludovic Halévy (peraltro suo suocero), già autori delle più applaudite operette di Jacques Offenbach, il vero divo dei palcoscenici parigini di allora. Nel giugno 1872 i due poeti porgono al musicista il libretto di Carmen, sul quale lavorerà per circa due anni. L'opera debutta all’Opéra-Comique il 3 marzo 1875: l’accoglienza è freddissima. Bizet cade nuovamente in una delle sue ricorrenti crisi depressive, che però questa volta lo condurrà nel mese di maggio, alla morte, forse suicida.

Il mitodi Carmen, donna tutta istinto e passione, esplode sei mesi dopo a Vienna e si diffonde a macchia d’olio non solo nei teatri di tutta Europa ma ben presto anche al cinema: tutti i grandi registi sono stati attratti dalla sua vicenda da Cecil De Mille, a Chaplin e Lubitsch sino a Saura e Rosi. Recentemente anche lo stravagante Jérôme Savary ha riportato alla Salle Favart dell'Opéra-Comique, Carmen o meglio “Carmen 2 le retour” una versione “moderna” dell’opera di Bizet, letta in maniera parodistica dalla sua dissacrante fantasia. In realtà la Carmen di Bizet è il luogo musicale in cui più felicemente la tragedia si esprime col sorriso e viceversa, perchè come ha scitto Nietzsche “Tutto ciò che è divino corre su piedi leggeri”. È il sorriso ammaliatore di Carmen che seduce Josè a governare lo svolgimento dell’azione, che la vede prima interprete, motore dell’azione e poi vittima in nome della libertà. È lei che va da Josè per sedurlo; questi prima resiste e poi cede. Lei finalmente lo possiede, ma proprio il possesso, l’egoismo, segna la fine di tutto: in amore possiede uno solo, l’altro subisce. E quando è Josè a desiderare, a voler possedere, Carmen rifiuta, scappa, in nome della sua eterna libertà, per la quale alla fine muore. La musica di Bizet segue perfettamente questo svolgimento in due tempi dell’azione, presentandoci il dominio dell’uno o dell’altro amante, legandoli a temi che no possono essere Leitmotiven, ma ne assumono certe sembianze, sono guide, reminiscenze, ritorni.

La battaglia di Nietzsche nel suo scritto “Il caso Wagner” per opporre ai drammi tedeschi la leggerezza del sorriso di Carmen e far vincere questa, non avrà mai fine: è una battaglia ad armi pari e nessuno dei contendenti può perdere. Gli accordi finali dell’opera e la tensione emotiva dell’ultimo duetto fra Carmen e Josè, non sono altro che l’opposto mediterraneo di Tristano e Isotta: alla notte stellata e alla morte rasserenatrice e alla perdita di sé, si contrappongono qui la calda arsura mediterranea dell’Andalusia, il sangue e i coltelli, la festa e i colori della Corrida. Si replica il 19, (18,30), 20 (18,30), 21 (20,30 - fuori abbonamento), 22 (17,30), 24 (18,30), 25 (18,30), 26 (18,30) e 27 febbraio (20,30). Biglietti da 9 a 97 euro. Il botteghino è aperto tutti i giorni dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle ore 16 e poi un’ora prima dell’inizio dello spettacolo. Info al numero verde 800655858 oppure su www.teatromassimo.it

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