ATTUALITÀ
C'è un poco di mafia in ognuno di noi?
Il Sentire Mafioso spiegherebbe il sentimento di adesione a comportamenti illegali anche da parte chi nulla ha a che vedere con le attività criminali
C’era e c’è ancora un aggettivo più originale degli altri, tra quelli che circolavano tra i banchi di scuola. Nulla a che vedere con le banalità sulle presunte capacità da contorsioniste e domatrici di cavalli, appioppate a madri ignare (le nostre) da figli di ... a cui non portiamo rancore, noi che siamo cresciuti e che siamo di gran lunga superiori a quei bastardi.
Un aggettivo, dicevamo, un aggettivo originale che rimbalza dal Corso Dei Mille allo Zen, usato a mo’ d’insulto da molti studenti. Otto lettere, nome proprio di persona; lo è chi tradisce, un vigliacco. Spesso cammina in un “a braccetto” dialettico con cascittuni. Tenete a freno la soluzione, ci ritorneremo.
È di quasi vent’anni fa, ma ancora attualissimo, un costrutto psicologico di grande successo nell’ambito dei cosidetti studi sullo Psichismo Mafioso, noto col nome di Sentire Mafioso (Di Maria et al.). Oltre a una spiccata passione per il fuoco, sublimata nella cottura d’interiora di animali spesso sconosciuti, l’ipotesi è che i siciliani avrebbero delle caratteristiche tipiche, più o meno generalizzabili in questo Sentire. Giusto per mettere ordine nella definizione, il Sentire Mafioso può essere schematizzato in: scarsa fiducia nello Stato, cultura di coppia, familismo, pensiero monistico.
Ingabbiato in meccanismi di attaccamento familiari (cultura di coppia) che percepisce come infrangibili e che ripropone all’interno della società, il siciliano con forte Sentire Mafioso percepisce come maggiormente tollerabile l’accettazione omertosa del crimine, piuttosto che la rottura di questo patto così forte. Inoltre, si sente abbandonato da uno Stato le cui leggi percepisce come ingiuste. Seduttivo e rassicurante, il Sentire Mafioso lascia che il soggetto, inconsapevolmente, funzioni come da consuetudine, riproponendo schemi sociali già noti. Il siciliano non mafioso, il cittadino comune, anche quando non aderisce in termini di partecipazione al fenomeno criminale, ne è comunque pervaso. Egli sa cosa gli accade intorno, come e quando. E non ha bisogno di chiederselo. Ha una sorta d’intuito, un sesto senso.
È il Sentire Mafioso? Forse. Tutto ciò spiegherebbe il diffuso sentimento di adesione a comportamenti illegali anche da parte di soggetti che, nella propria vita, nulla hanno a che vedere con le attività criminali. Come siamo arrivati a questo punto? Come si è potuto accettare la presenza di una sorta di codice di cui un popolo intero non riesce a liberarsi, come se vi fosse rimasto ineluttabilmente incastrato? Facciamo un passo indietro, ai due “aggettivi a braccetto”.
Risolviamo il rebus, giusto per fare un favore ai meno loquaci: Buscetta, Don Masino, boss dei due mondi, primo vero pentito e anche aggettivo e insulto. Buscetta e cascittuni, dunque. Ma riflettiamoci un attimo. L’aggettivo cascittuni ha origini antiche. Antiche, sì, ma un sinonimo potrebbe anche essere profonde. Origini quindi affini, a una prima analisi superficiale, a quelle dello sterco. La cascitta, fra l’altro, altro non è che un recipiente che nel tempo si è guadagnato il privilegio di accogliere gli escrementi e le facce dei traditori puniti, premurosa nell’accontentare il tradito nell’associazione simbolica dei due elementi (da qui l’aggettivo cascittuni). Buscetta è invece, nell’immaginario collettivo del siciliano, la quinta essenza del traditore, del vigliacco.
Un insulto, né più né meno. Nulla è rimasto, nell’aggettivo, di quanto va riconosciuto al personaggio; criminale spietato da una parte, decisivo collaboratore di giustizia, dall’altra. Non si dice di qualcuno che è un “Buscetta” per dire che è un criminale, né per dire che è incline a servire la giustizia o semplicemente un tipo con un bel look.
Abbiamo detto che il Sentire Mafioso, un sentire per l’appunto, è preriflessivo. Non ne siamo consapevoli. Buscetta, l’aggettivo, è una traccia (una scia maleodorante, per rimanere nella profondità della metafora) del Sentire Mafioso. Una traccia da seguire, una crepa di cui possiamo accorgerci nel sistema antropologicamente condiviso dei nostri valori che abbiamo la tendenza a rifiutare con affermazioni del tipo “ecco il solito idiota che dice che i siciliani sono tutti mafiosi”. Saremo anche idioti, non lo mettiamo in dubbio. Ma non è quello che stiamo dicendo.
Stiamo parlando di una chiave di lettura della realtà che, condizionata dalle cose che abbiamo spiegato brevemente prima, spesso porta a una maggiore tolleranza verso un certo disimpegno morale. Il concetto non è che c’è un mafioso in ognuno di noi, ma che il Sentire mafioso sia causa e conseguenza della longevità stessa della mafia. Sarebbe allora utile una presa di coscienza? Certo che sì.
Indagare l’origine profonda delle cose, magari quella meno immediata e gratificante per l’autostima, è un primo passo nel tentativo di capirle. Una domanda sorge allora spontanea. E se questo Sentire avesse anch’esso radici profonde, come l’aggettivo cascittuni? Siamo davvero sicuri di avere il coraggio intellettuale di scoprirle queste origini di cui ci vergogniamo come se fossero feci e che mettiamo spesso in secondo piano, dietro ideologie e sublimazioni piacevoli per i palati ma non per gli animali?
Abbiamo veramente il coraggio di scavare in profondità, di tradire - Buscetta e cascittuni di noi stessi, del nostro codice culturale - l’immagine ideale che ci siamo costruiti, e arrivare in basso, e ancora più in basso? È nel tête-à-tête lì in fondo che, probabilmente, potremmo renderci conto di cose di cui non abbiamo consapevolezza e, riflettendo su di esse, iniziare a cambiarle. D’altronde, da qualche parte bisogna pur iniziare.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
STORIA E TRADIZIONI
Lo sfarzo a Palermo, poi il furto e la crisi: i gioielli perduti di Donna Franca Florio