CINEMA E TV
“Broken flowers”, i silenzi di un dongiovanni
Broken Flowers
Usa, 2005
Di Jim Jarmusch
Con Bill Murray, Sharon Stone, Jessica Lange, Frances Conroy, Tilda Swinton, Julie Delpy, Jeffrey Wright
Non possiamo che dare il bentornato a Jim Jarmusch! A due anni di distanza da “Coffe & Cigarettes” e a sei da “Ghost dog”, il più indipendente dei registi americani, colui che negli anni ’80 ha deliziato critici e cinefili con una serie di road movie disincantati, riuscendo a distillare con grazia, humour e malinconia, è tornato nella sua forma migliore con “Broken flowers”, film che, presentato a Cannes, si è portato a casa il Gran Premio della Giuria. L’attore protagonista di questo nuovo gioiello è un magnifico Bill Murray, attore singolare ed incisivo a cui negli ultimi tempi hanno cucito addosso dei personaggi originali e sognanti che lui ha interpretato con un'ironia degna dei grandi “brillanti” di una volta. E non solo nel giustamente celebrato film di Sofia Coppola, “Lost in Translation”, che per poco non gli ha fatto vincere il premio Oscar, ma pure nel sottovalutato (anche dal pubblico) “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”, dove ha impersonato un documentarista e oceanografo in una storia di conflitti edipici. L’Oscar, si sa, non ama i comici: se non l’ha conquistato il Peter Sellers del capolavoro “Oltre il giardino”, speriamo che se lo possa accaparrare Bill Murray, anche a nome di tutti quei grandi della risata (Chaplin in testa!), destinati al solito tributo semi-postumo alla carriera. Tornando all’accoppiata che ci riguarda, Murray aveva già interpretato uno degli irresistibili episodi di “Coffee & Cigarettes” di Jarmusch e adesso, in “Broken flowers”, fa il ruolo di Don Johnston (quasi omonimo del celebre divo), un maturo dongiovanni arrivato alla pensione. La sua vita è ormai noiosa: si addormenta spesso sul divano davanti ad una televisione accesa che trasmette “Le ultime avventure di Don Giovanni”, un cult diretto da Alexander Korda nel 1934 con Douglas Fairbanks nel ruolo principale.
Se Wenders con l’ultimo, bellissimo “Non bussare alla mia porta” (anch’esso proiettato a Cannes), indagava sull’antico mito della paternità e sul tramonto del cinema western, Jarmusch, in “Broken Flowers”, racconta con disincanto dell’afasia dei sentimenti che sembra travolgere il mondo contemporaneo, unendo questo tema a quelli eterni come lo scandalo della maturità e l’amaro calice della memoria che è difficile da bere fino all’ultima goccia. Lungo il tragitto, che somiglia ad una via crucis “rosa”, Don recupera una certa consapevolezza delle proprie mancanze (l’assenza di affetti e l’incessante insorgere di domande sul significato della propria esistenza). Seguendo il suo protagonista con affetto e disincanto, da autore sicuro e ormai maturo, Jarmusch dirige uno dei suoi film migliori dai tempi di “Permanent Vacation” e “Stranger than Paradise”. La sua è commedia esistenzialista, aspra ed essenziale, che riesce a colpire lo spettatore abituato alla melassa andante. E’ uno sguardo sul mondo che sta marcendo, sulla spietata vertigine del tempo che implacabilmente vanifica tutti gli sforzi di far quadrare il cerchio delle nostre povere esistenze. Ma è soprattutto uno di quei film che liberano la testa, l’opera di un cineasta puro non a caso dedicato alla memoria di Jean Eustache, maestro indiscusso dei filmakers indipendenti. “Broken flowers” ci rivela inoltre il talento di Bill Murray, capace come pochi di giocare con lo sguardo i più necessari silenzi di un cinema che sa alludere più che eludere.
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