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Lo schiacciapollici, la gogna e altri strumenti di tortura: il Museo della pena di Brolo vi attende

Se siete appassionati di storia, anche dei suoi aspetti più cruenti, non potete non visitarlo. È una terribile testimonianza degli strumenti utilizzati in passato per la tortura e per l'esecuzione capitale

  • 26 agosto 2021

Uno degli strumenti del Museo della pena e della tortura di Brolo

Se siete appassionati di storia, anche dei suoi aspetti più cruenti, non potete non visitare il Museo della pena e della tortura di Brolo, in provincia di Messina.

Il Museo è una terribile testimonianza degli strumenti utilizzati in passato per la tortura e per l'esecuzione capitale.

Il luogo testimonia la crudeltà che caratterizzava i secoli passati, l'impatto emotivo è notevole e una visita può servire da monito per tenere a bada il lato più oscuro della natura umana, quello legato alla sopraffazione, alla crudeltà, alla cattiveria e al potere.

Il museo si trova in un luogo molto suggestivo, presso il Castello di Brolo, costruito nel X secolo d. C., situato su un promontorio a picco sul mare. Fu casa nobiliare e residenza della principessa Bianca Lancia, moglie dello ''Stupor Mundi'' Federico II e madre di Manfredi Re di Sicilia.

Il castello è anche sede della leggenda di Maria La Bella: lo spirito della donna vagherebbe ancora oggi per il castello, aspettando il suo amato.
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La tortura è presente fin dall'antichità e quasi tutte le culture ne hanno fatto uso, ma in cosa consiste esattamente? Oggi noi ''torturiamo'' un nostro amico, quando gli chiediamo insistentemente di raccontarci qualcosa che non vuole raccontare, o ''torturiamo'' il nostro partner chiedendogli cosa ci facesse online su WhatsApp alle 3 di notte.

Ecco, un tempo la tortura non aveva niente a che fare con i nostri piccoli drammi quotidiani, ma in ballo c'erano informazioni ben più importanti o semplici ''antipatie'' politiche che però non finivano con un cordiale e pacifico ''rimuovi dagli amici'' o ''smetti di seguire'', ma con le torture più atroci.

La tortura è un metodo di coercizione psicologica e fisica, che serviva per estorcere informazioni, confessioni o per punire. All'interno del Museo di Brolo ci sono diversi strumenti di tortura, soprattutto utilizzati dal Tribunale dell'Inquisizione, suddivisi per epoche storiche e per tipologia. Vi si trovano infatti gli strumenti di scherno e quelli di inquisizione vera e propria, che servivano per l'interrogatorio. Spesso la tortura serviva solo per estorcere terre e spodestare nobili.

Alcuni strumenti sono la garrotta, lo schiacciapollici, la sedia inquisitoria, la forcella dell'eretico, costituita da due forche che penetravano sotto il mento e il petto. Solo a raccontarne la descrizione vengono i brividi.

Uno degli strumenti più conosciuti è sicuramente la gogna, collare di ferro che doveva cingere il collo, e che successivamente si trasformò in un marchingegno in legno con dei fori entro cui veniva infilata la testa del malcapitato. Spesso la gogna, o la berlina, veniva posta in pubblica piazza, affinché il prigioniero si ritrovasse alla mercé dei passanti, infatti ancora oggi si utilizza l'espressione ''mettere alla gogna'' che significa ''svergognare'', ''esporre qualcuno allo scherno altrui'', ''esporre al ridicolo''.

Oggi il limite a cui - fortunatamente - arriviamo (almeno dalle nostre parti), è ''blocca l'utente Facebook'', quell'opzione ci dà una gioia immensa, soprattutto se la persona incriminata ci ha aggiunto agli amici e ci ha invitato a mettere like alla pagina ''La parola poetica del Bianconiglio'', oppure se la persona incriminata è il nostro/la nostra ex, e la relazione non si è conclusa nel migliore dei modi.

Altri strumenti visibili al museo sono la ''cicogna della storpiatura'', un oggetto che immobilizzava con dei cerchi il collo, tenuto stretto ai polsi e alle caviglie. Non mancano le ''maschere di schernimento'', con lo scopo di rendere ridicoli e occludere naso e bocca; il ''piffero del baccanaro'', strumento di umiliazione che serviva per stritolare la vittima; il ''cavallo spagnolo'', trave di legno con uno spigolo su cui si doveva salire sopra, e tanti altri strumenti che fanno accapponare la pelle.

Alle torture assistevano il boia, un notaio e un dottore, che doveva avvertire quando si stava esagerando. Il notaio doveva trascrivere tutto quello che avveniva.

Una visita al museo, oltre a farci respirare la nostra storia per essere sempre più consapevoli, ha l'intenzione di evitare che in futuro si possano ripetere analoghi scenari, non dimentichiamo che in alcuni stati la torura è ancora lecita o viene mascherata, provocando decessi di cui non si conosce la causa.

La visita può farci riflettere, dunque, non solo sul passato, ma anche su quello che avviene lontano dai nostri occhi, ma pur sempre nel nostro tempo e attorno a noi e che quindi ci riguarda in prima persona.
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