STORIA E TRADIZIONI
Le "zitelle" ignorate e il nipote più amato: quello che (ancora) non sai del Gattopardo
Studiato a scuola, considerato uno dei capolavori della letteratura contemporanea, reso celebre dal film. Cosa c'è ancora da dire sul Gattopardo? Ve lo diciamo noi
Una scena dal film "Il Gattopardo"
Studiato a scuola, considerato uno dei capolavori della letteratura contemporanea, tradotto in tantissime lingue, l’ultima in coreano, reso ancora più celebre dal magnifico film di Visconti.
Eppure leggendolo o rileggendolo si può ancora scoprire qualcosa. Il primo quesito è sui figli del Principe: il primogenito è Paolo, poi c’è Giovanni, Francesco Paolo, Concetta, Carolina, Caterina, e una settima figlia, Chiara, mai menzionata, che scopriremo alla fine del Romanzo, dove è scritto di essere "maritata a Napoli".
Non comparirà mai nel romanzo, c'è da chiedersi se non sia stata inserita alla fine, per giustificare quel numero sette o se ci sia altro.
In una lettera inviata dallo Scrittore all’amico Enrico Merlo Barone di Tagliavia, si legge: «Molte cose non sono dette ma solo accennate».
Sicuramente poco considerati e apprezzati in tutto il romanzo, i figli si vedranno superati in attenzione e affetto dal nipote Tancredi, considerato "il figlio vero".
Potere economico in cambio di un titolo. Tra le figlie del Gattopardo, sarà Concetta a essere meno in ombra, mostrerà un carattere fiero e orgoglioso, sconfitta da Angelica, subirà la scelta del padre che ignorerà volutamente il suo amore per il nipote.
Il Principe Fabrizio sarà poco incline a trovare qualità nelle donne arrivando a paragonare le ragazze aristocratiche, nelle quali noterà difetti fisici dovuti ai troppi matrimoni consanguinei, a delle "scimmiette", "intente ad arrampicarsi con la coda mostrando il deretano", e che con i loro continui "Maria, Maria…" (esclamazione di meraviglia o disappunto), assomiglieranno ai versi delle bertucce quando si trovano in branco.
Le 3 sorelle, Concetta, Carolina e Caterina rimarranno "zitelle" e si dedicheranno all’acquisto di reliquie e quadri miracolosi con cui riempiranno la Cappella fatta costruire a Palazzo. Raggirate, sarà la Chiesa a decretarne la falsità, obbligandole a buttare quella "paccottiglia" nella spazzatura e facendo riconsacrare il luogo di culto, con grande offesa e umiliazione delle Salina.
Il bellissimo Principe Fabrizio biondo alto possente vigoroso, con i tratti ereditati dalla madre tedesca, non si riconoscerà nei figli. Paolo non gli assomiglia né fisicamente né come carattere, ha il volto emaciato e "una malinconia metafisica", con un unico interesse: i cavalli. Il principe dirà che erano da preferire i vizi e le sciocchezze di Tancredi, piuttosto che la passione del figlio preoccupato a «guardare tutto il giorno la cacca del cavallo».
Paolo dedicherà tutto alla sua passione e morirà a seguito di una caduta da cavallo lasciando una vedova, senza mai essere stato apprezzato dal padre. Sul figlio più piccolo Filippo Paolo sappiamo poco, sarà all’inizio del libro un adolescente. La vera sorpresa sarà il secondogenito Giovanni, l’unico simile al padre fisicamente, con una spiccata intelligenza apprezzata dal genitore ma che farà una scelta "rivoluzionaria": sparirà all'improvviso da casa.
Di lui non si avranno notizie per due mesi, fin quando non arriverà una lettera "fredda e rispettosa" da Londra dove, scusandosi per le ansie provocate, dirà di preferire la modesta vita di "commesso in una ditta di carbone", piuttosto che la vita agiata da aristocratico.
La lontananza di questo figlio ribelle che "tradirà la sua nascita", svincolandosi dalle catene del Casato, sarà un "pizzicore al cuore del Principe". In tutto il romanzo non ci sarà mai un riferimento o un incontro con Giovanni, che continuerà la sua vita lontano. Singolare la scelta del secondogenito, l'unico che avrebbe potuto contendere al cugino attenzioni e affetto.
Una scelta incomprensibile per certi versi, che crea una rottura nel romanzo e lascia pensare. Giovanni lo ritroveremo alla fine del libro, in quegli ultimi due capitoli cui lo scrittore tiene di più; diventato commerciante di brillanti, diraderà sempre di più le lettere inviandone una con un braccialetto per la mamma, che però arriverà quando sarà morta.
Di lui dice Tomasi di Lampedusa: «Anche lui come il padre aveva corteggiato la morte, con l’abbandono di tutto aveva organizzato quel tanto di morte che è possibile metter su continuando a vivere».
Qualche suggestione questo personaggio la provoca, c’è da chiedersi se la storia di Giovanni non sia stata influenzata dal cugino Fulco di Verdura che abbandonò tutto, lasciando l'Italia, diventando un creatore di gioielli terminando la sua vita a Londra. La misteriosa Chiara, Giovanni e le vicende degli altri figli sono stati omessi nel Film che terminerà a metà del Romanzo: alla sera del ballo.
C’è da chiedersi se nella prossima serie di Netflix dedicata al romanzo, si andrà oltre, se si dirà attraverso gli eredi del Gattopardo come la Storia spazzerà «privilegi e caste, vecchi frac, tube e crinoline».
In tutto il libro ricco di sfaccettature aleggia un senso di fine, a iniziare dalla frase di apertura del romanzo «nunc et in hora mortis nostrae amen», a chiusura della recita del Rosario, sino all’epilogo, quando Concetta deciderà di buttare oltre le reliquie anche la carcassa tarmata del cane Bendicò imbalsamato, anche lui volerà dalla finestra diventando un mucchietto di livida polvere. Si legge che tutto in quella polvere, troverà pace.
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