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Le dici in Sicilia ma sono nate al Nord: sono cinque parole (che proprio non ti aspetti)

Nessun dialetto come il siciliano è capace di far capire subito intenzioni e concetti. Alcuni dei nostri termini però vengono da lontano. Ecco quali

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 2 febbraio 2024

Ammetto che ogni tanto, nonostante cerchi di darmi un contegno, esco fuori al naturale, utilizzando termini ed inflessioni che, da semplice cultore della Sicilia e della "sicilianità", scivolano pericolosamente verso il tascio allo stato puro.

Parliamoci chiaro, nella mia famiglia si parlava e si parla solo in italiano, a scuola dalle suore lo stesso, ca sennò ti dovevi accollare un numero indefinito di mea culpa a ghinucchiuna, ma sta di fatto che bisognava pur sopravvivere in quel di Santa Maria, che se per caso parlavi troppo in italiano eri o finuliddu, quindi ti schifiavano, oppure tutto matello, e ti schifiavano lo stesso.

Io, fortunatamente, un po’ riuscivo a integrarmi, e se per caso pronunciavo male qualche parola oppure facevo periodi in italiano troppo lunghi, alla fine venivo perdonato picchi, «mischinu so matre è ri dda fora!», come se fosse un’onta da dover lavare via.

D’altronde, c’era pure da capirli. Voi vi dovete immaginare un campo da calcio creato a cumegghiè su un asfalto rovente alle 15.30 del pomeriggio di agosto e Iachino che, per non farvi prendere la palla, vi tira la maglietta e vi fa arrotare a terra con conseguente sminchiamento ed escoriazioni multiple al sapore di brecciolino di catrame.
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Una cosa è reagire con un «cose iccari ti sgagnu i cuoinna a fariti addiventare u frate ru scantu!» con conseguente lampiata di prima, un’altra è reagire con «birbantello cosa fai? Rischi che io possa accalorarmi» puntando il ditino verso l’artefice della malefatta. Non c’è storia.

Memorabile fu l’aggaddo tra u Musca e u Sogghiu. Il primo, infervorato dal tentativo di scippargli la palla, non si accorse che sganciò una calcagnata, con le scarpe da muratore, al Sogghiu, il cui rumore si udì fino a Cruillas.

Il Mosca aveva il terrore negli occhi, ma u Sogghiu con molta calma si alzò, si scotolò la maglietta dalla polvere, guardò lo stinco nero e sanguinante e… semplicemente sorrise. Tutti ci rilassammo, senonché in una frazione di secondo venimmo riportati alla realtà dalle urla del Mosca, la cui faccia stava venendo stricata di forza, dal Sogghiu, su un muro grezzo, il tutto addicendo con flemma britannica, <<chiddi comu a tia hanno a finire comu u capuliato>>.

A noi l’educazione siberiana ‘nna poteva sucari! Tutto questo per dire che, forse, nessun dialetto è esplicativo come il siciliano, capace di farti capire subito intenzioni e concetti.

Però sappiate che, anche se la cosa potrebbe farvi accupare il cuore, alcuni termini (pochi certo, ma ci sono) hanno origine dalla polentonia.

A noi altri unn’annabastavano Vandali, Bizantini, Arabi, Normanni, tricchi tracchi e bumme a mano, siamo riusciti ad “ospitare” anche i Lombardi (probabilmente motivo per cui il cognome Lombardo è così diffuso alle nostre latitudini). L’ idea l’ebbe re Ruggero II per cercare di ripopolare alcune zone della Sicilia rimaste praticamente deserte in seguito alle varie dominazioni.

Per cui, tra il XI ed il XIII secolo, invitò coloni del nord, soprattutto Piemonte, a trasferirsi da noi con la promessa di terre, sussidi e poche camurrie.

Per noi, a prescindere da quale zona del nord Italia provenissero, erano semplicemente Lombardi. Sembrerebbe quindi, il condizionale è d’obbligo, che alcune nostre espressioni possano derivare proprio da dialetti settentrionali.

Vugghia o agugghia
Da non confodersi con la spingula, a vugghia, ovvero l’ago, potrebbe essere un adattamento del settentrionale aguggia, che a sua volta origina dal latino acucula. Ma non chiedete mai una acucula ca senno rischiate di fare malafiure.

Giusto pur parlè, Ie vugghie sono pure dei pesci azzurri, che infarinati e fritti sono troppo belli, e che proprio per la loro forma allungata ed a punta vengono chiamate come lo strumento da cucito.

Ruppu
Quando qualcosa sembra irrisolvibile, il siciliano esclama, <<minchia va sciogghi stu ruppo!>>. Il ruppo o gruppu è un nodo, ma non un nodo qualsiasi da pisciteddu i cannuzza, u ruppo è quando le corde si ammatassano tra di loro rendendo il tutto impossibile da districare. Ecco spiegata la similitudine con una situazione ingarbugliata. Una volta in cui mi invitarono a pescare, a bordo di una barca, cominciai a tirare la lenza perché un pesce aveva abboccato, incurante però di come la lenza si stesse aggrovigliando ai miei piedi.

Alla fine, mostrando tutto fiero la mia microsardina di circa 2 cm, il padrone della barca, pescatore vero, tistiò verso la lenza aggrovigliata dicendomi <<nca bravo… ora va sciogghi stu ruppo>>.

Si presume che l’origine lombarda sia groppo, che potrebbe derivare dal gallo-italico grop, ovverosia nodo. Il termine potrebbe essere stato portato dalle dominazioni germaniche in Italia, durante le quali i neocrucchi utilizzavano il lemma kruppa proprio per indicare un nodo complesso.

Pumu
Se andate a Ballarò è possibile che sentiate abbanniare, <<signoraaaa talia che beddi puma chi aiu!>> Tralasciando i doppi sensi, per noi u pumu è un qualsiasi frutto dalla forma sferica, ma nel profondo nord il pomo o pum, è legato al latino pomum, che sta ad indicare nello specifico la mela. Per le cose giuste, c’è da dire che il termine potrebbe derivare anche dal francese pomme.

Uorbu
La parola più usata dagli automobilisti, assieme ad altri epiteti più incisivi, quando, troppo spesso, qualche figlio di libera professionista taglia la strada o fa altre manovre automobilistiche alla pene di segugio.

L’uorbu indica una persona cieca o comunque qualcuno gravemente ipovedente. Proveniente dal latino orbus (privo, sprovvisto), in settentrione divenne orb, e con la nostra parlata un po’ strascicata divenne infine uorbo.

Ruvulu o ruviettu
Ho un brutto ricordo dei ruvietti dato che da piccolino, pur di raccogliere qualche mora, precipitai dentro una di queste trappole del demonio uscendone tutto fridduliato. Ruvulu è più usato nella parte orientale della Sicilia, mentre ruviettu in quella occidentale. Dovrebbe originare dal latino robur, (che starebbe indicare la quercia e per antonomasia la forza) divenuto poi rovol al nord.

Soggiru e soggira
Amati o odiati, il loro appellativo potrebbe derivare dal latino socerum, virare al volgare socrum, che infine divenne in alta lombardia souser, per assonanza a beaperè (suocero in francese).

Troja
Cognome molto diffuso in Sicilia e non vado oltre, pezzi i vastasacieddi! In realtà l’offesa potrebbe derivare proprio da questo termine. Infatti in alcune zone della Sicilia la troja sta ad indicare la scrofa e in particolar modo il suo caratteristico verso, il che porterebbe ad assimilarlo ad una donna di facili costumi ed il suo parlare civettuolo.

L’origine potrebbe derivare dal porcus troianus, ovvero il maiale farcito che ricorda un po’ il cavallo di troia con i soldati, ma recenti ipotesi darebbero le origini dalla parola troca, usata in settentrione, che deriva dal gaelico torc che sta ad indicare il verro, ovvero il maschio del maiale adibito alla riproduzione.
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