CURIOSITÀ
Le cose che (ancora) non sai sulla Santuzza: qual è l'altra città che ha liberato dalla peste
Questo luogo è all'estero ma non è molto lontano. La storia di quando una famosa città europea si tinse di rosa e di nero. Un tuffo nel passato, qualche secolo fa
"Santa Rosalia" di TvBoy a Barcellona
Eppure ce ne sta un’altra che da palermitano mi fa arrizzare le carni perché credevo ne avessimo l’esclusiva: Palermo non è l’unica città che Santa Rosalia ha liberato dalla peste ma ce n’è un’altra. Qual è? Barcellona, quella in Spagna, non Pozzo di Gotto. Ma facciamo un salto indietro!
Tutto ha inizio nel 1624, quando una bella mattina in vicolo Cefalà, vicino alla Cala, vengono trovati quattro morti deceduti (mansinnò erano ancora vivi) per essere entrati a contatto con "roba infetta". Per la serie "semu ricchi e u’nnu sapi nuddu", è arrivata la peste.
«Com’è, bella Palermo?», gli chiede il re Filippo IV. «Da morire!» manco fa in tempo a dirlo che si piglia la peste pure lui e caput. Chi si alza perde la piazza chi si siede è un cavaliere. Anzi no, è arcivescovo perché al suo posto viene nominato Luogotenente del Regno di Sicilia Giannettino Doria che arcivescovo lo è veramente.
La situazione degenera: calci, tirate di capelli e sputazzate; anche perché, oltre i morti, il prezzo del grano è salito alle stelle e per comprarsi il pane bisogna accendere un mutuo. Finalmente però la manna da cielo, o più precisamente le ossa di Santa Rosalia da monte Pellegrino che si vocifera siano miracolose.
All’inizio, per la verità, non è che la gente ci creda tanto assai, soprattutto considerando che ai tempi al posto dell’erba si spacciano sortilegi e al mercato si trovavano più ossa di santi che scarola. Non c’è tempo da perdere per uno come Giannettino Doria che è nato il 24, è dell’ariete, e quindi è un cornuto.
Niente fa? Prende le ossa, le porta in processione e miracolosamente la città viene liberata dalla peste. La storia che sappiamo tutti grosso modo è questa, Viva Palermo&Santa Rosalia.
Ok, ma Barcellona che ci trase? Ci arriviamo. Passa qualche anno, la peste viene dimenticata e come viceré viene nominato uno che come nome ha la formazione titolare del Real Madrid: Rodrigo Díaz de Vivar Sandoval Hurtado de Mendoza.
E se in quel momento in Sicilia - a parte quattro rivolte - l’inquisizione, le avvelenatrici, i pirati, i briganti, la fame- si gode di discreta serenità, non può dirsi lo stesso per la Spagna.
È già in corso da un decennio quella che passa alla storia come Sollevazione della Catalogna. Piove sul bagnato, perché questi disgraziati di Catalani si trovano proprio tra la Spagna Castigliana di Filippo IV (che in quel momento ha più possedimenti di Berlusconi) e la Francia di Luigi XIII che a dispetto del futuristico "Liberté, Égalité, Fraternité" è più propenso a "Cafuddè, Carcagnè, a Tingnitè".
La verità è che l’esercitò di Filippo IV, con la scusa della guerra dei trent’anni e quella del confine nemico, s’è andato a infilare in Calogna - tipo mio zio Aspano quando nella settimana di Ferragosto occupava la spiaggia di Triscina - e non se n’è andato più.
Dall’altra parte i francesi fanno la stessa cosa e vogliono prendersi Valencia e l’Aragona. I catalani manco avevano più gli occhi per piangere, figuriamoci se si potevano accollare una marmaglia di malacarne che un poco parla in castigliano e un poco farfuglia in francese.
Per fortuna nel 1648 la pace di Westfalia pone fine a questo strazio, gli Spagnoli si rilassano, i francesi perdono interesse verso la Catalogna. Come dice Vasco Rossi: «E intanto i giorni passano, e i ricordi sbiadiscono, e le abitudini cambiano».
Si rilassano tutti tranne i catalani, perché la calma apparente fa tornare nella testa di re Filippo l’idea di riprendersi Barcellona. È il 1651 e in quattr’otto riorganizza l’esercito e lo affida ad un certo don Giovanni D’Austria.
Sembra che stia andando tutto a gonfie vele e che sia il tempo riaffondare la spada della vittoria che, tipo attacco di dissenteria nel giorno del colloquio di lavoro, scoppia la peste e il focolaio è proprio tra i soldati spagnoli.
Filippo si convince a quel punto che ci vuole fortuna pure per farsi un uovo fritto e per un attimo pensa di comprarsi due euro di corda e andarsi a buttare a mare con una pietra al collo.
D’improvviso, però, complice anche il conte-duca di Olivares, Gaspar de Guzman, nonché suo braccio destro, si ricorda delle reliquie di quella santa che aveva liberato Palermo dalla peste nel 1624 e gli avevano spedito per posta poco dopo.
Ma come aveva potuto fare a dimenticarsene? Invocata proprio da lui stesso medesimo, Santa Rosalia (o quello che ne rimane) viene fatta sfilare in processione per le strade di Barcellona ed anche qui si compie il miracolo che consentirà alla Corona di trionfare.
Per quel breve periodo Barcellona, più che blaugrana, si tinse di rosa nero, Filippo si prese la tanto amata Catalogna e Santa Rosalia andò a vincere la Coppa Campioni al Camp Nou battendo anche in trasferta la peste.
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