STORIA E TRADIZIONI
La "Vicaria": ci passi ogni giorno ma (forse) non sai che qui c'erano le carceri di Palermo
Nell'immaginario collettivo c'è l'idea che le carceri della Vicaria avessero delle "segrete" sotterranee usate per far espiare tremendi delitti. La storia è un'altra
L'ex Vicaria di Palermo
Don Garcia decise il suo prolungamento sino a dove oggi si trova la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo: «A 16 di giugno. Si misero a dirupare le case del Cassaro per fare la strada detta Toledo».
L'ulteriore prolungamento della stessa strada sino a Porta Felice si dovrà al viceré Marco Antonio Colonna a partire dal 1581. È durante questi lavori che il Senato di Palermo nel 1578 penserà di dotare la città di un nuovo edificio da destinare a Regia Dogana dopo che i locali di Palazzo Steri, utilizzati fino a quel momento, risulteranno insufficienti.
«A 3 d'Aprile 1578, giovedì. Essendo viceré l'Ecc.a del sig. Marco Antonio Colonna, presidente di Giustizia l'illustre sig. Luca Cifontes dottore, e tutto il Consiglio, si cominciò a fare lo fosso dell'appidamento della nova dogana nello piano della Marina».
Nella parte superiore, invece, ospiterà le aule del Tribunale di Giustizia di Palermo. Infine tra il 1840 e il 1844 la Vicaria verrà definitivamente trasformata dall'architetto Emmanuele Palazzotto nell'odierno (anche se abbandonato) Palazzo delle Reali Finanze.
Il nome Vicaria deriva dalla "Vicaria vecchia" di Napoli, antico palazzo di giustizia della città partenopea: «Dovette il suo nome alla gran Corte della Vicaria risultante dalla fusione della Gran Corte e della Corte del Vicario (o Vicaria) quest'ultima istituita da Carlo d'Angiò».
A Palermo le pubbliche carceri erano molteplici.
C'erano quelle del Palazzo Reale, quelle del Castello a mare, le carceri pretoriane e via dicendo. Ma nel 1595, sotto il governo del Viceré Conte d'Olivares, si pensò di adattare il nuovo edificio delle dogane «accioché le stanze di sopra servissero per li Magistrati e Tribunali del Regno e quelle di sotto per pubbliche carceri».
Esiste nell'immaginario collettivo l'idea che le carceri della Vicaria avessero delle “segrete”, cioè delle celle sotterranee utilizzate per far espiare tremendi delitti ai condannati o nelle quali gettare a vita scomodi personaggi (Alexandre Dumas docet). Tuttavia sino ad oggi non sono state rinvenute tracce di queste stanze.
Il fatto potrebbe spiegarsi semplicemente concependo l'idea contraria, cioè che non siano mai esistite, dato che l'edificio non fu pensato in origine come un carcere, ma semplicemente come grande magazzino della dogana e soltanto successivamente adattato a pubblico carcere.
Non va trascurato però che nei Capitoli della venerabile Opera di Nostra Signora di Visita Carceri vengano citate le “oscure segrete” e quanto scrisse in merito alle stesse Gaspare Palermo nella sua Guida: «Oltre delle ordinarie prigioni, vi esistevano molte segrete, alcune più oscure, e ristrette, ed altre meno, che prima dell'attuale forma di governo e del nuovo Codice Criminale si adoperavano per la veridica, e sincera confessione del delitto. Eravi parimenti la stanza ove si davano le strappate di corda, ossia la tortura».
Nonostante ciò, ad oggi, non vi sono riscontri architettonici che possano testimoniare la presenza delle “oscure segrete”, le quali potrebbero essere state completamente distrutte durante i lavori di adattamento per la costruzione del Palazzo delle Finanze. La mole della Vicaria era sita all'estremo nord del piano della Marina tra la via Toledo che la limitava a sud, la via Cassari a nord, il Piano della Fonderia o via di Porto Salvo a est e la via dei Tintori a ovest.
Per la sua costruzione venne distrutta una pubblica fonte su via dei Cassari e fu accorpata al nuovo edificio anche l'abitazione del nobile palermitano Antonio Bologni, come ci riferisce Vincenzo di Giovanni: «fu sul lato settentrionale dell'odierno palazzo delle Finanze già fabbricato nel 1578 dentro il Piano della Marina e in parte sulle case de' Bologna, per uso di Dogana, di Tribunali e di Vicaria, o grande Carcere; sì che allora “fu levata, avvisa il Villabianca, la fontana pubblica che era in istrada presso le dette case de' Bologni, innanti l'antica porta della Legna».
È interessante una nota di Gioacchino Di Marzo sul testo del Villabianca.
Il Di Marzo ricorda che parte dell'acqua di questa fonte era stata riservata ad Antonello Gagini come riconoscenza per alcune opere scultorie realizzate nella cattedrale di Palermo.
«Il Pretore e i Giurati della città concedevano al famoso scultore Antonio Gagini nel 1529, in segno di gratitudine per le stupende opere da lui scolpite nel Duomo di Palermo, parte dell'acqua che sopravanzava da questo pubblico fonte».
Dalle piante topografiche della città di Palermo del Cartai, del Florimi e dell'Hogenberg, risalenti tra la seconda metà e la fine del XVI secolo, nel luogo in cui è sita la Vicaria si nota un agglomerato di edifici. Ma già nelle carte del XVII secolo la singolare costruzione a forma di parallelepipedo è ben visibile, come ad esempio si nota nella pianta redatta da Paolo Amato per il Senato di Palermo nel 1680 o in quella del Marchese di Villabianca del 1774.
La facciata principale della Vicaria era quella che guarda piazza Marina, così come è oggi quella del Palazzo delle Finanze. Si presentava con un portale al centro sormontato da una lapide incisa e da un'aquila maestosa ad ali spiegate. Nella parte bassa la facciata era suddivisa da 8 lesene, tra le quali si affacciavano 10 grate al di là delle quali vi erano le celle dei detenuti. Ai lati del portale vi erano due fonti gemelle «particolarmente note per la bontà e incorruttibilità della loro acqua».
La parte alta, dove erano stati allocati gli uffici dei magistrati e dei tribunali, era invece caratterizzata da 10 finestroni con cornici e balaustre. In maniera simile erano divise le altre facciate delle Vicaria. «Dalla parte di Oriente di questo edificio vi è la porta grande segnata di numero 2; dalla quale si sale alla Cappella, dove si dispongono a ben morire per tre giorni i condannati a morte».
La Compagnia dei Bianchi si occupava solo di “accudire” gli ultimi tre giorni di vita ogni condannato a morte affinché morisse in grazia di Dio. Va qui notato che nei Capitoli della Venerabile Opera di Nostra Signora di Visita Carceri, risalenti al XVIII secolo, non si fa menzione di alcuna statua seicentesca della Madonna di Visita Carceri venerata all'interno della Vicaria, ovvero quella che si troverebbe oggi nel carcere dell'Ucciardone, ma il Mongitore ci descrive un dipinto di Maria Consolatrice degli Afflitti sito nell'allora cappella dei Bianchi al piano superiore della Vicaria: «Immagine singolare per lo pregio della dipintura, che mostra la vergine addolorata, e trafitta da sette spade nel petto, in segno de' sette principali dolori che tollerò in questa vita mortale: dono della Signora Principessa di Sant'Arcangelo».
Al carcere della Vicaria vi andavano tutti in detenuti di bassa estrazione, mentre per i nobili vi erano le carceri del Castello a mare. Infine per i reati contro la fede vi erano le carceri dell'Inquisizione, le quali notoriamente si trovavano a Palazzo Steri, ma queste non furono le uniche. Le carceri della Vicaria pare fossero terribili, tanto che i detenuti non trovavano conforto in nulla.
Fu per le "cottidiane miserie"” dei detenuti «non avendo chi li provvedesse di vitto cottidiano, di vesti e d'ogn'altra cosa, che fosse all'umana natura bisognevole, in modo che riducevansi a morire di pura fame» che il 15 giugno 1627 il signor D'Arrigo Pimintelli marchese di Tavara, Presidente del Regno di Sicilia, istituì un'Opera detta di Santa Maria di Visita Carceri costituita da un numero di sette Deputati nobili, i quali avevano il compito di prendersi cura dei detenuti e il diritto ad avere una “infermeria”, una stanza «nelle dette carceri inferiori».
Nel 1635 il Viceré Duca d'Alcalà istituì «nelle stanze superiori del carcere» uno “Spedale” per la cura dei detenuti e nel Settecento verrà eretto un ospedale nella Vicaria “pe' Leprosi, Rognosi e Gallici”. L'11 aprile del 1840, per maggior decoro della città, si cominciò il trasferimento «de' detenuti, in numero di 399, dalla Vicaria alle nuove carceri» site nel piano dell'Ucciardone.
In merito a questo toponimo Rosario La Duca ricordava che il sito prendeva il nome non proprio perché ivi sorgeva un campo coltivato a "carduna", parola derivante dal francese "le chardon" che significa "il cardo", ma dalla proprietà di un certo Richarduni, dal quale nome per corruzione della parola si ricaverà "Ucciarduni". La Vicaria verrà destinata ad ospitare le Real Finanze.
Il progetto della ristrutturazione sarà affidato all'architetto palermitano Emmanuele Palazzolo che nell'arco di 4 anni, dal 1840 al 1844 modificherà quasi del tutto l'intero edificio, il quale ospiterà uffici amministrativi fino ai primi anni duemila, prima di essere totalmente abbandonato, così come ancora oggi appare nonostante ipotetici progetti di “rivalutazione amministrativa”.
(Per approfondimenti su questo argomento leggi anche Il lavoro negli stabilimenti carcerari e nei RR Riformatori; Historia cronologica delli Sigori Viceré di Sicilia di Vincenzo Auria pag. 69; Guida Istruttiva...1858 di Gaspare Palermo pag. 96; Palermo divoto a Maria Vergine... di Antonino Mongitore Vol. I pag. 519 e seg.; La topografia antica di Palermo dal secolo X al XV di Vincenzo Di Giovanni pag. 186, 187; Il piano dell'Ucciardone in di Rosario La Duca in La città perduta Vol. II pag 196 e seg.)
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