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"La spusa majulina nun si godi a cuttunina": a maggio si sposavano le cattive (secondo Ovidio)

Vi raccontiamo perché il mese di maggio è da sempre ritenuto un mese poco propizio per le nozze: il matrimonio durerebbe poco e la sposa non godrebbe il corredo

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 17 maggio 2022

In Sicilia, il mese di maggio potrebbe essere un ottimo periodo per celebrare un matrimonio, anche all’aperto: il clima è mite, ma non afoso e la luce è perfetta per un servizio fotografico impeccabile; invece questo mese è da sempre ritenuto poco propizio per nozze felici e ancora oggi non viene preso in considerazione dai fidanzati più superstiziosi, a causa di quel detto tradizionale che recita: “La spusa majulina nun si godi a cuttunina!” (la sposa di maggio non si gode la trapunta invernale).

La cuttunina era una trapunta imbottita, piuttosto pesante e faceva parete del corredo della sposa, insieme a gonnelle, salviette, lenzuola, tovaglie da tavola e fazzoletti: sposando a Maggio il matrimonio sarebbe durato poco e la sposa non si sarebbe potuta godere il corredo. Affermava F.Maggiore Perni: “La sposa potrebbe morire presto, senza godersi la coperta del corredo che ricopre il talamo nuziale.” (Statistica della città di Palermo, 1878).
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L’antico pregiudizio che le nozze celebrate a Maggio portavano male era molto diffuso nel popolo siciliano: “Ab antico (E’ testimoniato già nel Settecento) Maggio ed Agosto sono stati ritenuti nefasti e difficilmente si sposerebbe in questi mesi.” Scriveva Giuseppe Pitrè in Usi e costumi del popolo siciliano (1889)

E sul Giornale di Sicilia si leggeva: “Maggio è mese di pregiudizi e di superstizioni antiche e moderne. Vuolsi dal popolino mese di malaugurio pei matrimoni da tempo antichissimo a tutt’oggi.” (G.Inzenga, Giornale di Sicilia, 7 Maggio 1883.)

Osservava ancora il Pitrè, che i matrimoni in maggio e Agosto in Sicilia erano rari e non avevano comunque proporzione coi rimanenti dell’anno: i fidanzati non volevano sfidare la sorte, ritenendo quei mesi come “mal augurati e di sinistro preludio alla vita dei coniugi”.

Gli studiosi ritengono che l’origine di questa “grande ripugnanza” sia antichissima e che risalga addirittura al mondo pagano. Scriveva Ovidio: “Mense malas Maio nubere vulgus ait”: il popolo dice che le donne cattive si sposano a Maggio. (Fasti) Gli antichi romani non si sposavano mai di Maggio: quei giorni non erano adatti alle nozze e chi vi prendeva marito non viveva a lungo.

Il motivo era dato dal divieto di contrarre matrimoni durante le feste dei “Lemuria” (9, 11 e 13 maggio) ossia durante le festività dedicate ai lemuri, gli spiriti dei morti, anime che non riuscivano a trovar riposo: gli “spiriti della notte” uscivano dalle tombe e tornavano a vagare sulla terra, a tormentare i vivi: non erano certo giorni adatti alle nozze e chi vi prendeva marito non viveva a lungo.

Secondo Ovidio a istituire queste feste, per tenere lontane i lemuri, fu Romolo, probabilmente per placare lo spirito senza pace del gemello Remo, da lui ucciso. Il rituale prevedeva che il pater familias ossia il capofamiglia, gettasse alle sue spalle per 9 volte alcune fave nere, recitando formule propiziatorie. Durante queste feste i templi venivano chiusi ed era proibito sposarsi.

I periodi più propizi per le nozze nell’antica Roma erano Aprile, mese sacro a Venere e la seconda metà di Giugno (durante il periodo di transizione fra la primavera e l'estate) mese sacro a Giunone, dea protettrice del matrimonio. Anche di questa usanza pagana vi era traccia in Sicilia, affermava infatti il Pitrè che fino al XVII secolo chi si sposava nel mese di Giugno preferiva il giorno di San Giovanni Battista ossia il 24 di giugno.

Anche l’avversione dei futuri sposi per convolare a nozze nel mese di Agosto potrebbe risalire al mondo pagano: “A spusa agustina si la porta la lavina (torrente, fiume)”, la donna che si sposa nel mese di agosto, se la porta via un fiume di lacrime.

Ad Agosto gli antichi romani celebravano una delle tradizioni religiose più oscure, il Mundus Cereris, la festa dedicata ai “Mani”, le anime benevolenti dei defunti.

La festa aveva un forte richiamo al significato originario del culto di Cerere, non solo come divinità che fa crescere le messi, ma soprattutto come divinità ctonia (sotterranea), guardiana del mondo dei morti.

Veniva aperta una fossa, dalla forma simbolica di utero rovesciato, scavata al centro della città: il mundus era aperto e pertanto quei giorni erano segnati nel calendario con la dicitura mundus patet. L'apertura del mundus (che avveniva 3 volte all’anno) metteva in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti, gli spiriti dei defunti potevano ritornare nel mondo dei vivi e aggirarvisi a loro piacimento. Durante quei giorni vi era una serie di divieti rigorosissimi da rispettare, tra cui quello di non prender moglie: avrebbe portato male.
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