DIARI DI VIAGGIO
La Sicilia dei banditi e dei feudi, un silenzio irreale: qui (anche) le pietre hanno segreti
Un viaggio che sembra dilatare tempo e spazio. Luoghi di festa e di morte, la cui bellezza nasconde tracce di storia italiana ancora avvolte nel mistero
Portella della Ginestra
Il bilancio fu 27 feriti, 11 vittime, tra loro donne e bambini, altri moriranno dopo per le ferire riportate. Abbiamo lasciato la bellezza regale di Ficuzza e dopo la notte trascorsa a Corleone, siamo andati a Portella della Ginestra.
Abbiamo preso la strada che taglia all’interno, sconsigliata da tutti, piena di buche, senza segnalazioni, con lunghi tratti non asfaltati, percorsa soprattutto da grandi camion.
Pochissime macchine, segno che continua a essere un problema la rete viaria interna della Sicilia. Ci siamo avvicinati poco alla volta, attraversando quelli che una volta erano i grandi latifondi, i Feudi, arrivando a San Giuseppe Jato, un paese che si snoda lungo salite e discese.
Un viaggio che mi è parso lunghissimo. Il primo pomeriggio, quando lascio la macchina al parcheggio e incomincio a girare tra queste pietre, ripensando a quel primo maggio 1947. Erano arrivati in circa 2000 da Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, per la Festa dei lavoratori.
Situazione che agitò diversi “animi" della politica, mafia, proprietari terrieri, presunti servizi segreti nazionali e non, gruppi eversivi e gli esecutori materiali della strage.
La matrice politica non fu mai dimostrata in tribunale, la verità giace ancora negli archivi, in quei documenti secretati dallo Stato.
Il coinvolgimento di così tanti mandanti, oltre che a creare confusione, contribuisce ad avanzare l’ipotesi di un complotto, dove entrarono un po' tutti, troppi per riuscire a individuare le singole responsabilità.
Il dato certo è che l’autore di questa strage fu Salvatore Giuliano, le cui posizione politiche erano ben note, ma che probabilmente fu l’ultimo anello di una catena partita dall’alto e che si servì della sua banda per coprire accordi intercorsi tra vari soggetti.
Lo stesso "Turiddu" racconterà di aver ricevuto una lettera dove gli fu chiesto di compiere la strage, missiva che dirà di aver distrutto, dove sicuramente gli fu offerto qualcosa in cambio di quest’atto criminale.
Si vociferò che il bandito desiderava avere una copertura per raggiungere gli Stati Uniti. Di questa lettera non sapremo mai niente, e considerando l’attendibilità di chi ne ha parlato, potremmo anche immaginare che non sia mai esistita.
Misteri su Misteri. Certo è che il Ministro degli Interni Scelba, chiamato a riferire in Palamento, sconfesserà la matrice politica, liquidandola come "banditismo Feudale".
Strana dichiarazione smentita durante il Processo di Viterbo da Pisciotta che riferirà di rapporti tra Scelba e Giuliano, aggiungendo che il bandito fosse consapevole di non potersi fidare del Ministro, sapendo che "lo voleva morto" perché a conoscenza di troppi segreti che ne avrebbero decretato, una volta svelati, la fine della carriera politica.
Un classico "affair" all’italiana, dove Giuliano, pagò per tutti mostrando tutti i suoi limiti e confidando troppo sul suo potere. La stessa morte rimane uno dei più incredibili depistaggi della nostra storia.
Ma torniamo a Portella, a queste 2000 persone che sentirono gli spari e videro accasciare le persone che avevano vicino.
Il panico provocato portò i lavoratori a trovare rifugio dietro i sassi, in buche, cercando di correre il più in fretta possibile, avendo ben chiaro da dove provenivano i colpi di mitraglietta.
È stato calcolato che l’agguato durò 12 minuti, un tempo infinito se consideriamo che fu sparato nel mucchio, senza un obiettivo preciso, l’intento era uccidere più gente possibile.
Questi contadini volevano assegnate le terre incolte, abbandonate, che non producevano valore se non quello di far parte di una proprietà terriera.
Terre, invece che sarebbero state importanti per quei braccianti da sempre sfruttati, afflitti da miseria e fame. Uno dei testimoni di allora racconterà «Volevamo solo un po' di quella terra incolta, questa fu la nostra colpa«».
Osservo questo territorio, delimitato da fiumi e torrenti, un vento caldo soffia agitando le sterpaglie, c’è un silenzio irreale, rotto da quei camion e da auto vecchie e smarmittate.
Mi aggiro in questa "Land Art" spettrale, con grandi pietre calcaree incise e poste intorno ad un grande masso il "Sasso Barbato", il socialista italo - albanese fondatore e dirigente dei Fasci Siciliani dei Lavoratori.
Con un muro a secco e un percorso di 40 metri in direzione degli spari, questo Memoriale incute timore ancora oggi, sembra di essere in una fossa alla mercé di cecchini appostati in alto.
È estate e non ci sono più le ginestre che danno il nome a questo luogo, e che in quella primavera inoltrata del 1947 videro macchiarsi i loro petali di rosso, mentre le "pietre bevvero il sangue" d’inermi contadini.
Sono rimasta un tempo indefinito, seduta su uno dei sassi, poi sono risalita in macchina sono scesa dall’altro versante a Piana degli Albanesi con il suo lago artificiale, è da lì sono andata verso l’ultima tappa del viaggio.
È passato quasi un mese da questa visita, e nel rumore elettorale tra schieramenti che si uniscono, implodono, litigano, accordano, separano, questo evento sembra lontanissimo e inattuale . Tutto è cambiato, ma tutto in qualsiasi momento potrebbe tornare. La storia è ricordo, e ogni ricordo è un monito.
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