CRONACA
La Sicilia brucia, primi bilanci anche a Palermo: servono 260 milioni e 15 anni per rinascere
Si attendono report importanti come quello sui veleni del rogo di Bellolampo. Intanto professori universitari, associazioni e semplici cittadini si mobilitano
L'incendio a Palermo (foto da Twitter)
Sono stati infatti oltre 560 gli interventi dei vigili del fuoco nella sola giornata di martedì 25 luglio e sono migliaia gli ettari di macchia mediterranea, come di foreste e campagne, andate perse, con tutta probabilità, per colpa dei piromani.
Dopo alcuni giorni dall’inizio dei roghi, il cielo di alcune città risulta fortemente inquinato e dai primi dati resi disponibili dai sistemi di rivelamento dell’Arpa - l’agenzia regionale di protezione ambientale - le concentrazioni di particolato atmosferico (PM 10 e PM 2.5), come di altre sostanze, sono aumentate notevolmente, risultando un pericolo per i cittadini.
Si attendono inoltre i risultati inerenti ai veleni rilasciati dall’incendio che ha colpito la discarica di Bellolampo, fra cui la diossina, che potrebbero complicare ulteriormente la situazione.
Gli incendi che hanno coinvolto la Sicilia sul finire di questo luglio non sono tuttavia i primi che colpiscono la regione. Secondo infatti i dati appena comunicati dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) la nostra isola dall’inizio dell’anno sarebbe stata colpita molto più spesso dagli incendi rispetto le altre regioni, avendo perso 44.000 ettari di aree rurali e naturali.
Un brutto colpo, soprattutto considerando che il 62% degli ettari andati in fumo erano coperti dalla macchia mediterranea, l’ecosistema vegetale più diffuso in Sicilia. La provincia che si è vista più volte venire attaccata dal fuoco è quella del palermitano, con 14670 ettari persi alla data del 27 luglio, di cui oltre il 24% era costituito da foreste.
Ben 7 ecosistemi forestali sono infatti andati distrutti dall’inizio della stagione estiva. Ora però che la morsa degli incendi è venuta leggermente meno e si sono cominciati a valutare i danni, quali tra gli incendi sviluppatisi negli scorsi giorni hanno provocato la maggiore devastazione? Siamo qui, con quest’articolo, per chiarirlo e per definire quali saranno anche le future prospettive, legate alla ricostruzione degli ecosistemi.
Considerando inoltre che la provincia più colpita in Sicilia è quella del palermitano, ci concentreremo su questa. Tra gli incendi più violenti che si sono abbattuti sulla nostra isola, per via delle mani sacrileghe dei piromani e dei mafiosi, quelli che hanno riguardato i comuni di Cerda, Aliminusa e Sclafani Bagni - dove è bruciata una superficie complessiva di 972 ha, la maggior parte coperta da latifoglie sempreverdi – sono stati fra i più intensi.
Questi incendi tra l’altro hanno colpito la ZSC (zona di conservazione comunitaria) “Boschi Granza” che include la Riserva Naturale orientata Bosco di Favara. Qui i danni sono stati ingenti e sono morti anche tanti animali, che cercavano rifugio fra i suoi confini.
Altri eventi hanno invece colpito i comuni di Palermo, Torretta e Monreale, bruciando le colline alberate che proteggevano il capoluogo per oltre 600 anni.
Questi incendi sono quelli che hanno arrecato danni fino alla zona dell’attuale ospedale Cervello e sono quelli che hanno provocato l’annunciato disastro di Bellolampo, dove la cenere spigionata delle fiamme ha provocato nuova distruzione, diffondendosi nel caldo sole di luglio, fra i cumuli di immondizia.
Gli ecosistemi forestali che in questo caso hanno preso fuoco inoltre comprendono principalmente foreste secondarie o artificiali, ricche di conifere e leccete. I maggiori danni si sono osservati nei pressi dell’abbazia di San Martino, dove le fiamme hanno rischiato di espandersi fino a colpire le tenute dell’abbazia e le abitazioni.
A destare però la maggiore preoccupazione nelle ultime ore di martedì, fuori Palermo, sono stati i focolai che hanno colpito alcune aree limitrofe il Parco Naturale delle Madonie e la ZSC di "Boschi di Gibilmanna e Cefalù", con le fiamme che hanno cominciato a distruggere velocemente pini e i cipressi, la cui salvaguardia i forestali si sono dedicati per generazioni.
Estesi i danni anche all’esterno delle aree protette, con le aree pre-forestali che presentavano specie di pregio come l’Ampelodesmos mauritanicus e l’euforbia arborescente andati letteralmente in fumo nell’arco di una notte.
Le fiaccole dei piromani sembrano essere anche responsabili della distruzione di Capo Gallo e di Pizzo Sella, che ha raggiunto le case e messo in serio pericolo dei rifugi per animali randagi.
Altri due eventi hanno infine riguardato le superfici forestali del comune di Altofonte, come quelli di Belmonte Mezzagno, mentre come è noto gli incendi che hanno colpito Monte Grifone non solo hanno devastato diversi ettari di foresta sempreverde, ma hanno anche colpito il cuore religioso e artistico del capoluogo, andando a distruggere uno dei suoi simboli: il convento di Santa Maria di Gesù, che conteneva i resti di San Benedetto il Moro.
Bisogna tuttavia ricordare che questi sono solamente i focolai maggiori e che nello stesso tempo sia all’interno della provincia che nel resto dell’isola centinaia di piccoli roghi sono stati appiccati fra le sterpaglie, con degli esempi che possiamo anche citare per la loro estrema pericolosità.
I focolai di Bagheria e di Torre Normanna, vicino Altavilla Milicia e la frazione di San Nicola, hanno infatti rischiato di distruggere un territorio molto apprezzato dai vacanzieri, essendo ricco di seconde case, come anche i roghi di Alcamo, San Vito lo Capo, Balestrate e Taormina.
E dovunque la situazione di partenza, che ha portato all’ampliamento delle fiamme, risultava essere sempre la stessa: forte vento di scirocco, macchia mediterranea messa in pericolo per colpa della siccità, sterpaglie e la mano subdola dell’uomo.
Per Legambiente Sicilia si tratta di «una situazione apocalittica e ancora fuori controllo: migliaia di ettari in fiamme, tre persone hanno perso la vita, case e strutture ricettive a rischio, persone evacuate, aree naturali protette, siti archeologici e demani forestali colpiti duramente dalle fiamme. Decine e decine di incendi su cui non si riesce ad intervenire per mancanza di mezzi e uomini.
Questo è il (primo) bilancio di una terribile giornata di fuoco, certamente aggravata dalle altissime temperature e dai forti venti di scirocco, ma che è causata innanzi tutto dall’azione dell’uomo e che risulta impossibile da gestire». Con lo spegnimento degli incendi tuttavia non si conclude l’opera di messa in sicurezza del territorio. I pompieri, insieme ai Carabinieri forestali, stanno infatti cercando di spegnere gli eventuali roghi rimasti "a fumare", degli incendi già spenti.
Stanno inoltre cercando di individuare le tracce dei piromani e di segnalare qualsiasi anomalia agli esperti, che hanno già cominciato ad indagare.
Diversi gruppi di volontari inoltre, coadiuvati anche da diverse associazioni ambientaliste, come Legambiente, stanno già cominciando a considerare il futuro e a muoversi per individuare quelle parti di territorio incendiato che rischiano di franare, per colpa delle piogge, nel prossimo autunno.
La prossima minaccia infatti che ricade su questi territori incendiati è l’acqua, soprattutto per i territori in pendenza. Essendo ora infatti privi di vegetazione, i versanti anneriti ora non vengono più tenuti dal complesso sistema di radici e di piante, che era in grado di trattenere il suolo.
I rischi geomorfologici quindi quest’inverno saranno molto più elevati, per i comuni interessati dalle fiamme.
Una delle situazioni più critiche da questo punto di vista sarà proprio Palermo. Da monte Cuccio a monte Grifone, per non parlare di Mondello e di Pizzo Sella, un’eventuale tempesta potrebbe infatti provocare delle grosse alluvioni, che rischiano di condurre la terra non più trattenuta e la cenere verso valle, risultando un pericolo per automobilisti e semplici cittadini.
L’area maggiormente sottoposta a questo problema sarà quella che si posiziona proprio sotto le montagne e a cui fanno riferimento i quartieri dello Zen, di Borgo Nuovo, di Ciaculli, di Villagrazia e Falsomiele.
Per quanto il futuro non sia roseo e secondo alcuni ricercatori dovranno passare minimo 12-15 anni, prima che la natura recuperi i danni, bisogna tuttavia anche sperare nelle diverse iniziative degli abitanti, che hanno intenzione di piantare nuove piante sopra i versanti delle montagne più colpite.
Proprio su questo argomento diversi collettivi si stanno già radunando, nel tentativo di decidere come operare per riportare (lentamente) la situazione alla normalità, anche se dovranno passare anni per iniziare a piantare i primi alberelli nelle aree devastate dal fuoco.
Proprio per accelerare e migliorare però il processo di riqualifica ambientale, alcuni docenti dell’università di Palermo hanno già donato la loro disponibilità per iniziare a lavorare in tal senso, avendo già partecipato a precedenti esperienze che hanno permesso la piantumazione di diversi alberi e arbusti in aree precedentemente interessate dagli incendi.
Le raccolte fondi per acquistare semi o alberi o per risarcire coloro che hanno perso tutto hanno inoltre cominciato a fioccare in diversi quartieri di Palermo, dimostrando che la cittadinanza risulta attiva ed è particolarmente desiderosa di un cambiamento.
Molti cittadini arrabbiati hanno infatti cominciato a chiedere a gran voce che il piano regionale e nazionale anti incendi preveda un maggior numero di risorse, di unità e di mezzi, tanto che all’interno di tutte le principali città siciliane si sta chiedendo a gran voce che i neo laureati in scienze naturali, ambientali e forestali abbiano un percorso agevolato, all’interno delle assunzioni.
Scandaloso, secondo gli esperti, è per esempio che manchino queste figure di riferimento, insieme ai geologi, all’interno degli assessorati e dei comuni, dove i loro compiti vengono gestiti da personale non specializzato o non vengono letteralmente presi in considerazione.
In questa ondata di cambiamento, ciò però che attualmente rimane è la cenere sopra i monumenti, i tronchi e le abitazioni spente.
Questo avviene pochi giorni prima la presentazione del “Rapporto Ecomafie” di quest’anno, che probabilmente dovrà essere aggiornato in considerazione dei roghi di fine luglio. La cittadinanza e gli ambientalisti sperono soltanto che da qui in avanti i piromani abbiano vita difficile e che il prossimo mese non sia caratterizzato da incendi della stessa durezza.
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