AMBIENTE
La scoperta che riscrive la storia: ad alimentare l'Etna è "la Scarpata di Malta"
Lo studio è stato fatto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dal German Centre for Geosciences e dalle Università di Roma Tre e Catania
L'Etna in eruzione
A queste conclusioni è giunto un interessante studio appena pubblicato da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dal German Centre for Geosciences (GFZ) di Potsdam e dalle Università di Roma Tre e Catania.
La ricerca si basa sull’elaborazione di modelli fisico-matematici che simulano la risalita dei magmi al di sotto della Sicilia orientale negli ultimi milioni di anni, prendendo dunque in considerazione non solo l’Etna ma anche i monti Iblei (vulcani ben più antichi del Mongibello).
«Abbiamo simulato al computer i percorsi di propagazione del magma al di sotto dei vulcani iblei ed etnei e fino al limite crosta-mantello, a circa 30 km di profondità - spiega Marco Neri ricercatore INGV ed autore dello studio - le traiettorie del magma confluiscono verso il basso sia per l’Etna sia per i vulcani degli Iblei, in una stessa zona, sottostante la cosiddetta Scarpata di Malta».
Piuttosto descrivono un andamento arcuato delle zone di frattura lungo cui risale il magma, che piegano in profondità verso est raggiungendo una determinata zona in corrispondenza della Scarpata di Malta, a circa 30 km di profondità nella crosta.
Il motivo di questa curvatura è da ricercare nelle poderose forze tettoniche che hanno agito e agiscono su questo margine di placca.
«La Scarpata di Malta è inoltre un imponente sistema di faglie sismogenetiche situate poco al largo delle coste orientali siciliane, sotto il Mare Ionio, e capaci di generare terremoti - continua Neri - le sue faglie si allungano per oltre trecento chilometri producendo, nel fondale marino, una scarpata profonda fino a tremila metri».
Sarebbe stata infatti proprio la Scarpata di Malta ad aver generato, l’11 gennaio del 1693, il devastante terremoto della Val di Noto, il sisma più violento che abbia colpito il territorio italiano negli ultimi mille anni: magnitudo momento (Mw) 7.4, cinquantaquattromila vittime e un devastante tsunami indotto dallo scuotimento del fondale marino.
Una relazione stretta quella tra vulcani e terremoti in questo settore d’Italia, che continua da milioni di anni e che evolve nel tempo, come dimostra l’estinzione del vulcanismo ibleo e la migrazione verso nord dell’attività con la nascita dell’Etna circa cinquecentomila anni fa.
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