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La sciantosa rapita, la fuitina del sindaco, i delitti: gli scandali della Palermo Liberty

​​​​​​​Gli scandali e i drammi restavano spesso nascosti, finché non diventavano oggetto di discussione nei salotti, nelle strade e nei caffè. Ecco i più succulenti

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 11 febbraio 2025

Alla fine dell’Ottocento Palermo era città geograficamente lontana dalle grandi capitali europee, eppure era stata contagiata dalla civilisation du plasir, dal mito de La Belle èpoque (periodo aureo, senza guerre, dal 1871 al 1914) tanto che la lingua francese era diventata usuale nei salotti, nei teatri, nei caffè…

Strade come Via Libertà e il Foro Umberto I, palazzi, teatri, chioschetti…fungevano da fondali scenici per l’aristocrazia palermitana, che sfilava in pompa magna, facendosi ammirare.

La nobiltà trascorreva le giornate tra ozi e divertimenti a palazzo Butera, nel palazzo dei principi di Baucina a Porta de’ Greci, in casa dei principi di Torremuzza, nella residenza del Principe di Gangi, nel palazzo dei Marchesi Ugo delle Favare e Salvo di Pietraganzilli, a palazzo Lampedusa, nella villa del barone Bordonaro e al palazzo del principe Alliata di Villafranca… .

C’erano "intimi" ricevimenti pomeridiani con buona musica e non meno di trecento invitati; sontuosi pranzi di gala a base di elaborati menù preparati dal Monsù della Casa, allietati da musici e serviti da valletti in livrea; tableaux vivants, recite in costume, pantomime.
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Sappiamo che un pomeriggio, nel "gioco delle belle statuine" intitolato Il Paradiso di Dante, il ruolo del sommo poeta fu affidato al principe Giuseppe Lanza di Scalea, quello di Beatrice ad Amalia Valguarnera, mentre il marchese Ugo delle Favare interpretò Satana in persona.

C’erano infine i sontuosi balli, che duravano fino a tarda notte, e che si componevano di tre parti: il ballo vero e proprio, il cotillon (in cui si danzavano figure diverse e si distribuivano regali alle dame) e il pranzo.

I tempi tuttavia stavano cambiando anche a Palermo e il ceto medio, composto da industriali, banchieri, uomini di legge… forte del potere economico e sociale, voleva imitare lo stile di vita della nobiltà, o addirittura sognava di riuscire a mescolare il proprio sangue a quello blu dei personaggi titolati. All’inizio la convivenza tra aristocrazia e la nascente borghesia fu difficile.

La nobiltà palermitana, con i suoi fasti, i suoi cerimoniali, le sue etichette, i suoi blasoni cercava di mantenere le distanze da questi nuovi arricchiti e non mancarono scandali di ogni genere.

Grande scalpore suscitò nell’alta società palermitana ad esempio il rapimento di cui fu vittima Clarette Charretty, una sciantosa che celava sotto falso nome le origini partenopee.

Non aveva nemmeno 20 anni; riccioluta, formosa, elegante, viaggiava accompagnata (per non dire scortata) dalla madre e da un uomo, che dichiaravano fosse un loro parente.

I cafès-chantants a Palermo allora si contavano sulla punta delle dita (chi poteva permetterselo andava a divertirsi a Parigi); c’erano il Jadin de l’Alcazar, lo Chalet delle Sirene e l’Alhambra, dove si esibiva Clarette.

Una sera, un noto viveur locale, dopo aver frequentato nei giorni precedenti la sciantosa, riuscì ad ottenere il permesso di poterla accompagnare in carrozza, insieme a due amici. La vettura era seguita a stretto giro da quella in cui c’erano la madre e il parente.

Al segnale convenuto la carrozza del siciliano prese a correre velocemente, facendo perdere le sue tracce: in poche parole Clarette venne rapita. Altro grande scandalo destò la storia del barone Valentino Caminneci con l’elegantissima Fanny Elssler, danzatrice viennese di ben altro livello rispetto alla sciantosa napoletana.

Fanny, una delle più famose ballerine dell'era romantica, a sette anni già ballava al Teatro Kärntnertor di Vienna. Interprete di una danza dalla forte carica sensuale e seduttiva, sarebbe stata definita "ballerina pagana" in opposizione alla danse d’élévation di Marie Taglioni, ballerina "leggera e spirituale".

Aveva fatto impazzire generali e arciduchi che per lei avevano dilapidato il loro patrimonio. Si diceva che in tourneè a Napoli avesse avuto una relazione con Leopoldo, figlio naturale di Ferdinando I, mettendo al mondo, a soli 17 anni un figlio.

Caminneci che accendeva spesso il sigaro dopo aver dato fuoco a una grossa banconota estratta dal portafogli, era un accanito giocatore d’azzardo e un noto spadaccino (con 24 duelli al suo attivo), possedeva una maestosa villa nelle campagne di Salaparuta.

Qui la coppia arrivò un giorno, con una carrozza trainata da 12 cavalli bianchi, come in una fiaba e venne accolta dai contadini, che si misero addirittura in ginocchio per ossequiare il barone.

Un trattamento diverso fu riservato invece a Caminneci e a Fanny dal cappellano. Il prelato, quando seppe chi era la bella signora, accusò il barone di aver trasformato la villa in un pied-e-terre e fuggì inorridito per le campagne. Si andò a rifugiare in un convento di Alcamo e da lì lo scandalo si diffuse di bocca in bocca, fino a Palermo…

I due amanti non ne furono turbati tuttavia e continuarono a darsi convegno nella villa, almeno finchè Caminneci non si stancò di Fanny e le diede il benservito.

Qualche tempo dopo sposò Guglielmina Salviani, conosciuta alla corte di Vienna. Dopo una lunga e felice carriera Fanny sarebbe morta molti anni dopo, nella natia Vienna, all'età di settantaquattro anni, famosa e milionaria.

A tenere col fiato sospeso tutta Palermo ci fu poi la storia d’amore tra Pietro Bonanno, figlio di un umile carrozziere e Francesca Paternò dei marchesi di Spedalotto.

I genitori di Francesca si opponevano all’amore tra i due giovani, che si accontentavano di lanciarsi lunghe occhiate, da lontano, quando capitava loro di incontrarsi in pubblico o di scambiarsi innocenti bigliettini.

Per porre fine all’incresciosa situazione Francesca, accompagnata dalla sua cameriera, venne reclusa in un monastero di clausura, ma grazie alla complicità della serva riuscì a far arrivare lettere piene d’infiammate parole d’amore a Pietro. Alla fine la coppia riuscì comunque a convolare a nozze: Francesca e Pietro si sposarono in municipio, senza parenti, né festeggiamenti.

La famiglia Paternò non aveva di certo intuito il valore di Pietro Bonanno, personaggio brillante, che sarebbe diventato solo qualche tempo dopo sindaco di Palermo, fautore di un imponente risanamento urbanistico. Tuttavia non sempre l’amore riusciva a trionfare…Una sera venne trovato un cadavere, davanti alla villa dei Notarbartolo duchi di Villarosa.

Si trattava di Giovanni Leone, figlio di un impiegato. Le guardie ipotizzarono un suicidio perchè i custodi della villa affermavano di conoscere il ragazzo, che aveva più volte espresso la volontà di farla finita.

Il giovane aveva una ferita d’arma da fuoco alla tempia. Indagando si scoprì che le cose stavano diversamente: non solo Giovanni era innamorato di Caterina Notarbartolo di Villarosa, ma i due giovani avevano una relazione segreta che non era gradita ai fratelli di Caterina, Pietro e Francesco.

I Notarbartolo erano contrari all’unione della sorella con un oscuro borghese e durante una discussione Francesco era arrivato al punto di schiaffeggiare Giovanni.

Allo schiaffo aveva fatto seguito un duello tra i due, che si era concluso senza spargimento di sangue. Caterina, che minacciava di farsi monaca, era stata invece relegata dalla famiglia, per diversi giorni, in una sperduta casa in campagna, per non poter più rivedere l’innamorato.

La sera in cui Giovanni era stato assassinato, si era recato come al solito alla villa dei Notarbartolo, sperando di poter rivedere Caterina affacciata alla finestra.

Ad attenderlo aveva trovato invece Pietro e Francesco, che lo avevano preso a pugni e lo avevano ucciso con un colpo di pistola. I due fratelli vennero arrestati ma, per rispetto all’onorabilità del loro casato, non vennero processati a Palermo, ma a Napoli.

Tra lo sconcerto dell’opinione pubblica Pietro venne assolto, mentre Francesco fu condannato a 5 anni per omicidio in rissa…

Dove la morbosità toccò però per anni vertici altissimi fu nello scandalo del 1911 (che pose fine alla Belle èpoque di Palermo) quando Giulia Tasca di Cutò moglie del Conte Romualdo Trigona di Sant’Elia venne uccisa dal suo amante Vincenzo Paternò del Cugno, in una stanza del Rebecchino, modesto albergo vicino alla stazione a Roma.

Paternò tentò di uccidersi a sua volta, dopo il delitto, sparandosi un colpo di pistola al volto, invece si salvò.

Condannato all’ergastolo, ottenne dal Re la grazia nel 1942. Gli scandali, i drammi, le passioni restavano spesso sotterranee e soffocate, finchè non diventavano oggetto di discussione nei salotti, nelle strade, nei caffè…

Scriveva Pietro Nicolosi: "Erano storie del tempo che forse venivano ad ammorbidire o smentire la leggenda della Belle èpoque sinonimo di bella vita, costruita sulla base della vita facile e spensierata di una minoranza".
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