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La rivoluzione (culturale) in quel "garage" di Palermo: erano gli anni del Teatro Officina
Il pavimento fa da palcoscenico, non vi sono sipario e quinte, il potere dell’immaginazione fa tutto il resto. Vi raccontiamo questo luogo dimenticato

Via XX Settembre a Palermo (foto di Alice Marchese)
C’era una volta a Palermo un piccolo locale in via XX Settembre. Uno spazio pensato come garage che ospita dal 1967 al 1971 una compagnia di giovani autori e attori animati dalla rivisitazione moderna dell’arte teatrale, la ricerca di nuovi linguaggi e l’approccio sperimentale connotati ai cambiamenti sociali e culturali del tempo.
Nasce così il gruppo del Teatro Officina, guidato dal regista napoletano Geppino Monti e composto da Filippo Amoroso, Angelo Barbato, Franco Buccheri, Giuditta Cimino, Arturo Grassi ed Enrico Wolleb, che adatta interpreta e produce in autonomia una serie di spettacoli d’avanguardia catturando l’attenzione di pubblico e critica per la loro spiccata inventiva.
La capienza massima del locale è di circa ottanta posti, gli spettatori siedono su panche e cubi di legno, questi impiegati anche come elementi scenografici. Il pavimento fa da palcoscenico, non vi sono sipario e quinte, il potere dell’immaginazione fa tutto il resto.
Segue «Controllo A», dove manifesti bianchi con ritratti di drammaturghi e leader politici sono ridotti a brandelli e gettati verso il pubblico (curioso come questa performance precorra la sequenza dei nomi cancellati alla lavagna ne «La cinese» di Jean-Luc Godard, premiato col Leone d’Argento al festival di Venezia e programmato mesi dopo a Palermo).
Inoltre vengono proiettate sulla parete di fondo alcune diapositive a cui si sovrappongono Arturo Grassi e Angelo Barbato in pose e gesti ironici, creando un effetto di tridimensionalità psichedelica.
C’è anche una breve parentesi da cineclub con la proiezione di «Sciopero» di Sergej Ėjzenštejn introdotta da Gregorio Napoli, critico cinematografico del Giornale di Sicilia: durante la visione qualcuno si accorge che la pellicola fuoriesce dal proiettore e si spande per terra, ma con un intervento tempestivo il capolavoro del maestro viene tratto in salvo.
Arriva il Sessantotto, la guerra in Vietnam si fa sempre più cruenta, Martin Luther King e Robert Kennedy vengono assassinati, gli studenti occupano le facoltà e protestano in piazza.
Il Teatro Officina entra in contatto con Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann del circolo «La Fede» di Roma, si ospiteranno a vicenda nelle rispettive sedi per condividere il fermento della rivoluzione culturale che coinvolge il mondo teatrale.
E poi, in una notte di mezza estate, l’incontro con il Living Theatre al Village Magique di Cefalù che porterà la compagnia newyorchese a Palermo sotto il tendone del Teatro Zappalà, all’interno del Giardino Inglese.
L’evento organizzato dal Teatro Officina (cui seguirà in via XX Settembre una proiezione degli home movies realizzati dagli allievi di Julian Beck e Judith Malina) si rivela un successo clamoroso: su quattrocento posti a disposizione si registra un’affluenza di circa mille spettatori, rapiti dalle innovative rappresentazioni che combinano impegno politico e poesia.
L’esperienza del Teatro Officina continua con «Disintegrazione», spettacolo dai toni politici e distopici che denuncia la follia bellica in corso. Poi l’adesione al collettivo «Aziz», fondato dal cronista Luan Rexha, che riunisce personalità di spicco quali Michele Perriera, Salvo Licata, Gabriello Montemagno, Antonio Pasqualino e Piero Violante all’insegna di un nuovo modo di fare scrivere gestire e vivere il teatro come espressione artistica senza confini, ampio orizzonte che offre nuovi territori da esplorare e condividere assieme al pubblico.
Tra gli spettacoli previsti nel programma è inclusa «La tragedia di un venditore di carne in scatola», ispirata a «Santa Giovanna dei Macelli» di Bertolt Brecht, ma il Teatro Officina non riuscirà a portarla in scena perché rinviata a una successiva stagione coincisa con lo scioglimento di «Aziz».
Subentrano impegni lavorativi, familiari e universitari del gruppo teatrale, che preferisce concludere un percorso che avrebbe altrimenti portato a una decisiva scelta professionale.
Ma rimane ancora vivo il ricordo di una stagione della vita in cui l’arte definisce ciò che siamo e traccia un sentiero costellato di tappe fondamentali, passando anche per piccoli spazi colmi di grande creatività.
Si ringrazia Arturo Grassi per la testimonianza
Nasce così il gruppo del Teatro Officina, guidato dal regista napoletano Geppino Monti e composto da Filippo Amoroso, Angelo Barbato, Franco Buccheri, Giuditta Cimino, Arturo Grassi ed Enrico Wolleb, che adatta interpreta e produce in autonomia una serie di spettacoli d’avanguardia catturando l’attenzione di pubblico e critica per la loro spiccata inventiva.
La capienza massima del locale è di circa ottanta posti, gli spettatori siedono su panche e cubi di legno, questi impiegati anche come elementi scenografici. Il pavimento fa da palcoscenico, non vi sono sipario e quinte, il potere dell’immaginazione fa tutto il resto.
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Si va in scena per la prima volta con «Paura del futuro», tratto dai racconti fantascientifici di Philip K. Dick e Isaac Asimov (per l’occasione la compagnia ottiene una convenzione promozionale con la libreria Remainders di via Filippo Turati), dove gli attori si alternano in brevi monologhi prima di avvolgersi in sacchi di plastica illuminati da un faro azzurrino, mimando una sorta di magma cosmico.Segue «Controllo A», dove manifesti bianchi con ritratti di drammaturghi e leader politici sono ridotti a brandelli e gettati verso il pubblico (curioso come questa performance precorra la sequenza dei nomi cancellati alla lavagna ne «La cinese» di Jean-Luc Godard, premiato col Leone d’Argento al festival di Venezia e programmato mesi dopo a Palermo).
Inoltre vengono proiettate sulla parete di fondo alcune diapositive a cui si sovrappongono Arturo Grassi e Angelo Barbato in pose e gesti ironici, creando un effetto di tridimensionalità psichedelica.
C’è anche una breve parentesi da cineclub con la proiezione di «Sciopero» di Sergej Ėjzenštejn introdotta da Gregorio Napoli, critico cinematografico del Giornale di Sicilia: durante la visione qualcuno si accorge che la pellicola fuoriesce dal proiettore e si spande per terra, ma con un intervento tempestivo il capolavoro del maestro viene tratto in salvo.
Arriva il Sessantotto, la guerra in Vietnam si fa sempre più cruenta, Martin Luther King e Robert Kennedy vengono assassinati, gli studenti occupano le facoltà e protestano in piazza.
Il Teatro Officina entra in contatto con Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann del circolo «La Fede» di Roma, si ospiteranno a vicenda nelle rispettive sedi per condividere il fermento della rivoluzione culturale che coinvolge il mondo teatrale.
E poi, in una notte di mezza estate, l’incontro con il Living Theatre al Village Magique di Cefalù che porterà la compagnia newyorchese a Palermo sotto il tendone del Teatro Zappalà, all’interno del Giardino Inglese.
L’evento organizzato dal Teatro Officina (cui seguirà in via XX Settembre una proiezione degli home movies realizzati dagli allievi di Julian Beck e Judith Malina) si rivela un successo clamoroso: su quattrocento posti a disposizione si registra un’affluenza di circa mille spettatori, rapiti dalle innovative rappresentazioni che combinano impegno politico e poesia.
L’esperienza del Teatro Officina continua con «Disintegrazione», spettacolo dai toni politici e distopici che denuncia la follia bellica in corso. Poi l’adesione al collettivo «Aziz», fondato dal cronista Luan Rexha, che riunisce personalità di spicco quali Michele Perriera, Salvo Licata, Gabriello Montemagno, Antonio Pasqualino e Piero Violante all’insegna di un nuovo modo di fare scrivere gestire e vivere il teatro come espressione artistica senza confini, ampio orizzonte che offre nuovi territori da esplorare e condividere assieme al pubblico.
Tra gli spettacoli previsti nel programma è inclusa «La tragedia di un venditore di carne in scatola», ispirata a «Santa Giovanna dei Macelli» di Bertolt Brecht, ma il Teatro Officina non riuscirà a portarla in scena perché rinviata a una successiva stagione coincisa con lo scioglimento di «Aziz».
Subentrano impegni lavorativi, familiari e universitari del gruppo teatrale, che preferisce concludere un percorso che avrebbe altrimenti portato a una decisiva scelta professionale.
Ma rimane ancora vivo il ricordo di una stagione della vita in cui l’arte definisce ciò che siamo e traccia un sentiero costellato di tappe fondamentali, passando anche per piccoli spazi colmi di grande creatività.
Si ringrazia Arturo Grassi per la testimonianza
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