ITINERARI E LUOGHI
La nuova vita delle Terme Romane in Sicilia: le acque "curative" limpide come il cristallo
La storia di un meraviglioso palazzo che risale al XVII secolo. Oggi un recente restauro ha restituito la struttura agli antichi splendori, descritti anche da Houël
Le Terme Romane (Foto di Giuseppe Catalano Di Maio)
Durante i secoli successivi, e in particolare tra il XVIII e il XX secolo, l’edificio venne sottoposto a una serie di radicali ristrutturazioni. Quella più rilevante risale al 1817, ad opera dell’architetto Alessandro Emanuele Marvuglia (1771-1845) che intervenne su incarico di Francesco I Borbone, a quel tempo principe ereditario del regno.
L’architetto palermitano realizzò, in perfetta simmetria, delle ampie finestre modanate sormontate da timpani e lunette, collocando al centro della facciata lo stemma della città e una lapide, datata 1819, dove si ricorda l’utilizzo di fondi pubblici per i lavori eseguiti.
Una testimonianza dello splendore del palazzo venne documentata in una incisione realizzata da Gandolfo Ferrara nel 1820. L’intervento di Marvuglia, che durò dal 1817 fino al 1828 e per una spesa complessiva di onze 3275, rese più funzionale l’uso delle acque calde, oltre a modificare la suddivisione interna del primo piano realizzando un secondo livello destinato ad alloggi per coloro che frequentavano i bagni termali.
Sulla capacità curative delle acque dei bagni, l’architetto francese, annotò nei suoi appunti che avevano proprietà di guarire le paralisi, la gotta, i reumatismi e in genere tutte le malattie che colpiscono le gambe. Mentre in merito alla temperatura precisò che, l’acqua è così calda da far salire il termometro di Reamur a trentasette gradi.
Tra i suoi scritti si nota anche una particolare attenzione sulla limpidezza della sorgente che risulta essere: "come il cristallo, un po’ più pesante dell’acqua di fonte e lascia sulla lingua un leggero sapore di sale". Anche la descrizione delle caratteristiche fisiche dell’acqua termale, il nobile oltralpe, si sofferma, con particolare attenzione, aggiungendo che: "con due libre e mezza d’acqua si depongono, evaporando, un’oncia e mezza di un sedimento salato dal gusto pungente".
Qualche anno dopo, nel 1817, grazie agli scavi archeologici di Antonio M. Gargotta, a quel tempo era anche direttore dello stabilimento termale, vennero riportate alla luce l’intera circonferenza (diametro esterno 31 metri, interno 20,5) delle strutture speculari a quelle inglobate nei bagni seicenteschi.
Tra i due muri era compresa una galleria ad andamento anulare, avente una larghezza di circa 2,50 metri e coperta con volte a botta alta mediamente 4,35 metri. In un disegno interno della "galleria", Houël rappresentate alcuni pazienti che praticano le cure termali.
Qui sono anche tracciati i pilastri e gli archi in laterizi ai quali è ammorsata la copertura a volta, la cui tecnica costruttiva, secondo alcuni archeologi, era adottata negli edifici del II secolo d.C.
Scrive Elio Balsamo nella sua opera dal titolo "Le Terme di Termini Imerese" datata 1996: "nell’edificio circolare delle Terme Romane i muri erano costituiti da quadrelli di pietra arenaria, materiale che riduceva la dispersione del calore; se la parte centrale dell’edificio era, come è stato ipotizzato, un calidarium, ovviamente essa doveva essere coperta, probabilmente a cupola".
Di queste acque termali, site all’interno dell’edificio, le fonti antiche riferiscono numerose informazioni. La più antica è certamente quella di Pindaro, quando nella "XII Olimpica" dedicata proprio atleta imerese Ergotele, si apprendere che i bagni caldi sono adiacenti alle terre dell’atleta, testimoniando, inoltre, che erano ampiamente usufruite dagli abitanti della vicina Imera, con molta probabilità venivano utilizzate anche dalle citte vicine come quella di Solunto.
Lo storico di Agira, Diodoro Siculo, nella Biblioteca Storica, afferma che Athena, con l’aiuto delle ninfe e alle naiade fecero "scaturire dei bagni caldi" affinché il mitico eroe Eracle si rifocillasse dopo aver portato a termine una delle sue fatiche.
Ulteriori notizie ci provengono dal geografo greco Strabone il quale nei suoi appunti scrive: “le sorgenti d’Imera e di Selinunte sono salate a differenza di quelle di Segesta che sono potabili”. Qualche secolo dopo, nel 1138, il viaggiatore arabo Idrisi, nel suo libro dedicato al re Ruggero, precisa che nel sito di Termini esistevano due bagni, posti l’uno accanto all’altro, aggiungendo che in prossimità di questi si poteva ammirare un antico edificio.
Non è da escludere che il riferimento sia quello di epoca romana. Qualche anno dopo un altro viaggiatore di nome Ibn Gubayr di Valencia, visitò Termini annotando che: "verso l’alto la città ha una rocca elevata e difendibile; al basso scaturisce un’acqua termale che rende superflua ai cittadini la costruzione di un bagno".
In epoca moderna, la struttura termale fu utilizzata a tale scopo fino ai primi anni ’60 del secolo scorso. Successivamente venne trasformata prima in poliambulatorio e poi in una scuola ad esclusione dell’ultimo livello che venne utilizzato da alcune famiglie disagiate.
Decenni di incuria hanno reso l’edificio in pessime condizioni fino a quando nei primi anni duemila si verificò un crollo di una parte della copertura posta ad angolo del fabbricato confinante con il piano delle carrozze del confinante Grand Hotel delle Terme.
Grazie ad un recente e scrupoloso progetto di restauro, a cura dell’Ufficio Tecnico del Comune, l’edificio è stato riportato agli antichi fasti e in occasione delle Vie dei Tesori 2022 è stato riaperto al pubblico dopo oltre sessant’anni.
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