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La Casa della Morte tra delitti e attasso: dov'era il fiume della "munnizza" a Palermo

Palermo era diversa da come la vediamo oggi. Ci fu un tempo in cui lungo la via Papireto sorgeva una casa che negli anni si è macchiata di atroci delitti

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 16 maggio 2024

Straripamento del Papireto nel 2022 (foto A. Prestigiacomo)

Totuccio si è svegliato di buon umore e ha deciso di farsi una corsetta.

Sono le 7 del mattino, fuori è bello, e percorrendo la via Papireto respira a pieni polmoni, immaginando che anticamente da quella strada passava un bellissimo fiume sulle sponde del quale cresceva il papiro.

Totuccio però non sa che tra poco sarà ora di punta, arriverà il traffico e inalerà talmente tante polveri sottili che la prossima volta che gli scapperà una loffa dovrà montare la marmitta catalitica.

Se Totuccio avesse studiato, saprebbe che anche in passato non era un’area molto green, tant’è che vi sorgeva la temibile casa della morte. Per spiegargli meglio di cosa stiamo parlando dobbiamo fare un salto indietro.

Palermo era diversa da come la vediamo oggi.

Non c’era il Teatro Massimo, i sushi non venivano serviti con la salsa di soia, ma camminavano per strada e portavano la peste, e la gente non passeggiava al Molo trapezoidale facendo finta di essere ricca, ma solitamente se frequentava quella zona era per farsi un weekend alle prigioni del Castello a Mare.
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In più, non c’era l'Iris con la ricotta e per un influencer, altro che video, si poteva morire di subito.

Siamo alla fine del 1500, per la precisione, e il periodo è di quelli belli strani. La Sicilia è sotto dominio della corona di Spagna, re della quale è quel poveraccio di Carlo II, nato così deboluccio e pieno di camurrie di salute, che si guadagna l’appellativo di "Lo stregato", inteso come attassato (sfortunato).

Per farvi capire, l’ambasciatore francese in visita a Madrid, a pochi mesi dalla nascita, lo descrive accussì: «Il principe sembra essere estremamente debole. Ha un'eruzione erpetica sulle guance. La testa è completamente coperta di croste. Per due o tre settimane si è formato sotto l'orecchio destro una sorta di canale di drenaggio o di scolo».

In pratica è tutto per la pressa. È in questo clima di buoni auspici che nel 1585 giunge a Palermo Enrìquez de Guzmàn, conte di Alba de Liste e di "se si stava a casa ci faceva chiù fiura".

Enrico non è soltanto vittima degli eventi, è letteralmente il viceré più attassato della storia dei viceré.

Per carità, lo avvertono subito che la Sicilia non è terra facile, in quel periodo specialmente, soggetta a invasioni, peste e carestie.

Passa quindi i primi quattro anni a collezionare eccellentissime sconfitte contro i pirati, poi dice “vabbè più scuro di mezzanotte non può fare”, e, zacchete, arriva la carestia.

Non sapendo che pesci pigliare decide di fare uscire in processione le reliquie di Santa Cristina (Santa Rosalia non c’era ancora). Potenza divina, o forse colpo di culo, arriva una nave carica di grano a Palermo e la carestia grazie a Dio si arritira.

Tira un sospiro di sollievo, Enrìquez de Guzmàn, ed esclama: «menomale ca ste cose succedono ogni morte di papa…».

È il 1590, manco finisce di dirlo, e nel giro di un anno muoiono: Papa Sisto V in circostanze misteriose, un mese dopo il suo successore Urbano VII di malaria, a ottobre dell’anno appresso papa Gregorio XIV per calcoli biliari, e due mesi più avanti papa Innocenzo IX, pure lui di malattia.

Quando all’ennesimo conclave Clemente VIII sente fare il suo nome, manda a comprare un pacco di sale e un corno scaccia malocchio. In tutto questo, oltre a quelli provenienti dall’esterno, a Palermo c’erano altri problemi.

Uno di questi era il fiume Papireto o torrente Danisinni. Non era la prima volta che la città aveva problemi con i fiumi. Qualche anno prima, infatti, il Kemonia (ciume del Malotempo) aveva fatto la bua ai palermitani con una tragica esondazione.

Il problema del Papireto però non tanto il pericolo di straripamento, quanto quello del feto, della puzza e dei repellenti miasmi tossici.

Non per niente il ciume in questione aveva fama di essere la pattumiera della città.

Questo accadeva principalmente per due motivi: a) la scarsa pendenza del letto fluviale che impediva in naturale deflusso delle acque, formando di conseguenza una vera e propria palude (la zona era effettivamente chiamata palude del Buonriposo), b) la gente è stata sempre vastasa e sciarriata con la raccolta differenziata.

Eh, ma con Enrichetto de Guzmàn però cadevano male i palermitani, sia perché portava attasso, sia perché (vedi tu le perversioni) era un appassionato sfegatato di idraulica. Era da qualche anno, in verità, che, insieme al pretore Andrea Salazar, cercava di risolvere questo problema vecchio come quanto la camminata piedi.

Addirittura, il primo tentativo di prosciugare il fiume pattumiera era stato intentato dal Senato Palermitano nel 1489. Poi, forte che i politici tastiavano la poltrona tutto passava in cavalleria, e agneddu e sucu e finiù u vattiu.

Finalmente, quell’anno, il 1591, i due riuscirono a prosciugarlo veramente, incanalandolo sottoterra fino alla Cala. Tutto bene quel che finisce bene, questo se dal prosciugamento non fosse uscita la sorpresa.

Proprio in mezzo alla palude del Buonriposo, si ergeva una casa abbandonata che chissà per quanti anni s’era macchiata di atroci delitti avvolta nell’oscurità.

La "Casa della Morte" la chiamava chi la conosceva; chi non la conosceva non la chiamava proprio e se la passava meglio.

Venne così fuori che la casa, in prossimità dell’odierna piazza Peranni, proprietà di un occulto uomo d’affari, era in realtà una sorta di B&B/casa vacanze per matrimoni insoddisfatti.

Con la scusa di una fuga dalla routine, i mariti dolci e apprensivi portavano lì le loro mogli, che in breve, brevissimo tempo, passavano a miglior vita proprio a causa dei miasmi tossici. Il masculo invece se la faceva franca, perché, con la scusa del travagghio, usciva la mattina e tornava la sera.

Questa, signori, è la storia della casa della Morte e non c’è nient’altro da dire.

D'altronde il depliant parlava chiaro: "Situata a pochi passi dal centro storico, dotata di ampie vetrate che si affacciano direttamente nell’ambiente circostante. Sorseggia il tuo caffè in terrazzo, circondata dalla palude, mentre i raggi del sole riflettono sull’acqua stagnate. Vedrai, sarà un soggiorno bello da morire!".

Totuccio adesso ha cambiato idea, è tornato a casa e adesso è felice con la macchinetta dell’aerosol. Ha deciso di dormire di più, di cambiare sport e ha comprato una cyclette.
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