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L'Abbaglio dei Mille dal cinema alla storia: le "mani invisibili" sulla presa di Palermo

"Povera Italia, che abbaglio che hai preso!" così dice, alla fine della sua carriera militare e politica, l'ormai vecchio Colonnello Orsini. Vi raccontiamo come andò

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 23 gennaio 2025

Ficarra e Picone

"Povera Italia, che abbaglio che hai preso!" così dice, alla fine della sua carriera militare e politica, l'ormai vecchio Colonnello Orsini ne L'abbaglio di Roberto Andò, sintetizzando la vicenda storico-politica dell'Unità d'Italia che coinvolse anche lui.

Non è certamente un film revisionista nei contenuti, "L'abbaglio", ma forse per la prima volta si assiste più che ad un abbaglio, appunto, ad un bagliore in controtendenza alla solita epopea garibaldina.

Se quel ravvedimento di Orsini arriva tardi rispetto alla storia (ovvero nel film a 20 anni dall'impresa dei Mille) forse può essere considerato un principio per iniziare una nuova narrazione dell'Unità d'Italia, scevra della mistificazione propagandistica alla quale siamo stati abituati per troppi anni.

Tolta, ovviamente, la disillusione del Principe Salina ne Il Gattopardo quando dice al buon Chevalley: "Ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio". L'episodio narrato da Andò è realmente accaduto.
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Sebbene il contesto sia quello della spedizione dei Mille, il protagonista di tale episodio non è il generale Garibaldi, ma il patriota, l'idealista colonnello Orsini, comandante della seconda compagnia dei Mille sbarcati a Marsala l'11 maggio 1860.

Vincenzo Giordano Orsini, di nobile prosapia, nasce a Palermo il 14 marzo 1817, a soli 5 anni dalla Costituzione siciliana del 1812, da Gaetano, ufficiale dell'esercito borbonico e da Maddalena Mazzeo.

È ancora un tenero fanciullo durante i moti del 1820 e da adolescente segue le orme del padre entrando nel collegio militare della Nunziatella a Napoli, «donde sortirono Guglielmo Pepe, Ulloa, Cosenz, i due fratelli Mezzacapo, Longo e Pianell, ciascuno dei quali lasciò scritta la sua pagina gloriosa nella storia del Risorgimento italiano».

Tornato a Palermo, mosso da sentimenti di libertà e di dissenso per il regime imposto dalla "sbirraglia borbonica", si dimette da ufficiale e si schiera in favore della rivolta del 1848.

Considerato uno dei cospiratori, viene arrestato e condotto provvisoriamente nel carcere della "quinta casa" dei gesuiti vicino al porto di Palermo.

Scoppia ora la rivolta per le strade al suono delle campane di Sant'Orsola e della Gancia e viene liberato. Messosi a capo degli insorti insieme al suo compagno ed ex ufficiale borbonico, Gaetano Longo, riesce a far capitolare il Palazzo Reale e il forte del Castellammare, sparando cannonate dai magazzini della Lupa e dall'Ospedale di San Bartolomeo.

Ma chi gli diede le armi necessarie? Spesso si è discusso sull'intervento della marina inglese durante la presa di Palermo del 1860, alcuni storici sostengono che non vi siano le prove, può darsi.

Ma leggete cosa accadde durante la rivolta del 1848 e come la racconta una cronaca: «La Quinta casa era prossima al porto, ove ancorava vicino il vapore di guerra inglese, Buldok.

Eludendo la vigilanza Orsini e Longo, con una barchetta a remi, guidata da un ardito barcaiolo, raggiunsero il Buldok e chiesero asilo, che fu loro negato dal comandante [...] sarebbero rimasti in balia della sorte se il Principe di Scordia, nel quale ebbero la fortuna di imbattersi, non avesse mandato loro una leggera imbarcazione che di nascosto li condusse a terra fra gli insorti.

Non si capisce però come in quel momento il Principe di Scordia si potesse trovare nel porto o su la banchina vicino alla Quinta Casa. È quindi presumibile, e quasi certo, che il comandante della nave inglese, che gli aveva negato l'asilo, abbia avvertito il Comitato rivoluzionario di venire a prenderli [...] il predetto comandante, il quale si era negato alla preghiera di La Masa e di otto dei principali negozianti di Palermo, di cedere o di vendere un po' di polvere, allegando precisi e formali ordini del suo Governo, aveva manifestato tutta la sua particolare simpatia per gli insorti.

Fu in quell'occasione che il comandante del vapore Buldok diede segretamente a Orsini e a Longo i due cannoni e le munizioni negate apertamente» continua ancora il cronista.

«È importante rilevare questo fatto, poiché Beltrani-Scalia (Il generale Giacomo Longo "Rivista d'Italia", 1906, fasc. settembre, pa. 373) dice che "il Comitato rivoluzionario affidò a Longo il comando dei pochi cannoni non dati da navi inglesi, come qualche storico asserisce, ma scovati dalle bande ribelli».

Il modo in cui venne narrato l'episodio successivamente fu un tentativo di insabbiare la storia, il comandante del vapore inglese Buldok lanciò una pietra e nascose la mano, perché quella mano agli occhi del mondo doveva rimanere neutrale. Sappiamo invece che così non fu.

Anche quelle "mani invisibili" dovrebbero essere oggetto di indagine storica, se non altro per onestà intellettuale. Torniamo alla nostra storia. Grazie ad Orsini e Longo Palermo fu liberata, inoltre Orsini fu nominato membro del secondo Comitato speciale, presieduto dal Principe di Pantelleria, e gli venne data la direzione della Difesa dell'isola.

Ferdinando II, re delle Due Sicilie inviò in Sicilia Carlo Filangeri, Principe di Satriano, per ristabilire l'ordine. Vedendo che il Satriano aveva riconquistato l'isola, Orsini si vide costretto all'esilio, fuggì in Turchia dove divenne colonnello d'artiglieria dell'esercito Ottomano.

Circa dodici anni dopo, spinto dai moniti rivoluzionari, Orsini è al comando della seconda compagnia dei Mille, i quali salperanno da Quarto alla volta della Sicilia a bordo dei due piroscafi il Lombardo e il Piemonte. Il generale gli affida il comando dell'artiglieria. Grazie alle sue competenze tecniche, Orsini impianta sul vapore Piemonte un piccolo laboratorio per fabbricare bombe e cartucce (nel film L'abbaglio questo compito è affidato a Ficarra).

«L'artiglieria si componeva di una vecchia colubrina del 1600, trovata nel castello di Talamone e di tre cannoni trovati nel forte di Orbetello; dei quali due eccellenti fusi in bronzo nel 1802, portavano scritto sulla culatta l'uno il nome di Ardito, l'altro Giocoso. La colubrina era inforcata sopra un affusto con ruote di legno, logore dal tempo. I tre cannoni erano senza affusti, ma a questi provvide l'Orsini con la massima celerità, non appena sbarcati a Marsala.

Così l'artiglieria fu messa in marcia per Salemi, ove Giuseppe Garibaldi proclamò la dittatura della Sicilia col fatidico motto "Italia e Vittorio Emanuele!"».

Anche sull'episodio dello sbarco a Marsala vi sono molteplici dubbi, incongruenze e inesattezze divulgate e divenute storia indissolubile. L'11 maggio 1860 avviene il tanto atteso sbarco di Garibaldi a Marsala.

Data la portata dell'avvenimento, tale da infondere speranza nei cuori degli isolani, il fatto che lo sbarco avvenne praticamente in maniera indisturbata lascia un po' esterrefatti. Secondo Francesco Crispi la marina militare del re Francesco II era la più potente d''Italia, questo suscita meraviglia al pensiero che lo sbarco dei garibaldini avvenne senza una vittima «le navi borboniche arrivano infatti appena in tempo per osservare da lontano la conclusione delle operazioni di attracco dei garibaldini».

Quando si decisero a mitragliare e a sparare qualche colpo di cannone due navi inglesi erano sulla loro traiettoria. A sbarco completato i garibaldini non registreranno nessuna vittima se non quella di un povero cane partito da Quarto con loro. A questo punto l'avanzata di Garibaldi è inarrestabile fino all'ingresso di Palermo, quando diviene nuovamente protagonista il nostro Vincenzo Giordano Orsini con la "diversione su Corleone".

Dice un testimone: «Strana ed inspiegabil cosa! Quasi tutti i cittadini sapevano dov'era Garibaldi, solo la polizia e l'esercito borbonico l'ignoravano; e credevano che Egli e i Mille sbarcati a Marsala e le nostre squadre, che avevano con lui combattuto e vinto a Calatafimi, fossero poi stati vinti e dispersi, ed ora fossero inseguiti dalle milizie capitanate dal Von Meckel».

Garibaldi per entrare a Palermo inscena un diversivo affidando ad Orsini il compito di attirare a sé le truppe borboniche. Orsini con un piccolo drappello di soldati garibaldini e una schiera di "picciotti" vira verso Corleone portandosi dietro l'artiglieria per lasciarsi inseguire. Mentre Orsini si distacca dal gruppo, Garibaldi guardando Crispi esclama: «povero Orsini, si incammina al sacrificio».

L'esercito reggio avendo abboccato all'amo si getta all'inseguimento dei "fuggitivi" e ingaggia diverse battaglie contro Orsini e i suoi, credendo di avere di fronte Garibaldi col suo esercito.

Il Capo di stato maggiore V. Polizzy scriveva in un "bullettino" la sera del 26 maggio: «La banda di Garibaldi sempre si ritira in disordine traversando il distretto di Corleone.

Gli insorti che l'associavano si sono dispersi e vanno rientrando nei rispettivi Comuni, scorati ed abbattuti per essersi lasciati ingannare dagli invasori stranieri venuti per suscitare la guerra civile nella Sicilia. Le truppe reali l'inseguono».

Contemporaneamente un messaggio mandato da Giacinto Carini, comandante di un battaglione dei Mille al campo di Gibilrossa, al Comitato rivoluzionario diceva «All'alba di domani, 27, saremo con Garibaldi a Palermo».

Ed infatti il 27 maggio Garibaldi entrerà a Palermo e pochi giorni dopo conquisterà la città. Per quanto concerne L'abbaglio di Roberto Andò, magistralmente diretto e interpretato, è un film storico a tutti gli effetti, con dovizia di particolari ma pur sempre un film, un'opera artistica che va valutata in quanto tale.

Ho letto spesso in merito a questo film che Ficarra e Picone riescono bene anche in ruoli drammatici. Ritengo, per quanto valga, che non abbiano affatto interpretato un ruolo drammatico, anzi mi sono parsi sempre gli stessi, lo stesso medesimo modo di recitare, ma la loro comicità, la loro presenza scenica si presta straordinariamente anche all'interno di contesti drammatici e, come in questo caso, ha permesso al regista di alleggerire la serietà dell'argomento, facendo nascere dentro di noi ancora una volta il desiderio di scoprire quale sarà alla fine la loro sorte.

L'Orsini interpretato da un monumentale Tony Servillo, invece, è un uomo autoritario ma romantico che crede fortemente negli ideali di libertà e di patriottismo e rimprovera ai due siciliani (Ficarra e Picone) la codardia e la fuga in uno dei moemnti più concitati dell'impresa: lo sbarco a Marsala, la lotta per la causa.

Sempre i due comici palermitani nel film saranno oggetto del loro stesso sacrificio, quasi a volersi redimere dalla loro condizione di miserevoli, di vigliacchi, tanto da riscuotere nel valoroso Orsini una qualche fascinazione che lo tormenterà per il resto della sua vita.

A vent'anni dalla spedizione dei Mille, ormai anziano, il colonnello va alla ricerca degli unici due siciliani (e con loro probabilmente tutti gli altri) che in fondo al suo cuore alimentavano la speranza di un cambiamento per la Sicilia, ma quando li ritrova esprime tutta la sua delusione dicendo: "Povera Italia, che abbaglio che hai preso!"
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