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Invidiavano gli uomini e odiavano i Borbone: chi erano le sorelle Turrisi Colonna

Nonostante una lapide a Palazzo Asmundo, una pittrice e l'altra poetessa, le due nobildonne sono ancora oggi poco conosciute. VI raccontiamo la loro storia

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 23 settembre 2024

Ritratti di Anna e Giuseppina Turrisi Colonna

“Due donne diverse dagli stereotipi delle donne della nobiltà siciliana di quei tempi. Erano colte, sensibili, impegnate in tematiche sociali e civili.” (Ester Rizzo).

Nonostante una lapide commemorativa posta sul prospetto di Palazzo Asmundo, proprio di fronte alla Cattedrale di Palermo, ricordi Anna, pittrice e Giuseppina Turrisi Colonna, poetessa, le due nobildonne sono ancora oggi poco conosciute.

Erano sorelle, figlie di Mauro Turrisi, barone di Buonvicino e della marchesa Rosalia Colonna Romano dei Duchi di Cesarò, “donna virtuosa e colta nelle lettere”.

La coppia aveva anche tre figli maschi: Nicolò (futuro deputato del regno e due volte sindaco di palermo), Giuseppe e Antonio. I Turrisi erano originari di San Mauro Castelverde ma sia Anna che Giuseppina erano nate a Palermo, la prima nel 1820 e la seconda nel 1822, ed erano molto legate. "Tu sorella, tu amica…quest’amicizia dei primi anni, oh com’è preziosa nella vita e rara!” avrebbe scritto Giuseppina nella lirica “Alla sorella".
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In un’epoca in cui le fanciulle venivano cresciute solo per esser mogli e buone madri di famiglia, le Turrrisi Colonna grazie alla lungimiranza dei genitori, ricevevano un'istruzione ampia e accurata.

Frequentarono il prestigioso istituto Revillon di Palermo. Impararono il greco, il latino, il francese e l’inglese, appresero egregiamente la lingua e la letteratura italiana tanto da inorgoglire i loro maestri. Sia Giuseppina che Anna avevano un’intelligenza vivace ed erano molto talentuose.

I loro educatori furono prima, dal 1835 al 1838, il poeta fiorentino Giuseppe Borghi, che insegnava eloquenza all’Università, e poi quando Borghi lasciò la Sicilia per sfuggire alla polizia borbonica, Francesco Paolo Perez, anche questi una figura di insegnante singolare, con una scuola a Casa Professa. (Giuseppina continuerà ad avere un fitto carteggio con Borghi fino al 1846; rivolgendosi sempre con ossequiosa deferenza al suo maestro).

Nel 1837, in seguito all'epidemia di colera, la famiglia Turrisi visse per diversi mesi a San Mauro e in questo periodo Giuseppina, che sotto la guida del Borghi, a soli 14 anni aveva già composto liriche di argomento religioso, si dedicò alla traduzione di Ovidio (Metamorfosi, IX) e per infondere speranza ai suoi concittadini scrisse i versi "Ad Aldruda" e “In morte di Marianna Mira Castelli, principessa di Torremuzza”.

Se Giuseppina dimostrava un innegabile talento letterario, Anna amava la pittura: “era nata per essa” affermerà Francesco Guardione. La fanciulla aveva imparato i primi rudimenti sotto la guida di Agatino Sozzi (nipote del più noto Olivio) e già a 15 anni, nel 1836, era allieva di Giuseppe Patania, ritrattista e autore di opere di carattere storico o mitologico; l’anno successivo il maestro di Annina divenne Salvatore Lo Forte, che aveva appreso a Roma l’innovazione romantica.

Annotava lo storico Agostino Gallo che Annina dipingeva ad olio “con animo virile”, ossia: si dedicava con ottimi risultati a un’occupazione tradizionalmente legata al genio maschile, mentre alle donne al massimo era concesso l’uso degli acquerelli. Massimo D’Azeglio che oltre alle lettere, alla politica e all’armi, si occupava di pittura, affermò con convinzione che Annetta Turrisi “era l’unica donna, che ai suoi tempi avesse meglio saputo adoperare il pennello".

I Quadri di Giuseppina non vennero mai esposti mentre lei era in vita. Dipinse vari soggetti, soprattutto ritratti (un gruppo di famiglia dei suoi genitori con tutti i figli, il proprio ritratto, il ritratto di Giuseppina, due ritratti della madre) o temi storici (una copia di un quadro rappresentante il conte Ugolino morente, una Beatrice dall’originale del Patania, la meravigliosa tela del 1843,

“L’uscita dal monastero del S.mo Salvatore di Costanza, figliola di Ruggero, per darla in sposa a Enrico VI” – opera donata dal figlio della pittrice alla Società Siciliana di Storia Patria). Le prime tele, fino al 1838, sono copia di grandi maestri, in particolare Raffaello e Pietro Novelli. Dopo il 1843, anno delle nozze, Anna divenne meno precisa nei dettagli fisici, per concentrarsi sull’immagine interiore del soggetto.

La pittrice compose anche degli scritti, lettere d’arte indirizzate al fratello Nicolò, dedicate ad artisti come lo scultore Antonello Gagini, la ceroplasta Anna Fortino, il musicista e compositore Vincenzo Bellini, con la preoccupazione che questi grandi siciliani venissero dimenticati. “La penna di Giuseppina” fu spesso ispirata dai quadri della sorella.

In una lirica Giuseppina affermava: “Delle tue forte immagini/Io svelerò i pensier”. Il legame tra le due giovani donne era talmente forte che quando Anna finiva di dipingere un quadro, Giuseppina, spesso componeva dei versi a corredo dell’opera.

Giuseppina, “un’anima che a 16 anni amava ed insegnava ad amare la Patria, educava un popolo servo a libertà” scriveva in “Alla Patria”: “ Sol la patria spira/ i più fervidi carmi al petto mio!....…i carmi saran…Mission fra le genti/ e le sicane menti”.

La poetessa si rammaricava spesso di esser nata donna: “ Oh quante volte, oh quante io maledissi invan d’essere donzella! Quale ingegno potria farsi gigante/fra meste cura in solitaria cella?” (Al fratello Giuseppe) Nella società dell’epoca Giuseppina era condannata come tutte le fanciulle aristocratiche a trascorrere le sue giornate tra le sicure mura domestiche; poteva solo limitarsi ad incitare con liriche appassionate i siciliani alla libertà.

“Nel vigor dell’ingegno e dell’etate/ scrivere cose potrei fervide e care/se godessi dell’uom la libertade”: se fosse stata un uomo invece, come il fratello Nicolò, avrebbe goduto di maggiore libertà d’azione.

«In membra delicate ed esili un’anima di ferro e di fuoco, (c’è) una perpetua battaglia fra le cure casalinghe e modeste prescritte alla donna ed il desiderio di una vita avventurosa, com’è del soldato e del marinaio».

Il primogenito Nicolò, erede del titolo di barone di Buonvicino, si dedicava attivamente alla politica ed alla lotta antiborbonica. Avrebbe partecipato alla rivoluzione siciliana del 1848 e successivamente sarebbe stato comandante della Guardia nazionale (1860); deputato del regno d’Italia (1861), senatore del regno (1865).

Anche Annetta si schierava apertamente contro i Borboni, con gli strumenti che le appartenevano, i pennelli e raffigurava in un ritratto la sorella Giuseppina in abiti di foggia greca: un evidente invito per spingere i siciliani a ribellarsi ai Borbone, così come il popolo greco aveva fatto contro l’impero turco.

Nel 1843 Annina sposò Pietro Settimo Di Napoli, principe di Fitalia e nipote di Ruggero Settimo, uno dei maggiori protagonisti della Rivoluzione siciliana del 1848. Giuseppina esprimeva nei suoi versi il dolore per il distacco dall’amata sorella: “Insieme cresciute dall’età più verde, pari nel core, nei modi, nei consigli; ah si fida amistà (amicizia) non si disperde.”; e ancora: “La patria e l’armi/ suoni il greco mio plettro ai miei sicani; ah, ma te più non ho per ispirarmi!”.

Nel 1844 nasceva la prima figlia, Maria Felicetta, che sarebbe stata cagionevole di salute come la madre. Con la nascita dei tre figli Annina fu costretta a lasciare “i pennelli per sedere a studio della culla”.

Nonostante desiderasse ardentemente recarsi con la sorella a Firenze, per ammirare “palazzi, tele, marmi, …Michelangelo…l’urna di Vittorio Alfieri”, fu costretta a rimanere a Palermo, per occuparsi del nuova nato Girolamo, quando nel 1846 Giuseppina poté finalmente partire insieme alla madre e al fratello Giuseppe.

I Turrisi soggiornarono prima a Napoli, dove Giuseppina visitò le tombe di Virgilio e di Giacomo Leopardi; giunta poi sull’Arno scriveva: “Quali memorie sublimi, quali pensieri, quali affetti nell’anima ridesti, O divina città dell’Alighieri….Anna, mia dolce suora (sorella), oh quai modelli qui troveresti!.....avrà Firenze gli ultimi miei sospiri!” Nel 1841 la poetessa aveva pubblicato a Palermo il suo primo libro, “Alcune poesie” che aveva riscosso molto successo, anche al di fuori dall’isola.

Il suo viaggio nel 1846 nelle città toscane fu un trionfo; Giuseppina (che già aveva stupito nel 1842 Massimo D’Azeglio in Sicilia) fu accolta con ogni onore da menti, desiderose di conoscerla e riverirla, come Giovanni Battista Niccolini e Francesco Domenico Guerrazzi che incontrandola la definì “un miracolo d’ispirazione e sapere” e ammirandone l’ingegno esclamò: “Signorina voi volete sapere in un momento ciò di che ho meditato tutta la vita”.

Nel luglio del 1846 la poetessa pubblicò con la casa editrice Le Monnier, grazie all’interessamento del Borghi, un volumetto di 56 liriche, poesie di argomento familiare, religioso, storico-civile, sentimentale e intimo, sui cui aleggiavano i modelli poetici assimilati negli anni (Foscolo, Manzoni, Leopardi e Byron su tutti).

Le liriche ebbero un buon successo in Lombardia, Toscana, Napoli e Sicilia. Lasciata a malincuore Firenze e rientrata in Sicilia il 26 agosto 1846 Giuseppa Turrisi Colonna doveva fare i conti con un ulteriore silenzio epistolare di Borghi, che pure aveva rivisto durante i giorni toscani.

Nel febbraio1847 nasceva Ruggero il terzogenito di Annina (che da tempo non stava bene) e il 29 aprile anche Giuseppina convolava finalmente a nozze: sposava con gioia Giuseppe de Spuches, principe di Galati e Duca di Caccamo, ellenista, letterato e poeta: il suo primo e ultimo amore. Lieta, Giuseppina sognava di condividere con lo sposo l’amore per le lettere, ma vano fu ogni proponimento: la sua morte, prima che si compisse un anno di matrimonio, "esacerbò la nobile esistenza del marito".

Allo scoppio della rivoluzione del gennaio 1848, la fragile Giuseppina era molto malata: 9 giorni dopo aver scritto alla madre, per aver notizie della famiglia che si era rifugiata in campagna, dava alla luce una bambina che moriva solo poche ore dopo la nascita. Tre giorni dopo, il 17 febbraio 1848, colta da aneurisma, la seguiva nella tomba.

Affermava il Guardione: “Se per morte precoce non si fosse consumata, raggiunto appena il quinto lustro, ella nella profondità delle creazioni poetiche avrebbe uguagliati i più robusti ingegni d’Italia”. Il marito, inconsolabile, ne pianse la perdita e compose per lei cinque elegie latine (Carmina latina e græca).

Tre giorni prima di Giuseppina era morta di tisi a Castelbuono, dove era fuggita a causa dei moti, la sorella Annina: : unite nella vita e nella morte! Oggi le due sorelle Turrisi riposano nella chiesa di San Domenico, Pantheon degli uomini e delle donne illustri di Sicilia.

Aveva scritto Giuseppina nella lirica “Per le nozze della sorella”: “Saremo divise, ma nei dì lontani/ La gloria nostra esser non può divisa”.

Fonti: T. Crivello, Anna Turrisi Colonna, Ex libris, 2022. Poesie di Giuseppina Turrisi Colonna a cura di F. Guardione, Palermo, 1886 Lettere d’illustri italiani a Giuseppina Turrisi Colonna e alcuni scritti della sorella Anna a cura di F. Guardione, Palermo 1884
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