STORIA E TRADIZIONI
In Sicilia riposa un "parente" di Cristoforo Colombo: la tomba in una chiesa di Palermo
Tra piazza XIII Vittime e il conservatorio di musica Alessandro Scarlatti, sorge la bella mole tardo-rinascimentale della chiesa. Qui una lapide cela un mistero
La tomba di Nicola Colombo a Palermo
È infatti già a partire dal XII secolo che si registra la presenza a Palermo di mercanti “stranieri” come Veneziani, Pisani e Genovesi nel quartiere del Seralcadio, una porzione longilinea di territorio a nord della città fenicia e al di là del fiume Papireto.
I Genovesi a partire dall' XII secolo si sparsero in diverse parti del Mediterraneo e ovviamente anche in Sicilia. «Quivi, fin dai tempi dei Normanni, ebbero, specialmente in Palermo, privilegi e immunità speciali dai quali erano esclusi i commercianti delle altre provincie “esclusis Provincialibus Romanis, Tuscis, Venetis, Pisanis...; [...] disponevano di capitali cospicui; esiggevano alcuni diritti doganali sulle merci portate in detta città da navi genovesi...». Godettero per cinque secoli di questi privilegi, li perderanno solo nel 1741.
Inoltre, i Genovesi fanno arrivare a Palermo i libri; «importano la carta sia per la stampa che per la scrittura; controllano la produzione e il commercio della seta e introducono nell'isola il commercio dei panni inglesi».
Insomma, come si può notare, i Genovesi erano un popolo alquanto influente nella nostra terra. Non è banale, quindi, ricordare che essi avevano la loro Loggia nella "ruga logie ienuensis", cioè il luogo in cui trattavano i commerci, a piazzetta Garraffello, accanto alla Loggia dei Catalani, un altro importante popolo proveniente dalla Spagna che intorno al XIV secolo si stabilì nello stesso luogo dei Genovesi, ovvero nel futuro quartiere della Loggia che ab antiquo veniva chiamato Amalfitania per via della presenza di mercanti provenienti da Amalfi.
Come luogo di culto «Essi (i Genovesi) avevano a Palermo una loro cappella, detta di San Giorgio, nell'atrio del convento di San Francesco d'Assisi (Capela mercatorum Genuensium), nella quale nel 1526 eressero una magnifica edicola marmorea, fattura del sommo Antonello Gagini [...] Poi nel 1576 ottennero la chiesa di San Luca, presso la porta di San Giorgio, e la riedificarono in forma assai bella e vaga dedicandola al martire S. Giorgio loro protettore».
Tra l'attuale piazza XIII Vittime e il conservatorio di musica Alessandro Scarlatti, sorge la bella mole tardo-rinascimentale della chiesa di San Giorgio dei Genovesi. Non lontana da questa un tempo vi era la Porta di San Giorgio (poi di Santa Rosalia) che avviava i viandanti verso il contado a nord di Palermo.
Inoltre nel litorale nei pressi della chiesa vi era anche una tonnara detta di San Giorgio demolita in seguito alla costruzione del Molo nuovo di Palermo.
Sia la porta che la tonnara forse prendevano il nome da una primigenia chiesa di San Giorgio sita nei paraggi. La struttura della chiesa di San Giorgio dei genovesi insiste in una parte di territorio che in epoca medievale era chiamata “Terrachina” o “Terracina”, confinante col piano del Castello a mare, ovvero nella parte bassa dell'antico quartiere arabo del Seralcadio, cioè il Capo di oggi, precisamente ove sorgeva un tempo il quartiere degli Schiavoni.
La chiesa fu edificata in un'area nella quale esisteva un'altra chiesa dedicata all'evangelista San Luca e risalente al 1424. Quando la confraternita che la governava l'abbandonò, essendo uno dei rettori di questa un genovese, la propose immediatamente ai suoi “connazionali” che ne desideravano una propria.
«I rettori della confraternita di S. Luca Evangelista erano venuti in decisione di migliorare la loro chiesa già quasi abbandonata, e, dopo breve contrattazione, la concessero ai Genovesi nel giorno 9 luglio 1576 con atto di Notar Barnaba Bascone.
Per quest'atto i Rettori di S. Luca accettavano tutta la Nazione genovese nella loro Confraternita, e cedevano a Giovan Battista Giustiniano, Console sostituto in luogo di Agostino Rivarola Console ordinario, allo stesso Giustiniano e ad Andrea De Nigro, Massari, l'antica chiesa di San Luca con l'atrio e le case circostanti, allo scopo di fabbricarvi una nuova chiesa in onore del glorioso martire San Giorgio, ed uno Spedale pei genovesi. I Rettori di San Luca si riserbavano il diritto di avere nella nuova Chiesa una cappella dedicata a quel santo...».
Il progetto della fabbrica solitamente viene attribuito all'architetto “genovese” Giorgio Di Faccio, ma recenti studi hanno messo in luce una sorta di collaborazione con altre probabili e importanti maestranze dell'epoca presenti in città.
Il Di faccio, secondo questa ipotesi, figurerebbe quindi come il direttore generale, ovvero il “capo mastro” dell'opera ma non l'unico architetto e costruttore. Ad esempio dai contratti per la costruzione e abbellimento della chiesa emerge la figura di Battista Carrabio.
L'anno in cui venne terminata la chiesa di San Giorgio dei genovesi pare sia il 1591 come si può ricavare da un'iscrizione sotto la finestra ovale della facciata. Quest'ultima è fatta tutta da pietre d'intaglio, tufo ricavato a suo tempo forse dalle ormai dismesse cave di Aspra o di Santa Maria di Gesù.
La facciata presenta tre porte di ingresso, delle quali la centrale è la maggiore, quattro lesene di ordine «dorico ornato che sorreggono una trabeazione pochissimo aggettante, le quali svelano le testate dei muri perimetrali e del colonnato interno che divide la chiesa in tre navate».
La parte alta della facciata riporta una cornice con un grande gocciolatoio sorretto da mensole aggettanti che fungono da cappello dell'edificio.
Sempre nella parte alta della facciata vi è la grande finestra ovale ornata di fantasiosi “cartocci scolpiti” e sulla quale è incisa la data del 1591.
La pianta della chiesa è a croce latina. Le tre porte di ingresso corrispondono alle tre navate di cui è composta la chiesa. La navata centrale è la maggiore e frammezzata da pilastri che la separano dalle navate laterali. I pilastri hanno qualcosa di particolare, sono composti da gruppi di colonnine di marmo binate con capitelli corinzi.
Le stesse colonnine insieme fungono a loro volta da pilastri che sorreggono capitelli dorici molto lavorati, i quali a loro volta sostengono le arcate che percorrono la navata. Al centro del transetto si eleva la cupola ottagonale sorretta da quattro pilastri con otto colonne ciascuno.
La stessa cupola è riprodotta come basso rilievo in una lapide nel pavimento. Le navate laterali ospitano diverse cappelle, ognuna è adornata da cornici marmoree e custodisce importanti dipinti.
Ma a prendersi l'intera scena prospettica è l'insolito pavimento che accoglie, tra i suoi mattoni chiaroscurali, 71 lapidi tutte diverse di uomini e donne genovesi “prelati, consoli, mercanti”, i quali hanno vissuto nella nostra città fino alla morte.
La prima lapide, la più antica, è del 1579 e riguarda una donna, una certa Caterina Mabrila. In questa lapide è scritto: «Questa è la prima dona sepulta in questa Ecclesia e questo fu lano terzo poii la edificacione di questa Ecclesia. Il nome suo Caterina Mabrila vixe ani 62 morse a dì XI di 7bre lano 1570 (corr. 1579)».
Un'altra interessante lapide è quella della famosa pittrice cremonese Sofonisba Anguissola, trasferitasi a Palermo in seguito al matrimonio, nel 1571, con F. Moncada, fratello del Viceré di Sicilia. Morto il Moncada la pittrice fa ritorno a Cremona, ma durante il viaggio conosce un genovese, certo Orazio Lomellini, del quale si innamora e con lui fa ritorno a Palermo dove muore nel 1625.
Sofonisba, che poco prima di morire conobbe il grande Antoon Van Dyck, il quale pure la ritrasse, assieme ad Artemisia Gentileschi è considerata una delle pittrici più importanti della storia dell'arte italiana.
Nella lapide di Sofonisba, fatta realizzare nel 1632 dal Lomellini per il centenario della nascita, è incisa questa iscrizione che narra delle sue doti artistiche e umane: «Sophonisbae uxori ab anguissolae comitibus ducenti originem parentum nobilitate forma. Extraordinariisque naturae dotibus in illustre mundi mulieres relatae.
Ac in esprimendis hominum imaginibus adeo insigni. Ut parem aetatis suae neminem habuisse sit aestimata Horatius Lomellinus ingenti affectus maerore. Decus hoc extremum, etsi tantae mulieri exiguum. Mortalibus vero maximum dicavit 1632».
Ma ad incuriosire ulteriormente è un'altra importante lapide, quella di Nicola Colombo, a quanto sembra parente dello scopritore delle Americhe.
In verità un discendente dello zio paterno. Il nonno di Cristoforo Colombo si chiamava Giovanni. Egli ebbe due figli: Domenico, padre di Cristoforo, e Nicolò. Da quest'ultimo potrebbe discendere il Colombo che riposa dal 1600 nella chiesa dei Genovesi a Palermo.
Un'ultima doverosa nota riguarda “l'ossuario comune dei genovesi non ricchi” che si estende nella cripta sottostante e che custodisce le ossa della gente comune di origine genovese sepolta all'interno della chiesa, accanto ai notabili, perché tutti vengano ricordati e nessuno sia lasciato da solo in quel brutto tugurio chiamato dimenticatoio.
(Per approfondimenti sul tema confronta La chiesa di San Giorgio dei Genovesi in Palermo di Leonardoo Paterna-Baldizzi; La Chiesa di San Giorgio dei Genovesi in Palermo di Giuseppe Cosentino in Archivio storico siciliano, Nuova serie, Anno III, Fasc. I; La vita e le opere di Giovanni Agostino De Cosmi di Gaetano Di Giovanni pag. 15; La chiesa di San Giorgio dei Genovesi a Palermo: una problematica attribuzione di Giovanna D'Alessandro; I Genovesi a Palermo, la Capela Mercatorum Ianuensium sec. XV di Diego Ciccarelli).
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